“Il pacifismo è un approccio ai problemi: non significa sposare la causa dell’uno o dell’altro, ma evitare la reductio ad unum, cioè la riduzione del dibattito a una contrapposizione bipolare, cui invece spesso assistiamo e che non aiuta a ragionare. È chiaro che ci sono torti e ragioni, ma pacifismo vuol dire affrontare ogni conflitto umano, che è inevitabile, con strumenti che evitino il più possibile il ricorso alla violenza e cerchino di riportare nell’alveo di questo discorso anche gli scontri armati”. Questo quanto afferma ad Agenda17 Alfredo Mario Morelli, docente di Letteratura e filologia latina presso l’Università di Ferrara e referente della Rete Università per la Pace (RUNIPace), tra i coordinatori del convegno “Ferrara per la pace. Enza Pellecchia: per un Mondo libero dalle armi nucleari” che si terrà mercoledì 23 all’Università.
Sono due le giornate di riflessione sulla pace che si aprono a Ferrara. Un primo incontro, dal titolo “Il ripudio della guerra in tempo di guerra”, si terrà a Casa Cini oggi alle 18: organizzato da Rete pace Ferrara e Movimento nonviolento, parlerà di obiezione di coscienza e pacifismo in Russia e Ucraina.
Il convegno di domani, invece, organizzato da RUNIPace, che promuove e coordina studi e iniziative culturali sulla pace da parte degli Atenei italiani, e dall’Università di Ferrara, si aprirà alle 16.30 presso l’aula A1 di Polo degli Adelardi e potrà essere seguito in diretta streaming sul canale YouTube dell’Ateneo. Interverrà Enza Pellecchia, docente presso l’Università di Pisa e coordinatrice nazionale di RUNIpace, per analizzare la relazione tra diritto internazionale e armamenti nucleari e la possibilità di una loro concreta messa al bando.
L’università come luogo di confronto critico
Assieme a Morelli, coordinerà l’incontro Giuseppe Scandurra, docente di Antropologia culturale presso l’Università di Ferrara e delegato III Missione per il Dipartimento di studi umanistici. “I temi in gioco – afferma ad Agenda17 – sono molteplici, dalla questione ambientale, agli armamenti, fino ai temi dell’uguaglianza e del genere: tutti possono essere affrontati dentro la cornice della parola pace.”
Qual è però il compito delle università all’interno di questa cornice? Secondo i docenti, quello di offrire le proprie competenze, sia a livello strettamente scientifico, visto anche il ruolo sempre più centrale nelle guerre di tecnologie e ricerca, sia attraverso discipline come dottrine politiche, filosofia, diritto internazionale o economia.
“Prendiamo ad esempio – prosegue Scandurra – le scienze sociali: se ci riferiamo a conflitti che hanno come teatro Paesi africani, o anche Paesi più vicini come l’Ucraina, ci rendiamo conto che sappiamo pochissimo di questi territori perché in essi non si fa ricerca. Il compito dell’università è allora quello di promuovere la ricerca per offrire dati che servano a capire i bisogni reali e le aspettative dei gruppi sociali coinvolti in un contesto bellico.
Ma non solo: c’è anche forte richiesta da parte degli studenti di riflessione su quello che sta succedendo. La sensazione è che si possa generare in qualsiasi momento un conflitto ancora più cruento, che mette a rischio l’intero genere umano: c’è quindi bisogno di chiavi di lettura e interpretazione dei fatti, a maggior ragione perché quello che sappiamo è veramente poco rispetto a quello che succede. Per questo dobbiamo coinvolgere l’università e sperare di conoscere il più possibile quei contesti, in modo da intervenire poi con politiche che rispondano a bisogni reali.”
Si tratta quindi di affrontare il tema della guerra e della pace da tutti i punti di vista disciplinari possibili, e offrire ogni volta una tribuna in cui possano dialogare tra di loro. “È un compito infinito – aggiunge Morelli – e ha l’ambizione di produrre un allargamento dello sguardo che eviti la riduzione dei problemi al mero confronto politico-militare cui stiamo assistendo.
Per farlo dobbiamo dialogare con tanti soggetti che hanno natura, idee e visioni molto diverse tra loro, ma vale la pena che l’università, con il suo sguardo di apertura sui problemi, entri in comunicazione con questa pluralità di approcci e sensibilità. Il confronto e il negoziato, che speriamo avvengano a livello politico, devono partire da noi.”
Fare rete per promuovere il dialogo
Promossa dalla Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui), RUNIPace è nata per stimolare nella comunità universitaria la riflessione sul tema della costruzione e del consolidamento della pace e ne fanno parte oggi sessantotto Atenei.
“È nata diversi anni fa – spiega Morelli – su iniziativa dei colleghi pisani. L’idea era di far convergere su questo soggetto una serie di competenze disciplinari diverse, da quelle di tipo storico, filosofico e di studi sociali all’ambito economico e giuridico e con un apporto inevitabile, parlando ad esempio di armamenti, del mondo scientifico.
È un progetto molto interessante, che ha raggiunto una dimensione nazionale e a settembre si è dotato di uno statuto e due coordinatori, tra cui la professoressa Pellecchia, che interverrà al convegno.
L’obiettivo è portare l’attenzione su diversi nuclei tematici e diffonderli a tutto il processo educativo, dalla scuola all’università. In questo incontro si parlerà di armamenti nucleari e diritto internazionale, ma ci sono ad esempio anche il rapporto tra ambiente e guerra, tra migrazione e guerra, e la questione di genere.”
Oltre a ciò, l’auspicio è stabilire un dialogo continuo con tutte le realtà che, nella società, cercano di creare analisi, dibattito e riflessione su questi temi. A Ferrara è in costruzione il progetto Laboratorio per la Pace ferrarese, che sarà presentato a conclusione dell’incontro. “La scommessa – aggiunge Morelli – è creare un’interazione con i soggetti del territorio e, da qui, a livello nazionale.
Per questo è in preparazione un ricco calendario di eventi, organizzati sia dall’università sia da associazioni ed enti del territorio, ed è importante fare rete per evitare il rischio che tutto ciò sia dispersivo. Gli incontri di questi giorni sono anche un modo per entrare in contatto con le varie realtà, nella speranza di creare qualcosa i cui confini spero saranno significativi in un contesto non facile come quello attuale, dove la presenza di un pensiero dominante non aiuta la riflessione su questi temi.”
Il conflitto nucleare non è più tabù: bisogna tornare a parlarne
“Per tanto tempo, gli armamenti nucleari – prosegue Morelli – sono stati una sorta di tabù. Nel Mondo diviso in blocchi il confronto nucleare era la paura delle paure. Tuttavia, mentre gli armamenti proliferavano, la sordina messa a questo tema ci ha portato oggi a essere quasi sorpresi nel trovare di nuovo sul tavolo la possibilità dell’uso del nucleare.
Ho l’impressione infatti che buona parte della riflessione su questi temi, ma soprattutto della sensibilità diffusa nella cultura e nella società, sia rimasta ferma a molti anni fa. Era un quadro di fronte al quale tanti pensavano di non trovarsi più.
Questo ha portato anche a equivocare il significato della fine di quella fase storica di confronto tra i due blocchi: non ha generato, come si credeva, un Mondo in cui le decisioni sono più partecipate e con una nuova gestione dei conflitti, compreso quello ambientale. Piuttosto, abbiamo assistito a una realtà fatta di decisioni verticistiche, sempre meno inserite in meccanismi democratici e sempre meno in sintonia con il sentire collettivo, caratterizzato oltretutto da disarticolazione e paura. È una china globale e tutti dobbiamo sentirci impegnati, compresa l’università.”
“La mia generazione – conclude Scandurra – ha visto la scomparsa degli intellettuali come figura dell’ordine culturale. Siamo cresciuti in qualche modo senza l’idea della guerra, con una letteratura pacifista ereditata dai nostri genitori e nonni, ma di fatto con un pacifismo abbastanza annacquato, su cui non abbiamo investito molto.
Non immaginavamo infatti un domani in cui il conflitto nucleare potesse presentarsi sul serio. Oggi, tuttavia, abbiamo un dovere verso le nuove generazioni, che dovranno tenere gli occhi aperti e lottare per la sopravvivenza: quello di aiutarle a trovare strumenti di interpretazione della realtà.
Non mettiamo un cappello ideologico a quello che facciamo, ma non rivendichiamo nemmeno contesti apolitici: siamo per politicizzare i discorsi laddove c’è bisogno di trovare chiavi di lettura che producano ricadute positive rispetto a una situazione di rischio che coinvolge il Mondo intero.”