Tutte le guerre finiscono, prima o poi. Uno dei problemi è come finiscono. Il problema della guerra in Ucraina – solo uno dei numerosi, e spesso ferocissimi, conflitti in atto nel Mondo – è che potrebbe finire con un conflitto nucleare.
Certamente si tratterebbe di un azzardo enorme da parte della Russia e dai risultati militari e politici incerti, ma non da escludere completamente. Soprattutto non è possibile escludere che scelte che oggi paiono illogiche diventino domani opzioni convenienti o quantomeno disperatamente obbligate. Chi, più dell’Europa, ha conosciuto gli immani disastri di un secolo di corsa agli armamenti nell’illusione di conquistare una pace vantaggiosa? Ora, nel nuovo millennio, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha messo in moto una corsa al riarmo e una revisione del modello strategico della NATO (North Atlantic Treaty Organization) che rende la pace molto più a rischio.
In questa situazione, se fermare la guerra è forse impossibile, cercare tutte le strade praticabili per costruire una tregua è doveroso. Mentre il quadro delle relazioni diplomatiche continua a deteriorarsi (ne è un esempio il recente maggior coinvolgimento di Iran e Israele, attori in teatri di gravi tensioni internazionali) e sul terreno accelera l’escalation militare (impiego di armi a gettata sempre maggiore, distruzione di infrastrutture vitali) è necessario e propedeutico a ogni soluzione del conflitto aprire un negoziato, al di là di ogni altra considerazione. Senza tregua non ci può essere spazio per un’azione diplomatica che conduca a una pace per quanto difficile essa sia.
È necessario dunque che sui termini del negoziato si apra un dibattito pubblico. Anche i termini del negoziato vanno “negoziati”: l’iniziativa avrà tanta più possibilità di successo quanto più ampiamente accettabili sono i suoi termini nell’opinione di cittadini e quanto meno i suoi promotori sono percepiti come partigiani di una parte. Naturalmente ogni proposta di negoziato sarà criticata sia per i suoi contenuti specifici ritenuti poco efficaci sia perché l’idea stessa di negoziato è avversata da chi pensa che la soluzione sia nella sconfitta di chi è individuato come nemico della pace.
Per articolazioni della proposta e posizione personale dei proponenti, in questi giorni sono al centro del’attenzione due appelli. Uno è stato lanciato da ex diplomatici italiani, persone che hanno esperienza professionale di alto livello di questi temi, l’altro da noti intellettuali di diversa storia e collocazione politica e intellettuale.
L’appello degli ambasciatori
Un appello per l’avvio di negoziati per la pace in Ucraina è stato promosso con una lettera aperta da un gruppo di oltre quaranta diplomatici italiani non più in servizio. Si tratta di ex ambasciatori che hanno ricoperto importanti ruoli internazionali, come nel caso di Antonio Armellini, Maria Assunta Accili, Rocco Cangelosi, Paolo Foresti, Armando Sanguini, Riccardo Sessa, Domenico Vecchioni.
L’appello degli ambasciatori parte dall’ analisi della situazione: “La guerra in Ucraina prodotta dall’aggressione russa sta degenerando verso scenari devastanti, che potrebbero mettere in pericolo la vita di milioni di persone e sfociare in un ‘inverno nucleare’. A fronte dell’annessione illegale del Donbass e di due altre regioni ucraine, approvata dalla Duma russa dopo il recente referendum farsa, il governo di Kiev ha firmato un decreto che vieta qualsiasi trattativa con il governo di Mosca e ha chiesto ufficialmente l’adesione alla Nato, pur consapevole che la richiesta è irricevibile […]Dopo mesi di guerra e di perdite umane le posizioni di entrambe le parti si sono irrigidite. I falchi russi chiedono un utilizzo della forza senza remore, fino all’uso dell’arma nucleare tattica, ma anche nel campo occidentale molteplici sono le pulsioni per una continuazione del conflitto fino alla resa totale di Mosca.”
“Sentiamo pertanto il dovere di rivolgere un appello al Governo italiano – continua l’appello – affinché si faccia promotore in sede europea di una forte iniziativa diplomatica mirante all’immediato cessate il fuoco e all’avvio di negoziati tra le parti. Italia, Francia e Germania – a cui si unirebbero auspicabilmente altri Paesi dell’Unione – possono influire, assieme alle Istituzioni europee, sulla strategia della Nato con una postura di fermezza, nell’ambito della solidarietà atlantica, come è accaduto altre volte in passato. Tale iniziativa contribuirebbe altresì al rafforzamento e allo sviluppo di una politica estera e di sicurezza comune: presupposto imprescindibile per la realizzazione di una Unione politica e federale europea.”
L’ appello dei diplomatici indica come primo obiettivo il cessate il fuoco e l’avvio immediato di negoziati tra le parti “al fine di pervenire: 1) al simmetrico ritiro delle truppe e delle sanzioni; 2) alla definizione della neutralità dell’Ucraina sotto tutela dell’Onu; 3) allo svolgimento di referendum gestiti da Autorità internazionali nei territori contesi. La convocazione di una Conferenza sulla Sicurezza in Europa sarà, infine, lo strumento del ritorno allo spirito di Helsinki e alla convivenza pacifica tra i popoli europei”.
L’appello degli intellettuali
L’appello lanciato da undici intellettuali è una lettera inviata al direttore de L’Avvenire, giornale cattolico. Anche in questa lettera è la preoccupazione per una possibile escalation nucleare a motivare la necessità di un impegno per la tregua: “la minaccia di un’apocalisse nucleare non è una novità. L’atomica è già stata usata. Non è impossibile che si ripeta. È caso ampiamente contemplato nei manuali di strategia […]Non ci si può rassegnare. Ma a una volontà razionale di pace bisogna offrire uno scenario credibile per chiudere questo conflitto, divampato con l’aggressione russa al di là delle gravissime tensioni nel Donbass”.
Per i firmatari (Antonio Baldassarre, Pietrangelo Buttafuoco, Massimo Cacciari, Franco Cardini, Agostino Carrino, Francesca Izzo, Mauro Magatti, Eugenio Mazzarella, Giuseppe Vacca, Marcello Veneziani, Stefano Zamagni) i punti di partenza realistici e credibili per un cessate il fuoco sono:
1) Neutralità di un’Ucraina che entri nell’Unione Europea, ma non nella Nato, secondo l’impegno riconosciuto, anche se solo verbale, degli Stati Uniti alla Russia di Gorbaciov dopo la caduta del muro e lo scioglimento unilaterale del Patto di Varsavia.
2) Concordato riconoscimento dello status de facto della Crimea, tradizionalmente russa e illegalmente “donata” da Kruscev alla Repubblica Sovietica Ucraina.
3) Autonomia delle Regioni russofone di Lugansk e Donetsk entro l’Ucraina secondo i Trattati di Minsk, con reali garanzie europee o in alternativa referendum popolari sotto la supervisione dell’Onu.
4) Definizione dello status amministrativo degli altri territori contesi del Donbass per gestire il melting pot russo-ucraino che nella storia di quelle Regioni si è dato ed eventualmente con la creazione di un ente paritario russo-ucraino che gestisca le ricchezze minerarie di quelle zone nel loro reciproco interesse.
5) Simmetrica de escalation delle sanzioni europee e internazionali e dell’impegno militare russo nella regione.
6) Piano internazionale di ricostruzione dell’Ucraina.