Martedì pomeriggio i deputati del Parlamento europeo discuteranno con la Commissione la possibilità di istituire un tribunale per perseguire il crimine di aggressione a carico dei responsabili dell’attacco armato russo contro l’Ucraina.
Nel corso del dibattito, i deputati dovrebbero ribadire le richieste della risoluzione adottata dal Parlamento nel maggio 2022, in cui si chiede all’UE di adottare tutte le misure necessarie nei procedimenti e nei tribunali internazionali per il perseguimento dei regimi russo e bielorusso per crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio e aggressione, a seguito dell’invasione dell’Ucraina nel 2022. Una risoluzione sarà votata dai deputati giovedì.
Alcuni tribunali internazionali stanno comunque già giudicando di alcune delle gravi violazioni del diritto internazionale compiute dalla Federazione russa e dai suoi cittadini nei confronti dell’Ucraina, ad iniziare dall’aggressione cominciata il 24 febbraio scorso. Uno sguardo a tali procedimenti, e alle caratteristiche dei tribunali che ne sono investiti, può aiutare a comprendere meglio il senso della discussione su questi temi in seno alle istituzioni europee e internazionali.
Le azioni giudiziarie intraprese contro la Russia
Il 27 febbraio 2022, pochissimi giorni dopo l’avvio dell’“operazione militare speciale”, l’Ucraina ha avviato una causa davanti alla Corte internazionale di giustizia per contestare la fondatezza della principale giustificazione addotta per tale “operazione”, cioè l’asserita esigenza di prevenire la commissione di un genocidio ai danni della popolazione filorussa in Donbass cui si richiama la dichiarazione del Presidente Putin del 24 febbraio 2022, allegata alla presa di posizione trasmessa alla Corte dalla Federazione russa.
L’Ucraina ha poi avviato un procedimento interstatale davanti alla Corte europea dei diritti umani, che prosegue nonostante l’espulsione della Russia dal Consiglio d’Europa. Tali ricorsi si affiancano a quelli già depositati dall’Ucraina dinanzi ad entrambe le corti in relazione all’annessione della Crimea e al conflitto in Donbass, e ad alcuni arbitrati. Oltre a questi processi avviati dallo Stato ucraino, molte azioni giudiziarie (davanti alla Corte europea dei diritti umani) o arbitrali (davanti a tribunali di investimenti) sono state intraprese da soggetti privati che assumono di essere vittime di illeciti compiuti dalla Russia.
Anche l’Ufficio del Procuratore della Corte penale internazionale ha avviato un’indagine sulla situazione in Ucraina il 7 marzo 2022, su richiesta di 39 stati. Qual è l’oggetto e quali i possibili esiti di queste azioni legali, che apparentemente non hanno avuto, finora, alcun impatto sulle operazioni militari né sul generale atteggiamento della Federazione russa rispetto al conflitto? Per capirlo bisogna tenere presenti le specificità della funzione giudiziaria internazionale.
Le limitate competenze dei tribunali internazionali
Diversamente da quanto avviene nei moderni ordinamenti statali, la competenza dei tribunali internazionali è fondata sul consenso degli Stati coinvolti nella procedura: questo può essere prestato in vari modi, e talvolta anche in via generale, quale condizione per la partecipazione ad un determinato sistema pattizio, come avviene per la Convenzione europea dei diritti umani.
Se è vero che, a partire dal 1990, si è registrata una crescente “giurisdizionalizzazione” del diritto internazionale, l’accesso ad un giudice internazionale non è sempre garantito né agli Stati né tantomeno ai privati, poiché si deve dimostrare l’esistenza di un’adeguata base giurisdizionale.
Così, per quanto riguarda la Corte penale internazionale, che giudica individui sospettati di aver commesso crimini internazionali, né la Federazione russa né l’Ucraina sono parti del suo Statuto, ma due dichiarazioni depositate dall’Ucraina permettono l’esercizio della sua giurisdizione rispetto ai crimini di guerra e ai crimini contro l’umanità perpetrati in territorio ucraino. Queste dichiarazioni non si estendono all’aggressione in quanto tale, che pure rientrerebbe in astratto fra le competenze della Corte; ciò spiega perché si discute di un tribunale speciale competente a giudicare di questo crimine.
Per quanto riguarda invece il contenzioso fra Stati, i procedimenti arbitrali menzionati sopra sono stati avviati sulla base della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare; i relativi tribunali possono occuparsi solo incidentalmente di questioni diverse, dovendo inoltre tenere conto delle riserve apposte dalla Russia che limitano ulteriormente la loro competenza.
Analogamente, nei processi davanti alla Corte internazionale di giustizia l’Ucraina non ha potuto contestare in via generale la liceità dell’aggressione, né, in precedenza, l’annessione della Crimea o il coinvolgimento russo nel conflitto in Donbass, appunto perché manca il consenso della Federazione russa; ha solo potuto far leva sugli impegni ad accettare la giurisdizione della Corte contenuti, rispettivamente, nella Convenzione delle Nazioni Unite contro il finanziamento al terrorismo e nella Convenzione sull’eliminazione della discriminazione razziale per la causa avviata nel 2017, nonché nella Convenzione contro il genocidio per il ricorso presentato nel 2022.
Proprio quest’ultimo procedimento – cui la Russia non prende parte, contestando radicalmente la competenza della Corte internazionale di giustizia ad occuparsi delle questioni che le sono state sottoposte – ha portato esperti del settore e gli stessi giudici a riflettere sul senso dell’esercizio della funzione giudiziaria nel contesto di un conflitto armato in atto.
In particolare, nell’ ordinanza sulle misure cautelari del 16 marzo 2022 la Corte ha ordinato alla Russia di sospendere le operazioni militari, sia dirette che compiute da gruppi e organizzazioni che agiscono sotto la sua direzione e controllo. Questa indicazione è rimasta finora lettera morta; del resto, la Corte non ha alcun potere coercitivo e l’esecuzione delle sue pronunce riposa, anch’essa, essenzialmente sul consenso degli Stati coinvolti. Ciò apparentemente avalla l’idea che la fine del conflitto si debba perseguire attraverso il negoziato o comunque per il tramite di soluzioni politiche, piuttosto che nel contesto di un’azione giudiziaria (così in particolare la Dichiarazione allegata all’ordinanza dalla Giudice cinese Hanqin Xue, par. 6).
Un ruolo centrale a questo riguardo dovrebbe spettare al Consiglio di sicurezza che, secondo la Carta delle Nazioni Unite, ha “la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale” (art. 24) e potrebbe anche disporre misure coercitive nei confronti dello Stato aggressore. Il diritto di veto spettante ai suoi Membri permanenti ai sensi dell’art. 27, par. 3, della Carta ONU rende peraltro sostanzialmente impossibile l’adozione di misure che vadano contro gli interessi della Federazione russa.
A fronte di questa paralisi, non sembrano sortire alcun risultato concreto il ruolo suppletivo svolto dall’Assemblea generale, né gli interventi di altre organizzazioni internazionali come la UE, il Consiglio d’Europa o l’OSCE, né gli sforzi di singoli Stati.
Un giudice imparziale favorisce comunque l’effettività del diritto internazionale
In un contesto di questo genere la Corte internazionale di giustizia non si può sostituire alle istituzioni politiche internazionali; tuttavia, pur con i limiti descritti sopra, l’esercizio della sua funzione giudiziaria consente l’accertamento imparziale dei fatti e la loro valutazione alla luce del diritto internazionale.
Della rilevanza di questo processo ai fini dell’individuazione di una via di uscita alla crisi sembrano convinti non solo l’Ucraina ma anche trentatré Stati occidentali, fra cui l’Italia, i quali hanno formalmente depositato delle dichiarazioni di intervento.
Ne hanno diritto in quanto parti della Convenzione contro il genocidio, come stabilisce l’art. 63 dello Statuto della Corte (mentre l’Unione europea ha fornito informazioni); la decisione di intervenire nella causa, davvero inusuale, non è verosimilmente finalizzata solo a rendere nota la propria posizione sull’interpretazione della Convenzione, ma anche a esprimere solidarietà nei confronti dell’Ucraina e fare pressione perché la Russia cessi l’aggressione.
La giurisdizione internazionale non può, da sola, assicurare la “pace attraverso il diritto” evocata da Kelsen; fra l’altro, le sue valutazioni intervengono tipicamente ex post factum e hanno solo una limitata efficacia rispetto alla prevenzione di violazioni gravi del diritto internazionale come quelle in corso in Ucraina. Tuttavia, senza di essa il perseguimento di una pace per quanto possibile giusta sarebbe ancor più difficile.