Secondo i dati scientifici nei prossimi anni diventerà quasi impossibile sciare, soprattutto alle quote più basse: eppure, innevamento e nuovi impianti rimangono una priorità nell’agenda degli operatori del settore. Come agire, allora, per uno sviluppo sostenibile e a lungo termine? Dobbiamo cambiare il nostro approccio a ecosistemi delicati come quelli montani, a partire dalla stagione invernale, che più manifesta gli effetti del clima che cambia. Va in questa direzione la risoluzione delle Nazioni unite sullo “Sviluppo sostenibile delle montagne” adottata lo scorso novembre da 110 Paesi: presentata da Italia e Kirghizistan, incoraggia gli Stati a intraprendere azioni di lungo termine per lo sviluppo delle aree montane.
Riconoscendo che lo sviluppo economico e sociale dipende da una gestione sostenibile delle risorse naturali, la risoluzione prende atto degli effetti negativi dei cambiamenti climatici sulle montagne, a partire da ritiro dei ghiacciai, disgelo del permafrost e declino del manto nevoso. Diventa quindi indispensabile contrastare povertà, esclusione sociale e insicurezza alimentare delle comunità montane, promuovere la conservazione della biodiversità e combattere il rischio di catastrofi naturali in questi territori.
“Le montagne – si legge nel comunicato di Gianluca Greco, vice rappresentante italiano all’Onu – sono la casa di milioni di persone che vivono nel rischio di eventi naturali estremi, che limitano l’accesso a sistemi sanitari, educativi ed economici. Raggiungere uno sviluppo sostenibile avrebbe un impatto diretto sulla vita e sui mezzi di sussistenza delle comunità montane in tutto il Mondo.”
La siccità non è un problema solo estivo
Non sembra però andare in questa direzione la gestione del turismo invernale in larga parte delle località sciistiche italiane, e non solo. Lo scorso anno la siccità ha messo in difficoltà sia pastori e malgari sia il turismo estivo nei rifugi, che si sono ritrovati a dover affrontare la crisi idrica anche alle quote più alte. Ma anche la stagione sciistica è iniziata con sempre meno neve, e per il 2023 si prospettano già da ora gli stessi, se non maggiori, problemi.
I dati, che confermano il calo dell’innevamento e il futuro dello sci sulle piste di tutto il Mondo, impongono di intervenire a tutela degli ecosistemi montani e della sussistenza delle comunità di montagna, in vista di un futuro nel quale gli effetti del cambiamento climatico sono destinati a peggiorare.
Comunità, quelle di montagna, che devono necessariamente iniziare a diversificare l’offerta turistica invernale, troppo spesso centrata sulla “monocoltura dello sci”. L’innevamento artificiale, infatti, è oggi la principale “soluzione” adottata: nelle Alpi europee, che sono la prima destinazione sciistica a livello mondiale, la maggioranza delle piste può essere innevata artificialmente, con percentuali di copertura fino al 90% in Italia, il 70% in Austria e il 53% in Svizzera. Sugli Appennini, invece, è di pochi mesi fa l’ipotesi avanzata di impianti di nuova generazione che permettono di mantenere la neve artificiale anche a temperature più elevate.
La neve artificiale non resisterà alle alte temperature
In realtà non si tratta di soluzioni sostenibili, né a livello ambientale né per garantire le attività economiche. Come confermato da uno studio pubblicato su Springer, l’aumento delle temperature metterà a rischio in modo inevitabile anche la tenuta della stessa neve artificiale.
Entro la metà del secolo, infatti, le emissioni causeranno un importante calo della neve sotto i 1800 metri e, se inizialmente lo si potrà compensare con la neve artificiale, già verso la fine del secolo in molte Regioni diventerà impossibile alle quote più basse.
Eppure la maggioranza degli operatori, pur preoccupata dal cambiamento climatico, non lo percepisce come una minaccia immediata, ritenendo piuttosto che i rischi principali siano la concorrenza e la variabilità metereologica. Per questo la soluzione privilegiata rimane l’innevamento: si stima che per le sole Alpi europee il consumo idrico aumenterà dal 50% al 110% entro il 2050, raggiungendo possibili picchi del 195% alle quote più basse.
Costruire nuovi impianti è controproducente anche per l’economia
Nonostante questi dati, si continua a progettare nuovi impianti, ultimo dei quali un grande collegamento tra il Comelico Superiore (provincia di Belluno) e la Val Pusteria (provincia di Bolzano) di cui si è recentemente discusso, nel contesto delle già poco sostenibili Olimpiadi di Cortina.
Eppure, la Convenzione per la protezione delle Alpi, entrata in vigore nel 1995 e incrementata negli anni successivi, prevede una pianificazione territoriale che garantisca “l’utilizzazione contenuta e razionale e lo sviluppo sano ed armonioso dell’intero territorio” e, per quanto riguarda la sempre più rara e preziosa risorsa idrica, un suo sfruttamento che tenga “parimenti conto degli interessi della popolazione locale e dell’interesse alla conservazione dell’ambiente”.
Neve artificiale e nuovi impianti non vanno certamente in questa direzione. Secondo uno studio promosso da Banca d’Italia, inoltre, l’innevamento artificiale ha un debole effetto sui flussi del turismo invernale.
Se da un lato lo studio rileva infatti una prevedibile correlazione positiva tra nevicate e vendita di skipass, dall’altro mostra che l’impatto dell’innevamento programmato nel sostenere i flussi turistici significativi sembra essere solo marginale. Insomma, solo la neve naturale potrebbe permettere di sostenere l’industria sciistica in futuro, ma il suo inevitabile calo si ripercuoterà in maniera decisiva su questo tipo di economie.
Diversificare l’offerta turistica per tutelare ecosistemi ed economie locali
Le Alpi sono particolarmente sensibili al cambiamento climatico e la fattibilità delle misure di adattamento è quindi di fondamentale importanza per i Paesi di montagna.
Anche l’altra soluzione ipotizzata, oltre a l’innevamento artificiale, cioè salire di quota con gli impianti, non è sostenibile né per l’ambiente né in termini di equità e giustizia sociale. Già nel 2007, un report dell’Organization for Economic Cooperation and Development (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, OECD) sottolineava che “lo spostamento delle operazioni sciistiche ad altitudini più elevate può minacciare ambienti fragili”.
I Governi, si legge, devono intervenire per agevolare un adattamento sostenibile del turismo invernale, con precisi regolamenti rispetto alla produzione di neve artificiale e politiche a sostegno delle attività economiche più piccole, che si trovano solitamente a quote più basse, dunque più vulnerabili ai cambiamenti climatici, e hanno meno risorse per adattarsi.
Governi e comunità locali devono cioè confrontarsi sulle misure di adattamento sia per proteggere tutti i soggetti coinvolti sia per favorire la transizione verso nuove realtà. Saranno cruciali strategie basate sulla diversificazione delle attività e su una nuova visione dell’abitare e del visitare la montagna, partendo dal ridurne la dipendenza dalle condizioni della neve.