Recentemente ad Haarlem, in Olanda, si è deciso di vietare la pubblicità della carne negli spazi pubblici a partire dal 2024 con lo scopo di ridurne il consumo e, quindi, le emissioni di gas serra, di cui la produzione di carne è tra le principali responsabili. Ziggy Klazes, consigliera del partito ecologista olandese, ha dichiarato: “non possiamo dire alle persone che c’è una crisi climatica in atto e incoraggiarle a comprare prodotti che sono parte della causa.”
I gas serra di origine antropica derivati dall’allevamento di bestiame destinato alla produzione di carne e latticini, infatti, equivalgono al 14,5% del totale delle emissioni, superando anche i mezzi di trasporto (13%). Inoltre, il nostro sistema alimentare è responsabile di un’enorme perdita di biodiversità: per questo, secondo un report di Chatam House, United Nations Environmental Program (UNEP) e Compassion in World Farming, è necessario rivolgere i modelli dietetici globali verso diete basate prevalentemente su alimenti di origine vegetale.
I benefici che ne deriverebbero riguarderebbero non solo l’ambiente, ma anche la salute delle popolazioni e la riduzione dei rischi di pandemie.
Il consumo di carne cala sia nei Paesi ricchi sia in quelli poveri, ma per motivi diversi
A livello globale, il consumo globale di carne è in aumento (dal 1961 è addirittura quadruplicato in termini assoluti e pro-capite), in relazione sia alla crescita media della popolazione sia alla crescita del reddito individuale. Tuttavia, mentre in molti Paesi ad alto reddito rimane statico, se non addirittura in calo, e in quelli poveri molto basso, sono le Nazioni emergenti a registrare un aumento considerevole, soprattutto del pollame.
Uno studio pubblicato lo scorso anno su Multidisciplinary Digital Publishing Institute (MDPI) ha analizzato il consumo di carne nei diversi Stati tra il 2000 e il 2019. Tra i Paesi che ne hanno ridotto il consumo, alcuni lo hanno fatto per mancanza di risorse (il calo del prodotto interno lordo e la crescita della popolazione hanno reso la carne meno disponibile) e per le condizioni climatiche avverse.
Il Paraguay, ad esempio, è tra i primi dieci esportatori di carne bovina al Mondo con i più alti tassi di deforestazione legata al pascolo, ma gravi siccità e incendi ne hanno compromesso la produzione. Anche in Nigeria, dove la maggior parte della produzione è portata avanti dai pastori con tecniche tradizionali, le calamità metereologiche hanno determinato un calo nel consumo.
Ci sono poi Paesi, come Canada, Nuova Zelanda e Svizzera, che secondo i ricercatori potrebbero aver ridotto il consumo di carne proprio per l’impatto ambientale degli allevamenti, la ridotta sicurezza alimentare e una maggiore attenzione al benessere animale, oltre alla maggiore disponibilità di proteine alternative.
Tuttavia, secondo Greenpeace il consumo di carne nella sola Unione europea dovrebbe diminuire del 71% entro il 2030 e dell’81% entro il 2050 per ridurre in maniera efficace l’impatto sul clima. Abbiamo quindi chiesto a Nicola Marchetti, docente di Chimica degli alimenti presso l’Università di Ferrara, se e come è possibile oggi sostituire la carne nella nostra alimentazione.
Le farine di insetti: proteine alternative e più sostenibili
“La decisione presa ad Haarlem – afferma ad Agenda17 Marchetti – penso riguardi fondamentalmente gli allevamenti intensivi, che sappiamo essere estremamente inquinanti a causa delle emissioni di gas serra e dei liquami riversati nell’ambiente.
Modificare le abitudini alimentare di una popolazione o una fascia di essa è un processo molto lento e non facile. Bisognerebbe però sicuramente individuare strategie integrate per limitare l’impatto degli allevamenti intensivi e avere nel tempo qualche risultato di mitigazione, ma non credo sia da demonizzare il consumo di carne in quanto tale.
Diciamo che a essere dannoso è l’eccesso nel consumo. L’abbassamento del rischio per la salute umana è strettamente legato a un’alimentazione equilibrata e all’eliminazione di prodotti lavorati. Scegliere quindi ad esempio una carne di alta qualità significa ridurre notevolmente additivi e conservanti al loro interno. Sarebbe quindi utile sensibilizzare sui comportamenti alimentari sbagliati.”
Secondo la Food and Agriculture Organization (FAO), gli allevamenti bovini sono i principali responsabili di emissioni (65% del totale del settore zootecnico). Seguono la carne di maiale (9%), il latte e la carne di bufala (8%), la carne e le uova di pollo (8%) e la carne e il latte di piccoli ruminanti (6%).
“Passi avanti – prosegue il docente – sono stati compiuti nei tentativi di sostituire le proteine della carne con alimenti proteici di origine alternativa e tra le soluzioni più avanzate ci sono le farine di insetti, che hanno un impatto ambientale limitato, non richiedono tanta acqua e cibo e non producono emissioni di gas serra e liquami.
Inoltre non ci sono problemi di zoonosi, mentre gli allevamenti intensivi tradizionali richiedono un uso di farmaci per contrastare le malattie che derivano anche dal sovraffollamento, determinando il fenomeno dell’antibiotico resistenza.
Sicuramente oggi sui mangimi la ricerca scientifica è attiva e la loro qualità è aumentata moltissimo, con una serie di lavorazioni a livello enzimatico per far sì che l’animale possa assimilare nel modo migliore una serie di componenti riducendone anche l’impatto, ad esempio un minor contenuto di fosforo nei liquami.
Resta il fatto che, finché non cambiamo l’intensività dell’allevamento, eliminare l’uso degli antibiotici credo sia difficile. Gli allevatori e il mondo scientifico sanno cosa significa somministrarne una quantità eccessiva agli animali, ma sanno anche quanto è grande il problema delle zoonosi.
Per quanto riguarda le farine di insetti, invece, hanno le stesse caratteristiche organolettiche delle proteine cui siamo abituati. Certamente molti possono rimanere ancorati a pregiudizi di tipo psicologico, ma gli esperimenti fatti finora hanno dato la possibilità di creare dei prodotti del tutto equivalenti.
A questo si aggiungono ovviamente le alternative vegetali in uso da tempo, come i legumi o la soia, che attraverso la cosiddetta “complementazione proteica” possono essere mescolate con altre proteine per avvicinarsi, anche molto bene, al valore biologico delle proteine della carne.”