Circa 34mila chilometri quadrati – un’area superiore a quella del Belgio – di foresta amazzonica disboscata dal 2019, anno in cui Jair Bolsonaro è stato eletto Presidente del Brasile, a oggi. Senza contare la gestione della pandemia da Covid-19, che ha contato oltre 34milioni di contagi e 600mila decessi e che ha fortemente interessato la comunità indigena, spesso abbandonata a se stessa e alle proprie difficoltà. Queste sono solo alcune delle ragioni che giustificherebbero l’aumentato numero di candidati indigeni alle elezioni politiche in Brasile: si parla di quasi il doppio rispetto alle elezioni precedenti.
I dati sono emersi dall’incontro “I guardiani della Terra” tenutosi in occasione del Festival di Internazionale a Ferrara. A seguito del primo turno elettorale del 2 ottobre, abbiamo intervistato Ricardo Rao, avvocato e indigenista brasiliano rifugiato in Italia, uno dei relatori dell’incontro.
“L’elevato numero di candidati indigeni alle elezioni in corso – spiega Rao ad Agenda17 – può essere spiegato come un atto di autodifesa. Mai prima d’ora abbiamo assistito in Brasile a un discorso di odio così forte contro la popolazione indiana, mai prima d’ora. Per questo motivo, credo che i movimenti indigeni abbiano pensato di dover trovare un modo migliore per proteggersi.”
Genocidio, oltre che ecocidio
Secondo un report di Greenpeace pubblicato a gennaio, il tasso di deforestazione sarebbe aumentato di oltre il 75% dall’anno in cui Bolsonaro si è insediato al potere. Ma, secondo Rao, “non c’è nesso diretto fra la presa di coscienza da parte della popolazione indigena e la situazione della foresta Amazzonica. O meglio, potrebbe essere ma non come collegamento diretto. Cercano di essere eletti per proteggersi, perché la loro vita è a rischio. La loro esistenza fisica è a rischio.”
Rao sostiene infatti che si tratta di una situazione ben più grave rispetto a quella che può essere descritta o giustificata guardando unicamente all’ecocidio di cui Bolsonaro sarebbe responsabile. “Naturalmente – precisa – se si cerca di difendere il proprio territorio, si difende anche se stessi e la foresta. Ma tracciare un legame diretto tra l’aumento della deforestazione e l’aumento dei candidati indigeni a queste elezioni non è corretto, non è abbastanza solido. Potrei sbagliarmi, ma questa è la mia analisi. Credo che la situazione sia molto più grave: stiamo parlando di un genocidio.”
Molti, infatti, parlano di un vero e proprio genocidio. L’omicidio, divenuto tristemente noto, del giornalista britannico Dom Philips e dell’esperto e difensore dei diritti dei popoli indigeni Bruno Pereira, non è un caso isolato. Sempre secondo Greenpeace, i leader indigeni brasiliani accusano Bolsonaro di danni ambientali, uccisioni e persecuzioni senza precedenti e chiedono alla Corte penale internazionale (Cpi) di aprire un’indagine a suo carico per “crimini contro l’umanità”.
“Due delle più note candidate indigene – prosegue Rao – Sonia Guajajara e Célia Xakriabá, parlano molto della necessità di un modo più efficace di difendere l’Amazzonia, e penso che siano oneste e sincere. Ma credo davvero che se abbiamo avuto così tanti candidati indigeni sia stato per il genocidio contro gli indiani. L’ecocidio perpetrato da Bolsonaro contro la foresta pluviale potrebbe essere una ragione secondaria.”
Il ballottaggio: vincerà Lula ma il suo governo sarà impotente perché il parlamento è contrario
“Il secondo turno – secondo Rao – Lula lo ha già vinto. Lo sappiamo già, è matematico. Non è possibile che Bolsonaro vinca. Tutti i sondaggi sono a favore di Lula da circa un anno, per cui credo davvero che Lula vincerà. Ma il governo di Lula è nato morto, perché il parlamento nel sistema brasiliano ha l’ultima parola e il parlamento è assolutamente fascista.”
Questa era anche la sua opinione alla vigilia del primo turno elettorale, quando si era dichiarato certo della vittoria di Lula al primo o al secondo turno, ma non della sua effettiva salita al potere. Il giorno prima delle elezioni, infatti, si respirava un clima di calma apparente e attesa angosciosa anche a detta di Angelo Ferracuti, autore, insieme a Giovanni Marrozzini, del libro “Viaggio sul fiume mondo. Amazzonia”. Soprattutto a Manaus, da dove lo scrittore si era collegato per intervenire al Festival di Internazionale e dove si sentirebbe particolarmente l’influenza di Bolsonaro, si temevano attacchi militari a seguito dell’eventuale vittoria di Lula, il candidato del partito dei lavoratori già da molto tempo dato per favorito.
Ad oggi, la situazione è ancora in stallo come il 1 ottobre. Al primo turno, infatti, non c’è stata una vittoria netta, visto che nessuno dei candidati ha superato il 50% dei voti, con Luiz Inácio Lula da Silva che ha ottenuto il 48,43% dei consensi e il presidente uscente, Jair Bolsonaro, il 43,2%. Non resta dunque che aspettare il ballottaggio del 30 ottobre, per scoprire come si evolveranno i fatti.