Sono in corso trattative tra Brasile, Indonesia e Repubblica Democratica del Congo (RDC) – i tre grandi Paesi che detengono oltre metà della foresta pluviale tropicale del Pianeta – per formare un’alleanza strategica, soprannominata l’OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries) delle foreste pluviali.
L’alleanza è stata lanciata il 14 novembre 2022 alla Conferenza delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici (Conference of Parties, COP27) in Egitto.
“L’Occidente, il Mondo intero devono capire che ci sono tre luoghi del Mondo che bisogna finanziare: la foresta amazzonica, la foresta pluviale del Congo e la foresta indonesiana – afferma Gianfranco Franz, docente presso il Dipartimento di scienze dell’ambiente e della prevenzione dell’Università di Ferrara –. Bisogna che se ne faccia carico tutto il Mondo, visto che sono gli equilibratori globali dell’atmosfera, della biosfera. Non è possibile che la tutela sia in carico solo al Brasile, o addirittura a Paesi ancora più poveri e meno rilevanti. Io credo che se il Mondo pagasse per l’Amazzonia, anche Bolsonaro accetterebbe di non disboscare. È un discorso utopistico, ma in realtà è l’unica soluzione, perché quattro anni passano in fretta.”
Le risorse ecologiche prodotte dalle foreste tropicali sono valore per tutti. Va pagato
La foresta pluviale tropicale, distribuita tra l’America centrale e meridionale, l’Africa centrale e occidentale, il Sud-Est asiatico e parte dell’Oceania, ospita oltre metà delle specie animali e vegetali del Pianeta pur coprendo solo il 6% della superficie. Questo ecosistema svolge un ruolo cruciale nel raffreddamento della Terra, sia estraendo e immagazzinando anidride carbonica che mediante la creazione di nuvole, l’umidificazione dell’aria e il rilascio di sostanze chimiche che contribuiscono a raffreddare l’ambiente.
Si stima che, a partire dagli anni Settanta, la foresta dell’Amazzonia si sia ridotta di circa il 17% a causa dell’attività umana, e che si stia avvicinando sempre più rapidamente a un punto critico – in inglese, tipping point – dopo il quale la rigenerazione dell’ecosistema diventa impossibile. Negli ultimi vent’anni, si è registrato un calo della resilienza della foresta ai cambiamenti climatici e allo sfruttamento agricolo che interessa oggi circa tre quarti del bacino amazzonico ed è più marcato nelle Regioni con meno piogge o più prossime agli insediamenti umani.
La foresta pluviale del Congo, situata principalmente nella RDC, è seconda all’Amazzonia brasiliana non solo per le dimensioni ma anche per l’entità del disboscamento, avendo perso quasi 5mila chilometri quadrati – poco meno dell’area della Liguria – soltanto nel 2021. L’Indonesia, che aveva superato il tasso di deforestazione del Brasile nel 2012, registra invece un trend in calo negli ultimi cinque anni.
Serve un accordo di cartello sul modello Opec, secondo Franz
“È fondamentale che questi Paesi si mettano a discutere insieme, cosa inedita fino ad oggi, e che facciano cartello, in assonanza a quello dell’OPEC – commenta Franz –. Il problema è culturale: da un secolo sappiamo di essere dipendenti dal petrolio, e quindi l’OPEC è stato una sorta di grimaldello per farci pagare di più le risorse che prima depredavamo a pochissimo prezzo.
L’OPEC ha cambiato il gioco, ha fatto aumentare i prezzi e diventare indipendenti o comunque rilevanti Paesi che prima non lo erano. Noi siamo disposti a pagare perché siamo costretti a usare le loro risorse, mentre culturalmente non siamo predisposti a pensare che siamo dipendenti dalla foresta amazzonica, congolese o indonesiana. Ma se questi Paesi iniziassero a parlare tra di loro, poi assumerebbero un peso diverso alle Nazioni Unite, al G20.
Un conto è Lula da solo, un altro è insieme: l’Indonesia, per esempio, è il Paese musulmano più importante dal punto di vista demografico, quindi ha voce in capitolo anche da un punto di vista religioso. Questi tre Paesi possono portarsi dietro altri Paesi, ciascuno nella propria Regione: se solo questo riuscisse ad avvenire, sarebbe benvenuto.”