Secondo i dati pubblicati recentemente nel dossier “Indifesa” da Terre des Hommes, organizzazione non governativa che si occupa di proteggere i diritti di bambine e bambini, stiamo perdendo i progressi raggiunti negli ultimi trent’anni contro le mutilazioni genitali femminili (Mgf) e i matrimoni precoci a causa della crisi climatica e della pandemia di Covid-19.
Le spose bambine escono dal percorso di istruzione e, di conseguenza, per loro sarà difficile trovare un lavoro adeguatamente retribuito e uscire dalla povertà, per cui rimarranno dipendenti dal marito e più esposte al rischio di violenza domestica. I matrimoni infantili poi sono la maggiore causa delle gravidanze precoci, che a loro volta sono il motivo principale di morte per le adolescenti nei Paesi in via di sviluppo. E, se non causano la morte della madre, possono provocare complicanze fisiche e mentali o il basso peso o la morte del nascituro.
Secondo il report “Motherhood in Childhood: The Untold Story” di UNFPA, il tasso di gravidanze precoci sta lentamente diminuendo rispetto a sessant’anni fa. Nonostante ciò, si stima che ogni anno nei Paesi in via di sviluppo siano 21 milioni le gravidanze precoci nelle ragazze tra i quindici e i diciannove anni, di cui circa la metà non sono pianificate. Un quarto di queste gravidanze si conclude con un aborto, praticato spesso in condizioni insicure, aumentando così il rischio di morte.
Ciò che incide sulla salute fisica e mentale della giovane madre e del bambino non è solo l’età al primo parto, ma anche la frequenza con cui vengono messi al mondo i figli: spesso, a causa della mancanza di accesso ai contraccettivi, nei Paesi in via di sviluppo il secondo parto avviene a meno di due anni di distanza dal primo, quando la madre è ancora in età adolescenziale.
Il momento del parto è ancora più pericoloso per le ragazze che devono subire la “deinfibulazione”, avendo sofferto in precedenza una mutilazione per restringere l’apertura vaginale. Le bambine che sopravvivono alle mutilazioni genitali vanno incontro a complicazioni nell’apparato genitale e urinario, dolore in corrispondenza alle mestruazioni e ai rapporti sessuali, problematiche durante il parto e problemi psicologici come il post-traumatic stress disorder. Ma alcune di loro rischiano anche di morire in conseguenza diretta al taglio per emorragie o infezioni.
“Non ci sono cifre ufficiali su quante bambine muoiono di Mgf, perché si tratta di una pratica illegale nella maggioranza dei Paesi, quindi le famiglie raramente denunciano chi le ha praticate, essendo anch’esse a rischio di incriminazione per violazione della legge. In molti Paesi la pratica è stata ‘medicalizzata’, ovvero viene effettuata da personale con una qualche formazione sanitaria, quindi teoricamente c’è un minor rischio di morte diretta. Ma si tratta comunque di mutilazioni molto pesanti, che hanno profonde conseguenze sulla vita delle ragazze” afferma Panuzzo.
Investire nell’istruzione, nella sensibilizzazione e nella salute riproduttiva
Le mutilazioni genitali femminili rappresentano la volontà di controllare la sessualità femminile tipica di una società androcratica. Poiché sono tramandate di madre in figlia, investire nell’istruzione femminile e nella consapevolezza della salute riproduttiva è uno dei modi per eliminarle. In Etiopia, infatti, l’incidenza delle mutilazioni è più bassa dell’85% tra le figlie delle donne che hanno completato anche l’istruzione secondaria rispetto alle figlie di quelle che non hanno studiato.
Ma investire nell’istruzione non basta. Servono anche iniziative di sensibilizzazione mirate che lavorino con le comunità e i leader spirituali per renderli più consapevoli dei danni che le mutilazioni comportano. Alcuni esempi sono Dear Daughters di UNFPA in Somalia e la campagna di Amref Health Africa (African Medical and Research Foundation) presso i Masai di Kenya e Tanzania, guidata dall’ambasciatrice Nice Leng’ete, che da bambina fuggì di casa per evitare il taglio. Alcune di queste campagne cercano di proporre riti alternativi di passaggio dall’infanzia all’età adulta per le ragazze, che siano rispettosi delle tradizioni locali senza essere violazione dei diritti umani.
Permettere alle ragazze di completare il percorso scolastico diminuisce anche il tasso di matrimoni e gravidanze precoci: in Ghana la percentuale di donne sposate prima dei diciotto anni è diminuita dal 41% al 19% negli ultimi trent’anni grazie agli investimenti nell’istruzione femminile. Inoltre, secondo il Guttmacher Institute, con solo 59 centesimi di dollaro in più di spesa pro capite, i Paesi in via di sviluppo potrebbero assicurare alle adolescenti servizi di contraccezione e materno-infantili, diminuendo del 60% le gravidanze non pianificate e del 63% la mortalità materna.
“Terre des Hommes è impegnata su molti di questi fronti – afferma Panuzzo – sostenendo l’istruzione di bambine e ragazze, sensibilizzando i genitori e i leader comunitari sulle conseguenze delle Mgf e dei matrimoni precoci, predisponendo percorsi di empowerment delle ragazze, per dare la possibilità di far sentire la loro voce, e offrendo sostegno e formazione professionale alle giovani madri single, perché possano uscire dalla povertà.”
E prosegue: “la mitigazione e l’adattamento alla crisi climatica possono aiutare a ridurre i matrimoni precoci perché dovrebbero riuscire a prevenire e gestire i disastri climatici che portano la povertà. Uso il condizionale perché bisogna vedere dove e come verranno portate avanti le azioni per l’adattamento e come le fasce più povere della popolazione verranno coinvolte.” Anche il fondo “Perdite e Danni” stabilito dall’ultima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop27) potrebbe aiutare, se i Paesi sviluppati manterranno le loro promesse.
Infine, un sondaggio realizzato da UNICEF e dalla World Association of Girl Guides and Girl Scouts in novanta Paesi di tutti i continenti ha evidenziato che tre ragazze su dieci non hanno chiaro che cosa sia la crisi climatica e più della metà non sono consapevoli del grande impatto che quest’ultima ha sui loro diritti. Per questo, ad esempio, in Zimbabwe Terre des Hommes ha creato dei club a livello scolastico e comunitario per la riduzione del rischio di disastri, come quello causato dal ciclone Idai nel 2019, e ha coinvolto in particolare le studentesse. Occorrono infatti azioni che puntino all’empowerment delle ragazze, perché, come recita un proverbio indiano, “chi educa un bambino, educa un uomo; chi educa una bambina, educa un popolo”.