Dopo anni di trattative tra lobby opposte e un lunghissimo iter di approvazione, all’inizio del 2023 è entrato in vigore il Regolamento 2021\57 dell’Unione europea, che vieta l’utilizzo di munizioni al piombo per chi caccia nelle zone umide, riconoscendo i pericoli per biodiversità, qualità delle risorse idriche e salute umana. Una volta immesso in natura, infatti, il piombo tende a rimanere all’interno della catena alimentare e del ciclo dell’acqua, provocando seri danni agli ecosistemi. Il Regolamento mira ad armonizzare le normative in vigore nei vari Paesi e spiega, tra le altre cose, “che vi è ampia disponibilità di munizioni senza piombo, ad esempio all’acciaio o al bismuto, che costituiscono alternative tecnicamente possibili e presentano migliori profili di rischio e di pericolo per la salute umana e per l’ambiente rispetto alle munizioni al piombo. Inoltre le munizioni all’acciaio sono disponibili a un prezzo comparabile a quello delle munizioni al piombo.”
Nelle ultime settimane, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin e il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida hanno emesso una propria circolare applicativa del Regolamento, che secondo associazioni ambientaliste come World Wide Fund for Nature (WWF), Lega anti vivisezione (Lav) e Lega italiana protezione uccelli (Lipu) è illegittima e mette a rischio l’efficacia del divieto. “La circolare interministeriale è caratterizzata da una interpretazione della norma europea tanto restrittiva da annullarne la portata – ha dichiarato WWF nel suo ultimo comunicato stampa sul tema – risultando palesemente in contrasto con le finalità perseguite dal legislatore europeo”. Le associazioni hanno ricordato più volte che, secondo l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (European Chemicals Agency- ECHA), il piombo è altamente tossico per adulti e bambini e che non è possibile fissare alcuna soglia minima per i suoi effetti su sviluppo neurologico, pressione sanguigna o danni renali, per cui qualsiasi esposizione costituisce un rischio.
Per capire le perplessità degli ambientalisti, è necessario comprendere la direzione presa dalla circolare applicativa, che si propone di rispondere a presunte difficoltà interpretative del concetto stesso di “zona umida”. Questi dubbi sono stati sollevati nei mesi scorsi da associazioni di cacciatori e personalità politiche come Pietro Fiocchi, europarlamentare di Fratelli d’Italia. “Ogni Regolamento dovrebbe essere il più chiaro e circostanziato possibile – ha dichiarato Fiocchi – in modo da evitare qualsiasi interpretazione discrezionale ed estensiva a riguardo e dando certezza al diritto.”
Nel Regolamento europeo si fa riferimento alla definizione di zona umida utilizzata nella Convenzione di Ramsar relativa alle zone umide d’importanza internazionale, perché universalmente riconosciuta e comprensiva di tutti i tipi di zone umide presenti in Europa (protette o meno); sintetizzando, per la convenzione di Ramsar “le zone umide sono aree di palude, torbaie o acquitrini, sia naturali che artificiali, permanenti o temporanee, con acqua stagnante o in movimento, dolce, salmastra o salata, comprese le zone di acqua marina la cui profondità a bassa marea non supera i sei metri”. Il Regolamento esplicita inoltre la necessità di individuare aree cuscinetto di 100 metri in cui rimane valido il divieto di utilizzo e trasporto del piombo e segnala esplicitamente che eventuali norme locali più severe nei confronti dei cacciatori devono prevalere sul Regolamento stesso.
Norme troppo permissive. Denuncia delle associazioni all’Europa
La circolare applicativa italiana va in una direzione diversa e definisce come zona umida: “la zona acquitrinosa che per dimensioni, instabilità morfologica, natura sia in grado di fornire un habitat stabile e duraturo agli uccelli acquatici. Di converso, sono escluse dalla nozione di zona umida le aree che a causa delle loro dimensioni o della loro instabilità non sono suscettibili di fornire habitat agli uccelli acquatici”. Queste aree più “instabili” però, sempre secondo WWF, sono importanti per la biodiversità: si tratta infatti di “zone che tendono ad allagarsi nel periodo invernale, attirando numerosi uccelli acquatici e altrettanti cacciatori”. Non solo: la circolare italiana garantisce al cacciatore la possibilità di dimostrare, se trovato in transito in una zona umida con pallini al piombo, di voler sparare in un’altra area.
Questa circolare applicativa finisce così per limitare il divieto ad aree come i siti Natura 2000 e i Parchi, dove, in molti casi, esiste già un veto alla caccia o all’utilizzo delle munizioni al piombo, almeno sulla carta. È il caso, per fare un esempio, dell’Emilia Romagna, dove è attualmente in vigore un regolamento del 2018 che vieta l’utilizzo del piombo in una serie di aree protette – come le Valli di Comacchio – caratterizzate da “zone umide naturali ed artificiali, quali laghi, stagni, paludi, acquitrini, lanche e lagune d’acqua dolce, salata e salmastra, compresi i prati allagati”. La norma regionale, in questo caso, è persino più rigida della nostra circolare applicativa del Regolamento europeo, in quanto è esplicitamente vietato anche detenere i pallini al piombo nelle zone umide o a 150 metri da esse.
Lo scontro sul piombo si inserisce in una generale tensione sul tema caccia tra Governo e società civile. Anche a causa di altre criticità legate alla mancata applicazione del piano anti bracconaggio e alla violazione dei calendari venatori, pochi giorni fa un gruppo di associazioni italiane composto da Ente nazionale protezione animali (Enpa), Lega abolizione caccia (Lac), Legambiente, Lav, Lipu e WWF ha inviato alla Commissione europea una denuncia per infrazione multipla, da parte dell’Italia, della Direttiva Uccelli.