Nel corso di poco più di vent’anni l’Antropocene si è conquistato una posizione preminente nel dibattito pubblico, ben al di là del contesto specialistico che lo ha partorito, al punto da diventare non solo un trend topic, ma addirittura un cliché: un’etichetta (vuota) buona per quasi qualsiasi utilizzo. Nella sua brevità, questo contributo si propone di delineare per sommi capi: significato, storia e possibili esiti di tale concetto, la cui reale – e solida – portata rischia di venir eclissata dal suo stesso successo.
Che cos’e l’Antropocene? (Definizione e presupposti)
Il termine Anthropocene (anthropos = essere umano + kainos = nuovo) indica un’aspirante nuova entità geologica: la terza epoca – successiva a Pleistocene e Olocene – del periodo Quaternario o Neozoico. In particolare, l’avvento dell’Antropocene sancirebbe la conclusione dell’Olocene: seconda epoca del Quaternario, risalente a circa 12000 anni fa e adottata come denominazione geologica standard nel 1885. In quanto epoca interglaciale, l’Olocene presenta come propria caratteristica peculiare un significativo incremento sia della temperatura media che del livello del mare, stabilizzatisi intorno agli 8000 anni fa.
La proposta antropocenica possiede una paternità certa e un’altrettanto chiara data di nascita. Per la precisione due, a distanza di pochi mesi, nel corso dell’anno 2000.
Nel febbraio di detto anno a Cuernavaca, Messico, si tiene un convengo dell’International Geosphere-Biosphere Programme (IGBP), tra i cui relatori di punta figura il geochimico olandese Paul Jozef Crutzen (1933-2021), vincitore del premio Nobel per la chimica nel 1995 – insieme a Frank Sherwood e Mario José Molina – grazie ai suoi studi sui danni allo strato di ozono causati dall’azione umana. Così Crutzen, padre dell’ipotesi antropocenica, ricorda quella circostanza: “Il moderatore fece ripetutamente riferimento all’Olocene come all’epoca geologica attuale. Dopo aver ascoltato più volte quella parola, persi la pazienza, interruppi il relatore rimarcando che non eravamo più nell’Olocene. Dissi che eravamo già nell’Antropocene. La mia osservazione produsse un grande impatto sull’uditorio. Dapprima ci fu silenzio, poi le persone cominciarono a discutere su quanto avevo affermato”.
Di lì a qualche mese segue l’atto di nascita ufficiale: la pubblicazione di un brevissimo articolo – un vero e proprio manifesto antropocenico – sul bollettino dello stesso IGBP, redatto da Crutzen e dal biologo statunitense Eugene Filmore Stoermer, il quale aveva utilizzato il termine “Anthropocene” già negli anni Ottanta del secolo scorso senza tuttavia attribuirgli particolare valenza. Dalla pubblicazione del manifesto, Crutzen si è dedicato pressoché interamente a raffinare, puntellare e divulgare l’ipotesi antropocenica, coadiuvato da diversi colleghi tra i quali va menzionato il climatologo statunitense Will Steffen.
Il lavoro di Crutzen contempla anche la ricostruzione del retroterra storico dell’Antropocene: quella serie di riflessioni che, a partire dalla metà del XIX secolo, avevano riconosciuto nell’attività umana un fattore ormai capace di condizionare lo stato complessivo del nostro ecosistema. Tra questi antesignani figurano il filologo e uomo politico statunitense George Perkins Marsh (1801-1882), il geologo e presbitero italiano Antonio Stoppani (1824-1891), il geochimico russo Vladimir Ivanovič Vernadskij (1863-1945), il filosofo e paleontologo francese Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955).
Una buona sintesi del nucleo dell’ipotesi antropocenica è offerta dai seguenti passaggi di Crutzen e Steffen: “(i) la terra sta abbandonando la propria epoca geologica attuale (l’Olocene) e (ii) l’attività dell’uomo è largamente responsabile di una tale uscita dall’Olocene, vale a dire che l’umanità è assurta al rango di forza geofisica globale”. Ne segue che “considerando questi e molti altri, più grandi e crescenti, impatti dell’attività umana sulla Terra e sull’atmosfera […] ci sembra più che appropriato enfatizzare il ruolo geologico ed ecologico recitato dal genere umano, proponendo il termine ‘Antropocene’ (Anthropocene) per l’attuale epoca geologica”. In altri termini, “le attività umane sono divenute talmente profonde e pervasive da rivaleggiare con le grandi forze della natura, tanto da spingere il nostro pianeta verso una terra incognita”.
Malgrado la sua brevità, il manifesto del 2000 elenca già tutti i capisaldi dell’ipotesi antropocenica ovvero i parametri attestanti l’oggettiva escalation della variabile antropica nel corso degli ultimi tre secoli: il tasso di accrescimento demografico; l’urbanizzazione; lo sfruttamento dei combustili fossili; la sesta grande estinzione di massa; il cambiamento climatico; la concentrazione dei gas serra. In particolare, nell’aumento esponenziale di matrice antropogenica di CO2 nell’atmosfera Crutzen rinviene l’evidenza decisiva in grado di legittimare questa aspirante nuova epoca geologica.
Quando è l’Antropocene? (Origine e forma)
L’immagine appena evocata della “terra incognita” non si limita a delineare lo scenario futuro più verosimile per il nostro pianeta, ma risulta parimenti utile in chiave teoretica, visto che l’Antropocene si è presto rivelato un costrutto costitutivamente ambiguo: qualcosa che esprime tanto un’epoca geologica quanto, se non soprattutto, un “discorso”. Addirittura una Weltanschauung o un “paradigma travestito da epoca”, secondo la felice espressione del politologo sudafricano Jeremy Baskin.
L’idea antropocenica risulta un dispositivo epistemicamente instabile, naturalmente portato, cioè, a esondare dal proprio alveo epistemico: quello delle scienze naturali. Della geologia, in modo particolare. Di fatto l’Antropocene funge da prezioso stress test rispetto alla tradizionale divisione tra “le due culture”, evidenziandone l’attuale fragilità e ipotecandone un probabile, imminente accantonamento. Si prendano i casi emblematici di geologia (per le scienze dure) e storia (per le humanities).
Da un lato, la geologia si trova forzata a trasformarsi in scienza predittiva, ipotizzando l’esistenza di una nuova epoca in tempo reale. Dall’altro, il sapere storico constata l’inservibilità della classica partizione tra storia naturale e storia umana. Il risultato è un ripensamento dello statuto epistemico di queste due discipline.
La crisi della geologia si rispecchia nella sua impasse al cospetto dell’ipotesi antropocenica, a favore del cui riconoscimento ufficiale quale epoca geologica opera da anni l’Anthropocene Working Group (AWG): organismo fondato nel 2009, in seno alla International Commission on Stratigraphy (ICS), dal geologo inglese Jan Zalasiewicz. Malgrado il suo impegno indefesso, l’AWG non è ancora riuscito a superare tutte le resistenze dell’establishment geologico.
Sul versante della storia si segnala il lavoro di alcuni studiosi, tra i quali spicca lo storico post-coloniale indiano Dipesh Charkrabarty, impegnati a definire il nuovo “clima della storia”, nel senso della sua necessità di aprirsi a – contaminarsi con – un inedito orizzonte geo-storico ormai ineludibile.
Una delle questioni più spinose, e dunque più interessanti, legate alla questione antropocenica concerne la possibile data di inizio di questa nuova epoca. Le principali ipotesi in campo sono quattro, ciascuna delle quali individua un proprio golden spike di riferimento (GSSP- Global Boundary Stratotype Section and Point, si tratta di quei “segni biostratigrafici distintivi” che a partire dal 1977 sono stati impiegati come marcatori dei limiti stratigrafici necessari a distinguere gli intervalli in cui viene suddiviso il tempo geologico).
- Paleo-antropocene. La prima ipotesi, denominata “early anthropocene hypothesis” o “Paleoanthropocene”, fa coincidere l’inizio dell’Antropocene con la rivoluzione neolitica, collocandola perciò in un arco di tempo tra gli 8000 e i 5000 anni fa. Il principale sostenitore di questa proposta, che cerca di normalizzare/naturalizzare l’idea dell’essere umano quale “forza geofisica globale”, è il paleoclimatologo statunitense William Ruddiman. Malgrado l’autorevolezza del quale, questa ipotesi riscuote scarso seguito tra gli studiosi.
- Antropocene moderno. Coniata e sostenuta dai due scienziati ambientali inglesi Simon Lewis e Mark Maslin, la seconda ipotesi è la meno popolare delle quattro. Essa colloca la nascita dell’Antropocene all’inizio dell’era moderna (da cui la definizione, qui proposta, di Antropocene moderno), in particolare con lo Orbis Spike del 1610. Secondo Lewis e Maslin la riduzione dell’anidride carbonica responsabile del raffreddamento globale avvenuto tra il 1594 e il 1677 avrebbe un’origine antropica: il cosiddetto “scambio colombiano” (Columbian Exchange), prodotto dalla colonizzazione europea del nuovo mondo, a sua volta artefice di una “globalizzazione 1.0”.
- Antropocene standard. La terza ipotesi fa coincidere l’inizio dell’Antropocene con la rivoluzione industriale e il conseguente aumento dell’anidride carbonica “catturata” dai ghiacci dell’Antartide. Alcuni dei proponenti adottano la data convenzionale del 1800, altri quella del 1769: l’anno in cui James Watt brevettò la sua macchina a vapore. L’assunto ermeneutico alla base di questa ipotesi appare il più immediatamente comprensibile, il più prossimo al senso comune: l’avvento del capitalismo fossile innesca una crescita senza precedenti dell’impatto umano sull’ambiente naturale. Dal momento che questo approccio è stato inizialmente sostenuto da Crutzen, il padre dell’ipotesi antropocenica, si è qui scelto di definirlo Antropocene standard.
- Neo-antropocene. L’ultima ipotesi, sostenuta soprattutto dagli studiosi che si riconoscono nel paradigma della Earth System Science (ESS), riconduce l’inizio dell’Antropocene alla cosiddetta “grande accelerazione” risalente alla metà del XX secolo, in particolare alla data simbolica del 1945: l’anno atomico. In quel periodo si attesta un’ulteriore oggettiva discontinuità (accelerazione) all’interno della discontinuità marcata dall’avvento del capitalismo fossile. Essendo stata definita Paleo-antropocene l’ipotesi che riconduce la nascita di questa nuova epoca alla rivoluzione neolitica, scegliamo di caratterizzare quest’ultima ipotesi come Neo-antropocene.
Come è l’Antropocene? (Struttura e scenari)
Quanto a una possibile periodizzazione complessiva dell’Antropocene, ci affidiamo di nuovo a Crutzen e Steffen i quali, adottando l’impianto dell’Antropocene standard, la immaginano scandita in tre fasi: 1) “l’era industriale” (1800 ca.-1945); 2) “la grande accelerazione” (1945 ca.-2015); 3) un ipotetico terzo stadio (2015 ca.-?), nel corso del quale l’essere umano dovrebbe riuscire ad assumere l’auspicato ruolo di “steward o manager del sistema Terra” (Steward/Manager of the Earth System. Il concetto di sistema Terra (Earth System), naturale evoluzione di quelli di biosfera o ecosistema, viene definito da Crutzen e Steffen come “l’insieme di cicli fisici, chimici e biologici su larga scala, fra loro interagenti, e di flussi energetici, i quali forniscono il sistema di supporto vitale per la vita sulla superficie del pianeta”), ovvero di farsi pienamente carico della responsabilità a cui lo destina lo sviluppo del progresso tecnico: quella di guardiano e custode del proprio ecosistema.
Al netto degli auspici, fatto sta che l’evidenza, anche geologica, dell’Antropocene – ossia, l’impatto della agency umana sul sistema Terra – si è finora espressa essenzialmente, per non dire esclusivamente, in termini negativi: nella forma di quella che, a proposito di cliché, definiamo crisi ecologica.
Ciò vuol dire che la definitiva attestazione dell’Antropocene comporterà giocoforza l’impegno dell’essere umano per sanare gli squilibri da lui stesso prodotti. Tre sono le opzioni in campo, corrispondenti a tre modi di intendere il nostro ruolo planetario:
- ordinaria amministrazione (business as usual), da attuarsi perpetuando l’atteggiamento caratterizzante la grande accelerazione. Si tratta perciò di una sostanziale minimizzazione della crisi ecologica e in fondo della stessa novità/unicità dell’Antropocene;
- opzione aidosiana (con riferimento ad Aidos, la dea greca dell’umiltà e della modestia), una condotta ispirata al principio dell’attenuazione e consistente nel ripristino attivo di una situazione pre-antropocenica, vale a dire delle condizioni complessive dell’Olocene: l’epoca geologica precedente l’Antropocene. Questa strategia restauratrice fa riferimento alle cosiddette “soglie planetarie” (planetary boundaries), proposte nel 2009 dallo scienziato ambientale svedese Johan Rockström. Si tratta di nove parametri che attestano obiettivamente la differenza tra l’epoca attuale e l’Olocene ovvero: “cambiamento climatico; acidificazione degli oceani; ozono stratosferico; ciclo biogeochimico dell’azoto e del fosforo; uso globale dell’acqua dolce; cambiamento dei sistemi terrestri; tasso di perdita della biodiversità; polluzione chimica; inquinamento atmosferico; carico di aerosol atmosferico”;
- opzione prometeica, la quale si propone di edificare, per mezzo di un sempre più spinto “active planetary management” un’epoca nuova e sotto ogni aspetto “migliore”. Il fronte più avanzato di tale opzione viene incarnato dal cosiddetto Ecomodernismo: un movimento che raccoglie un gruppo di “ecologisti post-ambientali” facente capo a The Breakthrough Institute, think-tank fondato nel 2007 con sede a Oakland (California). Autori di un provocatorio manifesto, gli ecomodernisti sono convinti sostenitori delle soluzioni “geo-ingegneristiche”: quella serie di azioni ispirate a un forte interventismo e al principio per il quale “contro la tecnica (i suoi eccessi) ci vuole più tecnica” (tecniche di Carbon Dioxide Removal (CDR), che rimuovono la CO2 dall’atmosfera o tecniche di Solar Radiation Management (SRM), che riflettono una piccola percentuale della luce e del calore del sole nello spazio). L’auspicio degli ecomodernisti è che lo steward planetario assuma finalmente il grado di pilota. Che si trasformi in un vero e proprio timoniere, cui spetterà di traghettare il sistema Terra nell’esplorazione della terra incognita. Un’efficace sintesi dello spirito ecomodernista la fornisce il motto “love your monsters”, con cui il sociologo della scienza francese Bruno Latour rilegge la storia di Frankenstein (il Prometeo moderno): “il nostro peccato”, così Latour, “non è quello di aver creato le tecnologie, ma di non averle amate e curate. È come se avessimo deciso di non essere in grado di seguire l’educazione dei nostri figli”. Un’altra immagine che rende bene questo tipo di approccio è quella di Prometeo che corre in soccorso di Gaia.
Chi è l’Antropocene? (Tra geologia e politica)
In apertura è stato menzionato il rischio che l’idea antropocenica – la sua reale portata e valenza – resti vittima, nella forma di una banalizzazione, del suo stesso successo.
Quale attrattiva sia in grado di generare il discorso antropocenico lo attesta il fatto che molti – moltissimi – ne hanno fatta propria l’ispirazione di fondo, ritenendo però che occorresse ricalibrarne alcuni caratteri rispetto alla loro formulazione originaria. In altri termini, un tale discorso viene assunto alla stregua di un canone, a partire dal quale produrre una serie indefinita di possibili variazioni.
Di qui la proliferazione di denominazioni alternative, che ormai ammontano a non meno di un centinaio. Alcune delle quali decisamente fantasiose. Accenneremo in questa sede soltanto alla più fortunata e probabilmente più solida tra esse: quella di Capitalocene o Oliganthropocene, una ridefinizione che pone nella questione politica il vero baricentro del fenomeno antropocenico. L’obiezione dei vari: Jason W. Moore, Christophe Bonneuil, Jean-Baptiste Fressoz, Andreas Malm, Ian Angus, Alf Hornborg… si rivolge all’universalismo antropologico implicito nella definizione “Anthropo-cene” ovvero all’idea che l’umanità nel suo complesso, e quindi indistintamente, vada considerata responsabile degli squilibri provocati nel sistema Terra.
Al contrario, secondo questi autori al timone del progetto antropocenico va rinvenuto un tipo umano ben definito: maschio, bianco, occidentale, cristiano… l’artefice di quella visione del mondo capitalistico-neoliberale che ha poi imposto e fatto patire tanto all’ecosistema quanto ai propri simili (la gran parte dell’umanità) esclusi da quella élite privilegiata. Ora che la natura ci sta presentando il conto, sarebbe troppo comodo pretendere di “fare alla romana”. Di qui la proposta di rinominare quest’epoca Capitalo-cene o Oligantropo-cene.
Perché l’Antropocene? (Epocalità di un’epoca)
Al netto dei giudizi di merito, il riferimento alla denominazione alternativa di Capitalocene attesta ulteriormente la compresenza, fino all’inestricabilità, dei livelli: scientifico-naturale, storico, politico, etico, antropologico… all’interno della questione antropocenica e con ciò la reale portata di essa. Una portata letteralmente epocale, in ogni possibile accezione del termine.
Decretando e certificando la propria esistenza per mezzo del solo linguaggio che ancora riteniamo attendibile (quello oggettivo della scienza), l’Antropocene si candida a diventare il métarécit della nostra epoca, l’incarnazione più fedele dell’attuale Zeitgeist.
Se nel 1979, nella sua indagine su La condizione postmoderna, Jean-François Lyotard decretava la fine della modernità col venir meno della possibilità stessa delle metanarrazioni, l’Antropocene si presenta come un fenomeno epocale in grado di sancire la conclusione della parentesi post-moderna, ovvero di riavviare il Leitmotiv della modernità. L’avvento dell’Antropocene non si limiterebbe a smentire l’affermazione di Bruno Latour secondo la quale “non siamo mai stati moderni”, attestando altresì che molto probabilmente non abbiamo mai smesso di esserlo.