L’anno internazionale dello sviluppo sostenibile della montagna sta arrivando all’ultima tappa: la stagione invernale, che – perlomeno in Europa – coincide con quella della sci. È tempo di bilancio dei mesi appena trascorsi, prima di dedicarci a quella che ormai è chiamata la “monocoltura dello sci”, che ha la sua apoteosi nelle Olimpiadi invernali.
In questi mesi ci siamo occupati delle principali criticità che hanno coinvolto e coinvolgono i nostri rilievi – molte delle quali riconducibili alla comune matrice della crisi climatica – per documentarne i diversi aspetti e la crescente gravità.
Ma abbiamo anche dato conto delle possibili soluzioni che vengono elaborate e indicato le buone pratiche di tutela e salvaguardia. Nelle interviste fatte in questi mesi agli esperti e a chi la montagna la vive quotidianamente è emersa una visione alternativa, da un punto di vista dell’abitare, del lavorare, del visitare e tutelare la montagna. Abbiamo cercato di sottolineare la fragilità di questo ecosistema per capire come la presenza umana possa dare il suo contributo positivo, anziché limitarsi a uno sfruttamento eccessivo delle sue risorse.
Temperature troppo alte anche alle quote maggiori
I problemi maggiori sono derivati dall’eccessivo e prolungato aumento delle temperature, che ci ha nuovamente messo davanti, qualora non fossero ancora evidenti, alle potenziali e catastrofiche conseguenze di un cambiamento climatico che sta avanzando a una velocità ben maggiore di quanto ci aspettassimo. E la tragedia della Marmolada è l’evento che ha segnato in maniera indelebile questo passaggio epocale.
Una crescita economica indifferente a un utilizzo ragionevole ed equilibrato delle risorse naturali non è più accettabile, e gli effetti sono visibili oggi in tutte le attività che si svolgono in montagna. Rifugisti e malgari si sono trovati in grande difficoltà per l’assenza di acqua; incendi, alluvioni e la proliferazione di insetti distruggono i boschi alpini, risorse preziose contro il cambiamento climatico e per la tutela della biodiversità.
Prendersi cura della montagna e incentivare un turismo sostenibile
Tutto ciò dovrebbe spingere ad avere cura di un ambiente estremamente fragile. Il recupero dell’esistente deve diventare la priorità per chi vuole abitare la montagna e per chi vuole visitarla.
La possibilità che il telelavoro oggi offre è enorme per ripopolare zone finora abbandonate. Ma i finanziamenti stanziati, soprattutto con i progetti del Piano di ripresa e resilienza, devono anche essere indirizzati a un turismo diversificato, alla mobilità alternativa e al recupero delle strutture esistenti.
Sono invece purtroppo sempre più numerosi i progetti di nuove infrastrutture legate alla pratica dello sci, anche laddove la neve ormai non c’è più o rischia di scomparire nel prossimo futuro.
Un DOSSIER di bilancio e buone idee
Quello tra la montagna e i suoi abitanti è un rapporto di cura reciproca: l’uomo si prende cura della montagna e lei si prende cura dell’uomo. Turisti e abitanti, che siano tali per nascita o per scelta, devono saper coesistere nel rispetto di un territorio che è fonte di risorse e beni primari per tutti
In questo DOSSIER diamo la parola a chi – in questa prospettiva -, per professione, impegno personale e passione ha un “polso della situazione” particolarmente qualificato.
Con Luca Calzolari, direttore Montagne360, la rivista del Club alpino italiano, partiamo dalla prospettiva di chi ha visto trasformarsi in vent’anni il cambiamento climatico in crisi climatica. L’anno internazionale, in questo quadro, è stata un’occasione mancata.
Ci sono però anche ragioni di ottimismo, perché nonostante la scarsità di azioni concrete in direzione di un cambio di passo qualcosa è accaduto davvero: è aumentata la consapevolezza delle persone.
Maggiore coscienza non in senso lato, ma soprattutto in quelle fasce di popolazione più coinvolte dal cambiamento. Anzitutto i giovani che oggi, oltre ad aver ricevuto un’eredità pesante, anziché essere sempre più sfiduciati sembrano i primi a consapevolizzare il bisogno di processi d’innovazione sostenibili. E poi a coloro che in montagna vivono o sono andati a vivere, con cui nascono e distretti energetici, reti di sostegno e nuove forme di beni e servizi.
Leggi tutto Se la montagna soffre, soffriamo anche noi. Celebrazioni: occasione perduta. Ripartire dal basso e dai giovani
Con Alessandro Gogna, alpinista di fama internazionale, guida alpina e storico dell’alpinismo ripartiamo dalla tragedia della Marmolada, per affrontare il problema del rapporto fra sicurezza e libertà, problema che ha trovato nuova urgenza e declinazione dopo la disgrazia dovuta in buona parte all’aumento delle temperature anche alle alte quote.
Ma è da più di dieci anni che Gogna mette in guardia sulla questione della cosiddetta “securizzazione”, cioè dell’ossessione per la sicurezza e sulle sue conseguenze per l’alpinismo, un circolo vizioso che pare individuare nella strada normativa dei regolamenti, dei divieti e dei patentini l’unica possibile per frequentare la montagna in sicurezza.
Il Manifesto della Marmolada prodotto proprio in ricordo e come risposta istituzionale ai fatti di luglio sul ghiacciaio dolomitico segna principi importanti.
Luca Mercalli, meteorologo e autore di “Salire in montagna. Prendere quota per sfuggire al riscaldamento globale” non ha dubbi: nonostante quest’estate caldissima, trasferirsi alle alte quote è ancora una buona idea. In estate vivere alle quote più elevate significa avere un lungo periodo di maggiore tranquillità perché esente dal caldo soffocante delle aree urbane.
I problemi maggiori saranno invece legati al periodo invernale. È ormai assodato che, in futuro, lo sci e gli sport invernali avranno uno spazio inferiore, e bisogna investire per trovare delle alternative di frequentazione turistica che escano dalla monocoltura dello sci come unica economia delle zone turistiche di montagna.
Giacomo Benedetti, vicepresidente generale del Club alpino italiano, parte un bilancio di come è andata la stagione estiva nei rifugi del sodalizio.
La pressione del cambiamento climatico si è fatta sentire come mai. Anche se si sono trovate le soluzioni al problema della mancanza d’acqua, è chiaro che servono altri interventi. Ma soprattutto è evidente che, da dopo il Covid, molto è cambiato anche nelle relazioni fra le persone e nella fruizione della montagna. I rifugi possono diventare luogo e occasione di una riflessione ed elaborazione di nuove idee e comportamenti.