Parlare di neve, oggi, significa parlare soprattutto della sua assenza. Significa capirne le ragioni, le conseguenze e le inevitabili dinamiche che condizionano – e condizioneranno sempre più – non solo le economie di montagna e il turismo invernale, ma anche l’ambiente e le nostre vite.
Parlare di neve, oggi, significa misurarsi con la realtà, non con un rischio possibile o ipotetico. Non c’è prevenzione, ormai. Ci sono solo dati di fatto e azioni consapevoli da compiere affinché la trasformazione delle abitudini assomigli sempre di più a un adattamento ai nuovi contesti.
Non riconoscere il cambiamento – quello del clima, prima di tutti gli altri – e difendere con ostinata miopia interventi mirati alla conservazione di attività, economie e funzioni appartenenti a uno status climatico ormai superato, be’, per gli operatori e per i sindaci potrebbe equivalere a una sconfitta certa.
Mai così poca negli ultimi sei secoli
Sempre per restare ancorati alla realtà, è bene ricordare come un recente studio pubblicato su “Nature Climate Change” sia stato in grado di fotografare la drammaticità della situazione. Secondo la ricerca, condotta da studiosi italiani, il calo del manto nevoso sulle Alpi non ha precedenti negli ultimi sei secoli. Un record storico.
Per “Le stagioni in città”, Italo Calvino ha ispirato i suoi racconti al clima degli anni Sessanta del secolo scorso. Stagioni in cui d’inverno scendeva la neve anche nei centri urbani. “La città non c’era più, era stata sostituita da un foglio bianco”. Immagini di un’epoca ormai passata ma non dimenticata.
Chissà quali avventure avrebbe affrontato oggi Marcovaldo se quel mattino non lo avesse svegliato il silenzio. “Si tirò su dal letto col senso di qualcosa di strano nell’aria. Non capiva che ora era, la luce tra le stecche delle persiane era diversa da quella di tutte le ore del giorno e della notte”. Da allora è passato ben più di mezzo secolo e la realtà contemporanea, purtroppo, racconta di lingue bianche di neve artificiale che macchiano un paesaggio montano in cui la vegetazione continua a mostrarsi in bella evidenza. La pista da sci, irreale, è solo uno scarabocchio contraffatto che mette in risalto le contraddizioni (e le ostinazioni) tra sfumature verdi e marroni di una flora che persiste nonostante l’inverno.
Anche il “Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici”, ancora in attesa di approvazione, racconta l’impatto dei cambiamenti climatici su neve, ghiacciai e permafrost. “Negli ultimi decenni – si legge nel testo – la durata e lo spessore della neve si sono fortemente ridotti, così come lo stock idrico nivale che si accumula ogni anno a fine inverno. I ghiacciai hanno già perso dal 30 al 40% del loro volume”. E poi, ancora, si legge di come “la riduzione della neve e la scomparsa dei ghiacciai” andranno a “incrementare le crisi idriche estive”.
Già, perché ormai non parliamo più soltanto di sci, di turismo invernale, d’impianti e di economie di montagna. Non parliamo solo d’inverni senza piste e con impianti di risalita inattivi. L’assenza di neve – cui corrisponde quasi ovunque un incremento dell’innevamento artificiale, con ovvie e chiare conseguenze – sta trasformando la crisi del settore in una vera e propria guerra dell’acqua. Non è un caso che lo scorso 6 aprile il Consiglio dei ministri abbia approvato il “Decreto siccità”, che non solo contiene disposizioni per la prevenzione e il contrasto della siccità, ma anche per il potenziamento e l’adeguamento delle infrastrutture idriche. Il problema è dunque reale, urgente, non procrastinabile.
Dal “Rapporto Copernicus 2022” sullo stato del clima in Europa, l’European State of the Climate report, emerge che le temperature salgono al doppio del tasso medio mondiale, In Europa, l’estate è stata la più calda di sempre con 1,4 gradi sopra la media e 0,3-0,4 sotto la media della precedente estate più calda del 2021. Le temperature, si legge nel documento, di molto sopra la media e la mancanza persistente di precipitazioni hanno causato una significativa siccità che ha raggiunto il suo picco toccando molte zone dell’Europa. Veniamo alla montagna, il report evidenzia che c’è stata anche una perdita record di ghiaccio sui ghiacciai delle Alpi equivalente ad un totale di 5 chilometri cubi. Insomma questa è la situazione che appare andare sempre più verso l’irreversibilità se non agiamo con grande velocità.
Quali soluzioni adottare? Probabilmente non esiste una risposta univoca, buona per ogni contesto. Parole di senso sulla transizione ecologica del turismo invernale sono state pronunciate da scienziati e docenti universitari. È il caso di Carlo Giupponi. Lui è docente di economia dell’ambiente all’Università Cà Foscari. “Il turismo invernale va ripensato alla luce della sostenibilità e del cambio climatico” ha dichiarato a La Repubblica poco tempo fa. “Gli operatori locali hanno una iniziale ritrosia a parlare di questi temi, sanno che la mancanza di neve, o piste sempre più difficili da mantenere a causa delle temperature elevate, sono un elemento di debolezza in prospettiva per le loro attività” si legge nell’intervista. “Noi ricercatori veniamo percepiti un po’ come delle cassandre, ma dopo l’iniziale ritrosia c’è molta apertura nella ricerca di nuovi modelli di sviluppo locale, che si affranchino dalla monocultura dello sci da discesa”.
Il cannone del Cimone fa cilecca. Ascoltare e supportare i cittadini delle Terre alte
Purtroppo l’ottimismo del professor Giupponi non si accorda con la scelta di alcuni Comuni di continuare a puntare sull’industria della neve potenziando impianti sciistici a bassa quota. Si pensi all’ipotesi di un nuovo collegamento tra le stazioni sciistiche Doganaccia-Corno alle Scale. E ancora l’idea di collegamento tra il comprensorio del Cimone e quello dell’Abetone. A proposito del Cimone, il 3 aprile scorso l’agenzia di stampa Reuters scriveva che la “popolare località sciistica dell’Appennino italiano, ha investito 5 milioni di euro nell’innevamento artificiale prima della stagione invernale nel tentativo di evitare l’impatto del riscaldamento globale. Il denaro è stato in gran parte sprecato.Il cannone da neve si è rivelato inutile perché le gocce d’acqua che sparano nell’aria hanno bisogno di un clima gelido per cadere a terra come neve, e sino a metà gennaio la temperatura non è mai scesa sotto lo zero Celsius (32 Fahrenheit).
Sulla questione della industria della neve tema (re) invito a leggere il documento del Club alpino Italiano “Cambiamenti climatici, neve, industria dello sci” .
Resta impellente la necessità di dialogare con quelle Amministrazioni della montagna che in parte continuano a ignorare la realtà di questi ultimi inverni, e che in parte sono preda di facili illusioni (come la neve artificiale) e di modelli di sviluppo obsoleti. E bisogna insistere nel confronto e nell’ascolto aperto e leale con (e tra) i cittadini delle terre alte, che vanno supportati per affrontare la crisi economica del presente. Contemporaneamente bisogna avviare da subito, senza perdere altro tempo, la transizione ecologica del turismo, in particolare quello invernale. Infine è mia convinzione che senza gli abitanti delle terre alte lo sviluppo sostenibile della montagna sarà molto più complicato e problematico, perché esso non può prescindere da chi lì vive e vuole continuare a farlo.