La combinazione dei farmaci anti-retrovirali iniettabili cabotegravir e rilpivirina, la cui massiva distribuzione è usata come cavallo di battaglia dal National Health Service (NHS) inglese con l’obiettivo di raggiungere zero nuove infezioni da HIV entro il 2030, sono da qualche mese disponibili anche in Italia.
“Questo è il primo regime antiretrovirale completo che non richiede la quotidiana assunzione dei farmaci per via orale – dichiara ad Agenda17 Carlo Contini, docente di Malattie infettive e tropicali e direttore della Unità operativa complessa di malattie infettive dell’Università di Ferrara -. Consiste in due diverse iniezioni in sedi distinte del gluteo che vengono somministrate bimestralmente”. Questi farmaci, che bloccano due diversi step dell’infezione virale, hanno un’emivita abbastanza lunga da consentire al paziente l’assunzione ogni due mesi.
Antiretrovirali: dalle pastiglie quotidiane a un’iniezione bimestrale
Oggi non è possibile guarire dall’infezione da HIV, ma è possibile tenerla sotto controllo grazie all’utilizzo di farmaci. Nel Mondo 28,7 milioni di persone hanno avuto accesso alla terapia antiretrovirale nel 2021).
“Anche in Africa – aggiunge Contini -, dove c’è il più grande reservoir di questa malattia, siamo passati da zero farmaci negli anni Duemila alla copertura della terapia antiretrovirale del 71% della popolazione nel 2019”.
L’obiettivo degli antiretrovirali, che puntano a mantenere la presenza del virus nel sangue sotto la soglia di detezione, è duplice: in primis, permettere alla persona infettata di rimanere in salute e ostacolare lo sviluppo della Sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS- Acquired Immune Deficiency Syndrome) e altre malattie correlate e, inoltre, impediscono la trasmissione del virus a terzi.
Per il trattamento dell’infezione da HIV “Era già stato fatto un progresso immenso nel passare da 16-18 pastiglie tutti i giorni all’inizio degli anni Novanta a una compressa, a partire dal 2010 – afferma Contini -. Trovo che questo sia di importanza strategica per la qualità della vita del paziente, non tanto per l’assunzione della pillola in sè, perchè tante patologie prevedono l’assunzione costante di farmaci, ma per il carico emotivo e sociale attorno ad essa”.
Il vaccino a mRNA contro l’HIV, la stessa tecnologia usata per quelli contro Covid-19
Come racconta Contini, è dagli anni Ottanta che si parla di vaccino, e quando sono stati descritti i primi casi di AIDS negli Stati Uniti, Robert Gallo, uno dei più grandi studiosi di AIDS, affermò che da lì a pochi mesi il vaccino ci sarebbe stato. In realtà, nonostante siano stati spesi centinaia di milioni di dollari per la ricerca, un vaccino non è stato ancora realizzato.
Ma la corsa ai vaccini non si ferma, e a marzo scorso è stato avviato uno studio clinico di Fase I per la valutazione di tre vaccini sperimentali contro l’HIV basati su una piattaforma di mRNA, la stessa tecnologia usata per quelli contro Covid-19.
La natura mutevole del virus dell’HIV lo rende un bersaglio elusivo e rappresenta un grosso limite per lo sviluppo di un vaccino efficace – ed è anche il motivo per cui le terapie antiretrovirali prevedono l’utilizzo di diversi farmaci che bloccano più step della replicazione virale. Inoltre, anche il nostro sistema immunitario non ha ancora trovato un modo di liberarsi del virus e purtroppo gli anticorpi che vengono prodotti non hanno nessun effetto protettivo per il paziente con HIV, e servono soltanto per dimostrare l’avvenuta infezione. Per gli scienziati, quindi, è più difficile “copiare” dalla natura per sviluppare una risposta efficace.
Il 2 dicembre scorso è stato pubblicato un paper sulla rivista Science sui risultati promettenti del primo studio clinico condotto sull’uomo dalla International AIDS Vaccine Initiative e dalla Scripps Research, di un vaccino che susciti anticorpi su misura negli esseri umani. La prima fase della sperimentazione, infatti, dimostra che nell’uomo è in grado di stimolare il sistema immunitario a produrre una risposta anticorpale efficace contro un’ampia gamma di varianti dell’HIV.
Il futuro non sarà migliore per tutti, conta la “lotteria delle nascite”
Ma questi progressi scientifici non si distribuiranno in maniera equa per tutti. Ancora oggi la lotteria della nascita incide sull’accessibilità alla prevenzione e ai trattamenti farmacologici. Nell’Africa sub-sahariana le adolescenti e le giovani donne hanno più del doppio delle probabilità di contrarre l’HIV rispetto ai loro coetanei maschi.
Target di popolazioni quali uomini che hanno rapporti sessuali con uomini, lavoratori del sesso, persone transgender, persone che fanno uso di droghe, detenuti e i loro partner continuano a essere colpite in modo sproporzionato dall’HIV. Ad esempio, le donne transgender hanno 49 volte più probabilità di contrarre l’HIV rispetto ad altri adulti in età riproduttiva.
Le disuguaglianze che perpetuano la pandemia dell’AIDS non sono inevitabili e possono essere affrontate aumentando la disponibilità, la qualità e l’adeguatezza dei servizi per il trattamento, i test e la prevenzione dell’HIV.
Secondo UNAIDS, il Programma delle Nazioni unite (The Joint United Nations Programme on HIV/AIDS) cui partecipano UNHCR, UNICEF, PAM, UNDP, UNFPA, UNODC, ILO, UNESCO, Oms, e Banca mondiale avviato nel 1996 per ridurre la diffusione del virus HIV e garantire un accesso universale alla prevenzione e al trattamento della malattia, è necessario riformare le leggi, le politiche e le pratiche per affrontare lo stigma e l’esclusione delle persone che vivono con l’HIV e garantire un accesso equo ai migliori trattamenti contro l’HIV nelle varie parti del Mondo.
Le disuguaglianze colpiscono maggiormente bambini e giovani adulti
Un report presentato nel 2021 dalle organizzazioni UNAIDS, PEPFAR, UNICEF, WHO, Elizabeth Glaser Pediatric AIDS Foundation riporta dati allarmanti riguardo alle profonde disparità di prevenzione e accesso ai trattamenti ai bambini e ai giovani adulti. Quasi la metà (46%) degli 1,7 milioni di bambini nel mondo che vivono con l’HIV non erano in cura nel 2020 e 150.000 bambini sono stati contagiati di recente dall’HIV, quattro volte di più rispetto all’obiettivo del 2020 di 40.000
Il rapporto mostra che il numero totale di bambini in trattamento è diminuito per la prima volta, nonostante il fatto che quasi 800mila bambini che vivono con l’HIV non siano attualmente in trattamento. Mostra anche che le opportunità di identificare precocemente neonati e bambini che vivono con l’HIV non vengono realizzate: più di un terzo dei bambini nati da madri che vivono con l’HIV non sono stati sottoposti a test. Se non curati, circa il 50% dei bambini che vivono con l’HIV muore prima di raggiungere il secondo anno di età.
Come dichiara Shannon Hader, Deputy Executive Director di UNAIDS: “Le disuguaglianze sono rilevanti: i bambini hanno quasi il 40% in meno di probabilità rispetto agli adulti di ricevere cure salvavita (54% dei bambini contro il 74% degli adulti) e rappresentano un numero sproporzionato di decessi (solo il 5% di tutte le persone che vivono con l’HIV sono bambini, ma i bambini rappresentano il 15% di tutti i decessi correlati all’AIDS). Si tratta del diritto dei bambini alla salute e a una vita sana, il loro valore nelle nostre società. È tempo di riattivarsi su tutti i fronti: abbiamo bisogno di leadership, attivismo e investimenti per fare ciò che è giusto per i bambini”.
Lo stigma e la discriminazione, l’emarginazione e la criminalizzazione delle comunità colpite e la mancanza di accesso alla sanità, all’istruzione e a altri servizi essenziali ci hanno allontanati dall’obiettivo di sviluppo sostenibile di porre fine all’AIDS come minaccia per la salute pubblica entro il 2030.
Gli obiettivi mancati hanno un tragico costo in termini di vite umane.
Molto brave Valentina, Emilia e Milva per questo completo ed esaustivo rapporto sull’AIDS. Ineccepibile la conclusione finale che ci fa riflettere sulla importanza delle diseguaglianze nell’accesso alla salute ed ai servizi sanitari nel mondo ed anche nel nostro paese.