Movimenti ambientalisti e cittadini chiedono una presa di posizione forte alla Regione Emilia Romagna sul consumo di suolo. A metà settembre Legambiente Emilia Romagna e la Rete per l’emergenza climatica e ambientale (Reca) hanno depositato 7000 firme per quattro leggi d’iniziativa popolare.
I temi sono l’acqua, i rifiuti, l’energia e proprio il consumo di suolo. “Sottolineiamo l’importanza delle pratiche di riuso degli spazi e di rigenerazione urbana (ad esempio un censimento approfondito delle aree urbanizzate ma inutilizzate) – spiega Legambiente Emilia Romagna nel suo comunicato stampa – e la necessità di abbandonare progetti anacronistici legati alla mobilità su gomma come Passante di mezzo, autostrada Cispadana e bretella Campogalliano-Sassuolo”. Le proposte di Legambiente Emilia Romagna e Reca dovranno essere consegnate ora alle Commissioni consiliari competenti.
Dopo Lombardia e Veneto, l’Emilia Romagna è attualmente al terzo posto in Italia sia per l’aumento di suolo consumato in un anno (+ 658 ettari) sia per il totale di suolo consumato in un anno (200.000 ettari), come rilevato dal Rapporto annuale redatto dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snapa) con l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).
Promesse di sostenibilità tradite In Italia ed Europa
Il Rapporto 2021 ha peraltro confermato il generale trend negativo già rilevato, nonostante la pandemia, nel 2020. Dati paragonabili derivano dal monitoraggio redatto dall’Alleanza sviluppo sostenibile (Asvis) nel suo Rapporto 2021.
“Addio alle promesse di sostenibilità, addio slogan politici che fingono di preoccuparsi dell’ambiente, addio Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile – aveva dichiarato in merito il Paolo Pileri, docente di pianificazione e progettazione urbanistica del Politecnico di Milano, alla presentazione del Rapporto di Snpa – tutto torna a dieci anni fa, tutto da rifare e all’orizzonte non ci sono bagliori, né di sensibilità né di saggezza”.
Eppure, lo stop al consumo di suolo fa parte degli impegni assunti dall’Italia a diversi livelli. A convergere sono l’obiettivo della Land degradation neutrality parte dell’Agenda 2030 delle Nazioni unite, ricordato da Pileri, e gli indirizzi dati dall’Unione europea.
Come si legge sul sito dell’Ispra, “a livello nazionale il Piano per la transizione ecologica (Pte) ha fissato l’obiettivo di arrivare a un consumo netto pari a zero entro il 2030, ovvero anticipando di vent’anni l’obiettivo europeo [attualmente fissato al 2050 dal Parlamento e dal Consiglio nel 2013, ndr] e allineandosi alla data fissata dall’Agenda per lo sviluppo sostenibile.
L’azzeramento del consumo di suolo, secondo il Pte, dovrà avvenire sia minimizzando gli interventi di artificializzazione, sia aumentando il ripristino naturale delle aree più compromesse, quali gli ambiti urbani e le coste ed è considerato una misura chiave anche per l’adattamento ai cambiamenti climatici, da normare attraverso un’apposita legge nazionale, come già richiamato anche dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).”
Date le scadenze sempre più vicine, è chiaro come le decisioni prese nei prossimi mesi a livello regionale, nazionale e comunitario saranno cruciali. Proprio quest’estate, la Commissione europea ha aperto la consultazione sulla nuova Strategia europea per il suolo, invitando tutte le parti in causa – agricoltori, pianificatori del territorio, governi nazionali, imprenditori, autorità locali, movimenti e terzo settore, singoli cittadini – ad inviare contributi utili entro il 24 ottobre.
Uno degli obiettivi più importanti della Strategia – che riguarda anche in maniera più generale la salute del suolo e degli ecosistemi ad esso collegati – è invertire i processi di perdita di biodiversità e cementificazione, determinati, tra le altre cose, dal cambiamento d’uso dei terreni e dall’eccessivo sfruttamento.