Sono già due i giornalisti uccisi nel 2023, entrambi in Camerun. Si tratta di Ola Bebe, conduttore radiofonico, e Martin Zogo, direttore dell’emittente privata “Amplitude FM”. Zogo, in particolare, stava lavorando a un’inchiesta sull’appropriazione indebita di fondi pubblici e per il suo omicidio è stato arrestato uno degli imprenditori più noti del Paese. Reporters Sans Frontières (RSF) ha parlato di crimine di Stato.
Secondo l’ultimo rapporto pubblicato da RSF, nel 2022 sono stati cinquantotto i giornalisti e media worker uccisi a causa del loro lavoro, in aumento del 18,8% rispetto all’anno precedente. I giornalisti e media worker in carcere inoltre sono 533, il 13,4% in più (dopo un aumento del 20% nel 2021). A completare il quadro, ci sono sessantacinque giornalisti e media worker tenuti in ostaggio da organizzazioni non-statali e quarantanove dispersi.
Nel 2022 i giornalisti uccisi tornano ad aumentare
Al primo dicembre 2022, data della chiusura del rapporto, i giornalisti uccisi erano cinquantatre, saliti a cinquantaquattro alla fine dell’anno, a cui si aggiungono quattro media worker. Secondo la Commitee to Protect Journalists (CPJ), che considera anche i casi in cui si sta ancora indagando per stabilire se il giornalista è stato ucciso a causa del suo lavoro, il numero di uccisioni è sessantasette.
A partire dal 2003, sono stati uccisi in totale 1668 giornalisti e media worker. Gli anni peggiori sono stati il 2012 e il 2013, rispettivamente con 144 e 142 uccisioni, principalmente a causa della guerra in Siria. Questi numeri sono stati seguiti da una graduale diminuzione fino al 2021.
L’aumento del 2022 è dovuto in parte alla guerra in Ucraina, che infatti occupa il secondo posto nella classifica di RSF (otto giornalisti e media worker uccisi). Ma le uccisioni avvenute in zone di guerra sono solo il 35% dei casi. Più di sei giornalisti su dieci sono stati invece uccisi in Paesi considerati in pace, a causa dell’allentamento delle restrizioni per la pandemia di Covid-19, che ha permesso loro di tornare a lavorare sul campo, e della violenza strutturale che continua ad affliggere alcuni territori, soprattutto l’America Latina. Questa Regione, infatti, conta quasi la metà del totale delle uccisioni, con Messico (undici) e Haiti (sei) che occupano primo e terzo posto nella classifica.
Esclusi i conflitti armati, spiega ad Agenda17 Ruben Razzante, docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica di Milano e alla Libera Università Maria Santissima Assunta (Lumsa) di Roma, “i giornalisti sono spesso presi di mira e uccisi perché stanno indagando su argomenti sensibili o scomodi per alcuni Governi, gruppi criminali o aziende. Le indagini più pericolose riguardano il crimine organizzato, come ad esempio il traffico di droga, la prostituzione e la tratta di esseri umani, che espongono il giornalista a minacce e violenza da parte dei gruppi criminali stessi.
Un altro tema rischioso è la corruzione, politica o aziendale, soprattutto nel caso di report e servizi che mettono in imbarazzo i potenti. Anche le crisi economiche e politiche e le loro conseguenze, come la disoccupazione o le proteste, possono essere pericolose in alcuni Paesi dove le autorità sono sensibili alla critica.” Da non dimenticare infine la cronaca locale e i crimini ambientali, quest’ultimo il caso del giornalista britannico Dom Phillips ucciso in Brasile.
Secondo RSF, quasi l’80% dei giornalisti è stato ucciso deliberatamente, anche se a volte le autorità rifiutano di ammetterlo, come nel caso della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh uccisa dalle Forze di difesa israeliane. La proporzione di giornaliste uccise è cresciuta dal 4% nel 2020 al 12% nel 2022. Infine, ricorda Razzante, “circa la metà dei giornalisti uccisi erano fuori servizio quando sono stati presi di mira, ad esempio erano in viaggio, a casa o in parcheggi e altri luoghi pubblici. Questo dato implica che non ci sono spazi sicuri per i giornalisti.”
Record di omicidi impuniti in Messico
Nel 2022 il Messico ha registrato il più alto numero di giornalisti uccisi dal 1992, quando la CPJ ha iniziato a documentare i casi. Da allora sono stati uccisi 151 giornalisti. Negli ultimi dieci anni, ventotto omicidi sono rimasti irrisolti e impuniti: il più alto numero fra tutti i Paesi del Mondo. Sebbene le autorità abbiano ostentato di aver arrestato un alto numero di sospetti, alla fine più arresti non hanno portato a più condanne e molti sono stati rilasciati per assenza di evidenze.
Gli omicidi sono solo la punta dell’iceberg di centinaia di attacchi e minacce che i giornalisti subiscono ogni anno da parte di cartelli criminali e autorità pubbliche. Come racconta Razzante, “nel 2012 il Governo dell’allora Presidente Enrique Peña Nieto ha creato un programma federale di protezione a cui si sono iscritti 600 giornalisti. Il meccanismo prevede una linea sicura d’allarme, telecamere e camere blindate nelle redazioni e nelle abitazioni e, nei casi più delicati, una scorta armata. Misure che però si sono rivelate abbastanza inutili.
Uno dei motivi principali è la mancanza di volontà politica da parte delle autorità di proteggere i giornalisti e di garantire che gli attacchi vengano adeguatamente investigati e perseguiti. In molti casi, le autorità sono coinvolte in atti di violenza o repressione nei confronti dei giornalisti e non sono disposte a prendere provvedimenti contro se stesse o i loro alleati. Inoltre, la mancanza di risorse e di capacità delle forze dell’ordine e dei sistemi giudiziari rende difficile investigare e perseguire gli attacchi. Il sistema giudiziario non ha alcuna indipendenza dal potere esecutivo, le investigazioni sono superficiali e le prove vengono ignorate o manipolate. Infine, la corruzione e l’influenza di gruppi criminali o di interessi potenti possono impedire o condizionare la giustizia e la protezione per i giornalisti.
I nemici giurati dei giornalisti messicani, infatti, oltre ai trafficanti di droga, sono tutti coloro che sono complici delle bande di criminali, tra cui politici, militari, giudici e imprenditori che temono di veder smascherate le proprie attività illecite.” A complicare la situazione, l’attuale Presidente messicano Andrés Manuel López Obrador minimizza la violenza contro la stampa e critica i media indipendenti, accusandoli di servire gli interessi di gruppi ristretti.
Un Piano di azione e reti contro l’impunità
Secondo il Global Impunity Index della CPJ, il 78% degli omicidi deliberati di giornalisti avvenuti negli ultimi dieci anni è rimasto impunito. Assieme al Messico, gli altri Paesi che compaiono nell’indice sono Somalia, Siria, Sud Sudan, Afghanistan, Iraq, Filippine, Myanmar, Brasile, Pakistan e India.
Proprio per proteggere i giornalisti, le Nazioni Unite hanno lanciato nel 2012 il “Piano di azione sulla sicurezza dei giornalisti e la questione dell’impunità”, cercando di coinvolgere Governi, media, forze di sicurezza, sistemi giudiziari e organizzazioni nazionali e internazionali. Il Piano prevede di sensibilizzare tutti gli stakeholder sull’importanza della libertà di stampa, di incoraggiare i Governi nell’implementazione di leggi e meccanismi a difesa dei giornalisti, di addestrare unità investigative indipendenti e di monitorare la situazione globale. Tuttavia, non esiste un elenco ufficiale dei Paesi che vi hanno aderito.
Nel frattempo, in Messico, giornalisti e giornaliste hanno iniziato a reagire formando reti, come “Periodistas de a pie” (tradotto “giornalisti a piedi”), per denunciare le intimidazioni, dimostrare come svolgere vere indagini sugli omicidi e raccogliere fondi per i colleghi sfollati nelle grandi città o costretti a lasciare il Paese. Inoltre, esiste un’organizzazione non governativa che si occupa della sicurezza dei giornalisti, “Articulo19”. “Una soluzione ai problemi del Paese – afferma Razzante – potrebbe essere una forte presa di posizione internazionale, con sanzioni pesanti e restrizioni economiche e commerciali al fine di sottolineare la gravità e l’importanza del problema.”
In generale, “la comunità internazionale deve continuare a sensibilizzare e a sostenere i Governi nell’adozione di misure per proteggere i giornalisti. Le sfide principali riguardano gli alti livelli di impunità per i crimini contro di loro, la crescita degli attacchi, la violenza online, l’uso di strumenti di sorveglianza, l’aumento del numero di giornalisti detenuti e delle molestie legali.”
Il carcere contro la libertà di stampa
Il numero di giornalisti uccisi infatti non è l’unico a essere aumentato nel 2022: lo è anche il numero di detenzioni. Al primo dicembre 2022, il rapporto di CPJ conta 363 giornalisti in carcere a causa del loro lavoro, mentre per RSF, che considera anche i non-professionisti, si tratta di 533, un numero mai registrato in precedenza. Due terzi di loro non sono mai stati processati.
Tre quarti dei giornalisti incarcerati si trovano in due Regioni del Mondo: Asia e Medio Oriente-Maghreb. La Cina mantiene il suo posto di principale Paese carceriere (centodieci giornalisti detenuti secondo RSF): la mancanza di nuove incarcerazioni non è da interpretare come un miglioramento, ma come un segnale di una censura e una sorveglianza sempre più crescenti. Il Paese è seguito dal Myanmar (sessantadue), dove molti organi di stampa sono stati banditi dopo il colpo di stato militare di febbraio 2021, e dall’Iran (quarantasette), a seguito alle proteste iniziate a settembre 2022 dopo la morte di Mahsa Amini nelle mani della polizia religiosa.
Una porzione significativa dei giornalisti detenuti appartiene a minoranze, come i Curdi in Iran e Turchia e gli Uiguri in Cina. Inoltre, su quarantasette giornalisti detenuti in Iran, diciotto sono donne, quasi tutte arrestate a seguito delle proteste: indice della volontà delle autorità iraniane di ridurre le donne al silenzio. In generale, a livello globale, il numero delle giornaliste incarcerate è cresciuto quasi del 30% rispetto al 2021, che a sua volta aveva visto un aumento del 20%.
“Molte volte i giornalisti vengono accusati ingiustamente di reati come diffamazione, attività antigovernative, spionaggio o soprusi – spiega Razzante -. Vengono solitamente accusati di diffamazione quando pubblicano informazioni che mettono in cattiva luce il Governo o i potenti. Le accuse di attività antigovernative riguardano l’incitamento alla disobbedienza civile o la diffusione di false informazioni. Lo spionaggio riguarda indagini su questioni militari o di sicurezza. I soprusi, come l’accusa di furto o falsificazione di documenti, vengono utilizzati per intimidire i giornalisti che coprono argomenti scomodi o imbarazzanti per il Governo o altri potenti. Molti di questi casi sono basati su prove false o pretestuose e i giornalisti sono spesso detenuti in condizioni inumane e sottoposti a torture o abusi durante la loro detenzione.”
Purtroppo, la detenzione dei giornalisti per intimidire la libertà di stampa non riguarda solo Paesi autoritari e lontani da noi. Neanche nel mondo occidentale i giornalisti possono dirsi al sicuro, come dimostra il caso di Julian Assange che rischia 175 anni di carcere con l’accusa di spionaggio, se verrà estradato negli Stati Uniti, per aver condiviso documenti riservati che documentavano, tra l’altro, crimini di guerra compiuti dalle truppe americane.
WikiLeaks, di cui Assange è il fondatore, ha dimostrato quanto è importante un giornalismo d’inchiesta capace di verificare e rivelare i file che il potere vorrebbe tenere segreti e di proteggere le fonti. Anche in Italia è necessaria una maggiore protezione per il giornalismo d’inchiesta, che risulta ostacolato dalle cosiddette querele bavaglio: la Corte costituzionale ha invitato il Parlamento a rimuovere la pena detentiva per le accuse di diffamazione, eccettuati i casi più gravi.
“La comunità internazionale può proteggere i giornalisti arrestati attraverso diverse azioni – conclude Razzante -. Condanne pubbliche, sanzioni economiche, supporto ai giornalisti in pericolo, sensibilizzazione del pubblico e appoggio ai gruppi di difesa dei diritti umani sono alcune delle misure che possono essere adottate. L’impegno a lungo termine e la cooperazione tra le Nazioni sono essenziali per ottenere risultati concreti, proteggere la libertà di stampa e garantire che i giornalisti possano svolgere il loro lavoro in sicurezza.”