“Non voglio dipingere la montagna come un Eldorado – afferma ad Agenda17 Luca Mercalli, climatologo e presidente della Società meteorologica italiana (Smi) –. È un luogo che avrà i suoi problemi come qualsiasi altro, ma almeno rispetto al caldo, che è l’elemento più vistoso e certo del cambiamento climatico (non a caso si chiama riscaldamento globale), la montagna è ancora un luogo dove avere un po’ più di fresco.
Gli altri fenomeni, come siccità e alluvioni, sono fenomeni indotti e secondari, e, soprattutto, colpiscono tutti. Di fatto, invece, possiamo dire che la montagna ha almeno un paio di problemi in meno rispetto agli altri territori: mantiene un caldo estivo molto inferiore e non sarà interessata dal grosso problema dell’innalzamento del livello dei mari.”
A due anni di distanza dalla pubblicazione di “Salire in montagna. Prendere quota per sfuggire al riscaldamento globale”, il lavoro di Mercalli che ha destato un notevole dibattito per la radicale soluzione prospettata, abbiamo voluto verificare con l’autore se spostarsi a vivere nelle terre alte è ancora una prospettiva sensata dopo un’estate come questa che si è chiusa, in cui la montagna ha sofferto tantissimo da tanti punti di vista.
Rischi e conseguenze non mancano, ma in montagna le condizioni restano favorevoli
“Teniamo presente – risponde il climatologo – che il caldo è un evento di lunga durata. Mentre gli altri eventi atmosferici, come le alluvioni, sono eventi estremi che accadono in poche ore, per il caldo estivo stiamo invece parlando ormai di tre o quattro mesi di sofferenza nelle zone a bassa quota.
Nonostante ci sia chiaramente un aumento di temperatura anche alle quote più elevate, in estate vivere in montagna significa avere un lungo periodo di maggiore tranquillità perché esente dal caldo soffocante delle aree urbane.
Ci sono certamente poi rischi legati a crolli e valanghe, ma erano già presenti. Possono essere esacerbati dal cambiamento climatico, ma i luoghi più esposti sono conosciuti e gli insediamenti in montagna hanno una lunga storia di scelte che ne tengono conto. Ciò non esclude l’evento nuovo ed eccezionale che può investire una zona ritenuta sicura, ma questo vale ovunque, viste ad esempio le numerose città in zone collinari di cui l’Italia è ricca.”
Il problema principale sarà probabilmente il calo dell’innevamento, che negli ultimi decenni ha portato a una perdita rilevante della copertura nevosa. Dei problemi dovuti alla siccità per i rifugi e delle difficoltà incontrate dai malgari nei pascoli Agenda17 ha dato approfondita notizia. L’impressione è che il clima in montagna stia cambiando più rapidamente di quanto ci aspettassimo: è davvero così?
“È difficile rispondere – afferma Mercalli – perché bisogna guardare agli scenari disegnati venti o trent’anni fa. Non sono mai scenari con un’unica traiettoria, ma con un fascio di traiettorie tra le quali ci sono parametri nella media e parametri, a livello probabilistico, più rari. Diciamo che gli scenari verificatisi quest’anno rientrano nelle previsioni, ma si posizionano nella fascia più alta dei nostri grafici.
In altre parole, sarebbe sbagliato dire che i cambiamenti sono più rapidi di quanto ci aspettavamo, perché in realtà ce li aspettavamo ma con una probabilità inferiore che avvenissero in questo modo: si è cioè verificato, purtroppo, lo scenario peggiore.
Potremmo dire che per l’uomo comune, non esperto di climatologia, sono più rapidi delle attese perché in genere l’attesa, per chi non parla in termini probabilistici, è la media e guardando la media l’aumento di temperatura è stato più elevato del previsto. Per noi climatologi invece non è una ‘sorpresa’, ma semplicemente la realizzazione dei casi previsti, dei quali avevamo fatto una probabilità bassa ma possibile.”
Cambieranno però paesaggio e turismo. E gli insediamenti dovranno adattarsi
Come cambierà allora la montagna in cui vivremo nel futuro?
“Penso che uno degli argomenti più importanti – conclude Mercalli – sia la gestione degli sport invernali. Il continuo aumento della temperatura porterà a una riduzione della stagione della neve, con un innevamento più breve, frammentario e intermittente. Non scomparirà totalmente, però, se cinquant’anni fa sulle Alpi la neve iniziava a novembre e finiva a Pasqua senza nessuna interruzione, oggi assistiamo sempre più spesso ad annate in cui la neve non arriva del tutto, oppure arriva troppo tardi o si scioglie troppo presto, o ancora arriva poi sparisce e ritorna, a seconda delle quote.
È chiaro che molti comprensori sciistici sono e saranno penalizzati, perché a quote medio basse. È ormai assodato che, in futuro, lo sci e gli sport invernali avranno uno spazio inferiore e bisogna investire per trovare delle alternative di frequentazione turistica che escano dalla monocoltura dello sci come unica economia delle zone turistiche di montagna.
È ovvio che bisogna costruirla questa alternativa, perché oggi molte località non offrono altro. Inoltre, proprio per il caldo estivo delle città credo che ciò che si perde di turismo invernale si potrebbe riguadagnare in termini di frequentazione estiva, anche con villeggiature a lungo termine, ad esempio per chi può lavorare a distanza.
Rimane certamente il problema del riscaldamento globale, che cambierà i paesaggi alpini per come li conosciamo oggi, portando cambiamenti nella vegetazione e nella fauna, con le specie attuali che cercheranno di salire di quota. Questi cambiamenti non saranno indolore, perché alcune specie si estingueranno e altre invasive arriveranno. Ribadisco però che tutto ciò non riguarderà solo la montagna, basti pensare che nel Mediterraneo già quest’estate era purtroppo pieno di pesci tropicali velenosi.”
Per chiudere un passo dal libro di Mercalli in cui l’autore descrive il percorso che ha portato lui e sua moglie ad acquistare e ristrutturare una baita a Vazon, nell’alta Val Susa a 1.650 metri di quota: “infine fare agricoltura, soprattutto se sostenibile o ecologica, non è facile perché si lavora all’aperto, succubi delle bizze meteorologiche, (…) esposti all’evento estremo. Se si ergono tutti questi ostacoli, una gabbia normativa assurdamente più vincolante degli stessi limiti fisici, come volete che dei giovani possano scegliere questa via? (…) Forse è meglio far di tutto per stare in alto, dove fa più fresco, dove ci sia ancora spazio, terra, e speriamo acqua. Non saremo al sicuro dagli incendi nemmeno qui, ma sempre meglio che in mezzo a paesi affollati.”