Escalation nel corso di una guerra ha sempre un significato nefasto. Aumenta a dismisura le sofferenze umane e le distruzioni materiali, il cui “prezzo” si abbassa proporzionalmente all’innalzarsi del livello dello scontro.
È un salto di qualità, non una “semplice” intensificazione dei metodi fino a quel momento adottati. Spesso viene propagandata come passaggio obbligato per giungere alla pace attraverso la vittoria, superando ostacoli altrimenti insormontabili. Ma, mentre l’aumento di morti e distruzione è certo, la vittoria quasi mai. Fu così per l’escalation dei bombardamenti aerei americani nel Vietnam durante la presidenza Nixon (“bombardamenti di Natale”) che non fermò l’avanzata dei nord vietnamiti e per la “guerra sottomarina indiscriminata” lanciata dalla Germania nel 1917 con gli U-Boot per sconfiggere finalmente la Gran Bretagna, che portò invece all’ingresso degli USA e alla sconfitta tedesca.
Ora l’escalation è una possibilità del conflitto in corso in Ucraina. La parola ricorre sempre più di frequente. L’invio da parte dei Paesi NATO di nuovi tipi di armi – missili a lunga gittata e cacciabombardieri – va in questa direzione. Se questi dovessero colpire in territorio russo, la risposta nucleare – come minacciato – potrebbe diventare plausibile. E il maggior coinvolgimento nella guerra di altri Paesi, forzando la mano alla Biellorussia di Lukashenko a nord dell’Ucraina e destabilizzando la Moldavia a ovest, potrebbe portare a un ulteriore passo in avanti verso quella “mondializzazione della guerra” che è il più temibile degli scenari.
Eppure, in questo scenario in cui i governi non mostrano dubbi nell’aumentare le spese per le armi e nell’inviarle al fronte, mentre la NATO rimilitarizza l’Europa e si palesa l’incapacità degli organismi internazionali di governare il conflitto, i cittadini continuano ad essere in larga misura contrari alla guerra e all’invio di armi. La grancassa dei media, grandemente favorevoli, con uno schieramento imbarazzante di “giornalisti con l’elmetto” e un vile entusiasmo per le guerre condotte ad altri meridiani da quelli delle proprie redazioni, non ha sortito effetti sull’opinione delle persone.
Contrari alla guerra, all’aumento delle spese militari e invio di nuove armi
Avevamo già segnalato come pochi mesi dopo lo scoppio della guerra un’allarmata ricerca condotta in dieci Paesi europei rilevava “scollamento sempre più marcato tra le posizioni assunte da molti governi europei e il sentimento dell’opinione pubblica nei rispettivi Paesi. Il divario più significativo che si profila è tra coloro che vorrebbero mettere fine alla guerra il più rapidamente possibile e coloro che vorrebbero continuare a combattere fino alla sconfitta della Russia.” Pur con notevoli differenze fra i diversi Paesi, il gruppo percentuale dei favorevoli alla pace era il maggiore, e nel nostro Paese raggiungeva la maggioranza assoluta. Questo senza nulla togliere al fatto che “gli europei si sentano molto solidali nei confronti dell’Ucraina”.
Da allora in poi la situazione non è cambiata. Nel nostro Paese, alla fine di gennaio, secondo un sondaggio di Antonio Noto per la trasmissione televisiva Porta a Porta, un italiano su due (49%) si dichiarava contrario all’invio di carri armati e missili antiaerei italiani a Kiev, mentre uno su tre (34%) era favorevole. Fra gli intervistati solo uno su cinque (22%) pensava che l’invio di carri armati porterà alla pace, mentre un pari numero era dell’opinione contraria (“inasprirà il conflitto” per il 20%) e quasi la metà cominciava a temere una possibile escalation (47%).
Un sondaggio di Euromedia Research su La Stampa conferma che meno di un mese fa la maggioranza degli italiani era contraria all’invio di armi all’Ucraina (52%), e che la percentuale è addirittura aumentata rispetto a dicembre, mentre i favorevoli sono leggermente in calo. Sulle prospettive del conflitto dilaga il pessimismo, con il 78% che ritiene lontana la fine della guerra e la maggioranza relativa (38%) che pensa che la guerra finirà con un cessate il fuoco negoziato con la Russia che poi sarà imposto a Kiev.
Un’indagine di SWG per Greenpeace, fornisce un’indicazione ancora più chiara della posizione degli italiani sul tema della pace, perché sganciata dal tema specifico dell’invio di armi. Intervistati sull’ipotesi di portare le spese militari del nostro Paese dall’attuale 1,5% del Prodotto interno lordo (26 miliardi) al 2%, come richiesto da tempo dalla NATO, la larga maggioranza degli italiani (55%) si è dichiarata contraria all’aumento, e solamente uno su quattro favorevole (23%). Addirittura l’indagine segnala che sarebbe preferibile un percorso “inverso” delle risorse pubbliche: il 69% vorrebbe che gli extra profitti che le aziende del settore della difesa stanno realizzando grazie alla guerra in Ucraina venisse tassato (solamente il 12% è contrario). Dove andrebbero investite le risorse finanziarie? “Alla luce dell’attuale situazione internazionale economica ed energetica” la maggioranza degli intervistati indica “in prevalenza alla transizione energetica” (53%).
Ed è di pochi giorni fa l’indagine di Demopolis, secondo cui il 68% degli italiani teme il rischio di un’escalation nucleare e di un coinvolgimento dell’Europa. Sull’invio di armi a Kiev prevale la contrarietà: il 48% la ritiene sbagliata, contro il 43% a favore. “Ad approvare maggiormente la scelta del nuovo invio di armi – afferma l’istituto di ricerca – è il 57% degli elettori di Azione e il 56% di chi sceglie il PD. Favorevole si dichiara anche il 54% degli elettori di Fratelli d’Italia. Le perplessità crescono negli altri elettorati: convinto del nuovo invio di armi si dichiara il 40% di chi vota il partito di Berlusconi ed appena un quarto degli elettori della Lega di Salvini. Contrarietà assoluta a Sinistra e nel Movimento 5 Stelle”.
Questo mentre resta altissima (oltre l’80%) la volontà degli italiani di sostenere il popolo ucraino con aiuti economici e ricostruzione.
Un dato molto interessante è quello sull’opinione degli americani fornito dal Pew Research Center. A un anno dall’inizio della guerra, mentre gli Stati Uniti aumentano l’invio di armi all’Ucraina, cresce il numero di americani che affermano che il proprio Paese sta fornendo troppo sostegno. Circa un quarto (26%) ora afferma che si stanno fornendo troppe armi, con un significativo aumento di 6 punti percentuali dallo scorso settembre e di 19 punti da quando la Russia ha invaso l’Ucraina. Questo spostamento significativo si colloca in un quadro che vede circa quattro statunitensi su dieci (43%) che approva la politica di Biden sul conflitto, un terzo contrari (34%) e due su dieci indecisi (22%).
Ascoltare i cittadini, avviare la pace
Ora, è pur vero che nei Paesi democratici il volere dei cittadini si esprime nell’urna e non nei sondaggi, ma è altrettanto vero che lo scollamento dell’opinione pubblica dalle scelte dei rappresentanti politici è un pericolo per le stesse democrazie.
Volendo, i governi potrebbero trovare l’appoggio dei propri cittadini per soluzioni più articolate sul piano politico e diplomatico e meno compulsivamente militari. Alcune possibilità si stanno aprendo. La proposta in dodici punti della Cina, che i media hanno in larga parte malamente riassunta o giudicata con superficiale dietrologia da strateghi provinciali, va presa attentamente in esame, quantomeno per il calibro di chi la propone e il ruolo che ha nello scacchiere internazionale che proprio questo conflitto contribuisce a ridisegnare. C’è poi in allestimento una Conferenza internazionale sulla pace organizzata per giugno a Vienna dalle organizzazioni per la pace, che in questo periodo supportano tutti coloro che decidono di non imbracciare le armi, dagli obiettori di coscienza ai disertori. Da non sottovalutare, perché se la guerra la dichiarano i governi e comandano i generali, chi la fa sono i soldati. E non è la prima volta che la stanchezza degli uomini chiamati a indossare la divisa gioca un ruolo importante.