Dopo il divieto allo studio superiore, il governo dei talebani ha annunciato il divieto alle donne afgane di lavorare per le Nazioni unite (Onu), oltre quello di lavorare per le associazioni non governative internazionali, annunciato lo scorso dicembre, presumibilmente perché le lavoratrici non indossavano correttamente l‘hijab o non seguivano le regole di segregazione di genere.
Le Nazioni unite impiegano 3.300 afghani – 2.700 uomini e 600 donne – che lavorano da casa da quando è stato dato l’annuncio delle nuove restrizioni. Sulla base di questa decisione, l’Onu ha annunciato che a maggio ritirerà il sostegno all’Afghanistan nonostante questa sia una decisione molto difficile date le terribili condizioni economiche in cui versa il Paese.
Secondo la dichiarazione di Achim Steiner dell’UNDP (United Nations Development Programme), il Programma di sviluppo delle Nazioni unite, gli effetti della pandemia, seguiti da una straordinaria contrazione dell’economia del 20,7% e da una siccità insolitamente grave, hanno provocato la perdita di cibo, mezzi di sussistenza e accesso ai servizi di base e solo la continua fornitura di aiuti internazionali a milioni di afgani ha impedito finora il collasso totale.
La ripresa sostenibile da questa crisi umanitaria richiede la piena partecipazione delle donne afghane all’economia e alla società ma al momento non si vedono segnali positivi in questo senso. Come dichiara l’artista e attivista afghana Fatimah Hossaini all’emittente francese France24 “I talebani hanno eradicato i principali diritti umani delle donne”.