Chi ha fatto esplodere i gasdotti Nord Stream 1 e 2, posati sul fondo di un tratto di mare sorvegliatissimo dalla flotta e aviazione NATO? Chi ha fatto saltare il ponte che collega la penisola di Crimea alla Russia, un’arteria vitale sotto stretto controllo russo?
Le fonti di parte si sono scatenate in ricostruzioni di propaganda. E questo è normale in guerra. Le fonti giornalistiche – quelle, in verità sempre più rare, lontane dalle parti – arrancano e azzardano. Ipotesi. Ipotesi che sono perlopiù deduzioni da proposizioni generali di tipo retorico (ad esempio “a chi giova?”). Altro non possono fare, perché mancano i dati, mancano le prove, manca la “pistola fumante” dell’inchiesta giornalistica.
Il problema è che probabilmente il giornalismo delle redazioni “tradizionali”, anche quelle poche al Mondo che hanno ancora risorse per fare inchieste e la volontà di avviarle, non può arrivare a quelle prove. Non solamente perché ormai – dai tempi della guerra in Iraq – ai giornalisti è difficilissimo avvicinarsi al teatro di guerra, se non nella forma strettamente controllata dagli eserciti del giornalista embedded (aggregato alle truppe), ma anche perché quei dati e informazioni non si trovano lì: sono nei file che contengono gli ordini, le conversazioni, i rapporti dei responsabili.
Aprire quei file è il lavoro di un giornalismo scientifico d’inchiesta nuovo e specializzato: quello che ha fatto Julian Assange con la redazione di WikiLeaks. I documenti contenuti nei file che WikiLeaks ha condiviso e controllato con le redazioni delle grande testate internazionali, proteggendo le fonti, hanno svelato, tra le altre cose, 15mila morti civili mai conteggiati nella guerra in Iraq e le uccisioni stragiudiziali con i droni, nelle quali centinaia di persone sono uccise con aerei comandati da lontano in aree remote di Paesi come Pakistan, Afghanistan, Yemen o Somalia.
Per questo Julian Assange – accusato di spionaggio – rischia 175 anni in una prigione statunitense di massima sicurezza, nella quale i detenuti sono in totale isolamento
Il potere sa tutelare i suoi segreti: il metodo Wikileaks è indispensabile
Julian Assange è in carcere nella prigione di Belmarsh, nel Regno Unito, per aver rivelato al Mondo con il suo lavoro di giornalista verità e inganni che il potere avrebbe invece voluto tacere. Lo ha fatto in collaborazione con le maggiori testate giornalistiche internazionali, che – a differenza di Assange – non hanno subito alcuna ritorsione. E che, soprattutto, oggi perlopiù tacciono di fronte all’accanimento nei confronti di un uomo divenuto un capro espiatorio per dissuadere tutti gli altri.
Tutelare la vita e la libertà di Assange significa perciò anche tutelare la nostra stessa libertà. Il metodo scientifico con cui Wikileaks ha rivoluzionato il giornalismo d’inchiesta a livello internazionale è infatti l’unico strumento che abbiamo oggi per conoscere i segreti di cui il potere vuole tenerci all’oscuro.
Gli Stati, la grande finanza e le principali aziende mondiali hanno infatti sviluppato tecnologie sempre più sofisticate per custodire e rendere inaccessibili dati e informazioni compromettenti.
Di fronte a ciò, il giornalismo che ancora voglia essere “cane da guardia” del potere non può che adeguarsi, sviluppando a sua volta metodi e strategie per superare le barriere informatiche e smascherarne gli inganni.
Non si tratta di far emergere legittimi segreti di Stato o mettere a rischio la vita di politici e militari (come si è voluto far credere per screditare il lavoro di Assange), ma di rivelare crimini di Stato e illecite manovre finanziarie affinché non sia garantita l’impunità a chi li ha commessi. WikiLeaks lavora così: mette insieme le proprie verifiche con quelle svolte dai giornalisti che lavorano per l’informazione tradizionale, così che ci siano due tipi di controlli in parallelo. Poi pubblica i file originali, mentre i giornali pubblicano le inchieste basate su di essi.
La Rete oggi ha enormi potenzialità. Il giornalismo deve saperle sfruttare a vantaggio del suo ruolo primario di rappresentante di un’informazione critica e libera, che sia cioè basata sui fatti e su dati verificati e comprovati e sulla tutela delle proprie fonti.
Il giornalismo di WikiLeaks serve alla pace
Possiamo quindi fare a meno di giornalisti come Julian Assange e la sua Wikileaks in uno scenario internazionale così incerto e delicato come quello di oggi, in cui l’escalation verso la guerra nucleare dipenderà anche dalla manipolazione dell’opinione pubblica?
In questi mesi ci siamo chiesti più volte se la pandemia, le guerre, la minaccia nucleare, la crescita degli armamenti in tutto il Mondo e la crisi della democrazia e dei diritti civili non debbano essere uno stimolo a tutelare, oggi più che mai, il libero pensiero e il dibattito nell’opinione pubblica. Ma perché possano farlo, è indispensabile che l’opinione pubblica disponga di informazioni e dati con cui confrontarsi (il ruolo della propaganda sulle inesistenti “armi di distruzione di massa” nello scatenare la guerra in Iraq che ha destabilizzato il Medio Oriente ce lo ricorda il bel film Official Secrets disponibile in questi giorni su Rai Play). Ecco perché la risposta a quella domanda è no: ad Assange e a quello che rappresenta non possiamo permetterci di rinunciare.
A questo punto è solo l’opinione pubblica che può oggi salvare Assange, facendo pressione sui Governi perché pongano fine a una situazione ingiusta e assurda.
È per questo che sabato scorso una catena umana si è formata attorno al Parlamento inglese, con la moglie e i figli di Assange in prima linea assieme a migliaia di persone per chiedere la liberazione del giornalista. Nelle stesse ore, un’altra catena si è formata a Melbourne, la sua città natale, con la partecipazione dei suoi famigliari.
Manifestazioni in tutto il Mondo
Ed è per questo che domani si terrà in tutto il Mondo una “24h non-stop per Julian Assange”. Si tratta di una giornata che ospiterà eventi di vario tipo in numerose città, con una diretta che collegherà le diverse iniziative tra loro.
L’Italia sarà presente con numerose adesioni, mentre per la Gran Bretagna sono previste manifestazioni alla Belmarsh prison, Londra e Manchester. Grandi assenti, invece, sono proprio gli Stati Uniti.
Nel nostro Paese, le iniziative toccheranno tutta la Penisola: Acquedolci, Bologna, Cagliari, Faenza, Firenze, Luino, Milano, Milazzo, Potenza, Roma, Rovato, Torino, Trapani, Tregnago, Val di Susa e Varese. Sono alcune delle città in cui i comitati locali si collegheranno alla 24h in un momento e per un tempo preciso, partecipando con contributi come eventi di quartiere, spettacoli e manifestazioni.
Nel comitato promotore c’è anche Amnesty International, che dall’inizio segue da vicino la vicenda di Assange denunciando la violazione dei diritti umani in atto, oltre a diverse organizzazioni per la pace.