Da metà luglio a inizio agosto, una serie incessante di focolai incendiari si è avvicendata nei boschi del Carso al confine tra Italia (Province di Gorizia e Trieste) e Slovenia. Le fiamme si sono propagate con un’intensità mai vista prima mettendo a repentaglio, sul fronte italiano, l’intera area compresa tra Gorizia, Monfalcone e Trieste: vie di collegamento chiuse per diversi giorni, alcuni centri abitati evacuati, interruzioni della linea elettrica, chiusura temporanea di stabilimenti industriali e attività commerciali, picchi di polveri sottili tanto elevati da richiedere l’uso delle mascherine ffp2.
Il bilancio, a roghi spenti, è drammatico: più di 4mila ettari di superficie bruciata, di cui oltre 3700 ettari di bosco per una perdita di biomassa di circa 200mila metri cubi. In altre parole, è andato in fumo un terzo del volume di alberi e arbusti che erano presenti nell’area prima dell’incendio.
Dietro ai roghi, il clima che cambia
Una delle prime cose che ci si chiede a incendio domato, in questo come in tutti gli altri episodi, è quale sia stata la causa dei roghi. Dai mozziconi di sigaretta all’attrito del treno sulle rotaie, dall’accensione di fuochi liberi all’azione dei piromani, le ipotesi plausibili sono molte e su ciascuna si può agire per prevenire l’innesco. Ma queste cause (insieme a quelle naturali, come i fulmini) non sono certo una novità dell’ultima ora e non giustificano l’estensione, la numerosità e la durata degli episodi avvenuti quest’anno, in Carso come nel resto d’Europa. La causa a monte del divampare così massiccio delle fiamme è infatti, ancora una volta, riconducibile al cambiamento climatico.
“Gli incendi da sempre plasmano e modificano gli ecosistemi forestali – spiega ad Agenda17 Giorgio Alberti, docente di Selvicoltura e assestamento forestale presso il Dipartimento di scienze agroalimentari, ambientali e animali dell’Università di Udine – e sono importanti per lo sviluppo e la rigenerazione di boschi e foreste. Il funzionamento di questi ecosistemi viene però pregiudicato se la frequenza e l’intensità degli incendi aumenta in modo significativo, come sta succedendo a causa del cambiamento climatico in atto.”
“Eventi ampi come quelli di quest’anno – continua il docente – sono da collegare all’estate molto calda e siccitosa, che ha portato a un forte incremento della biomassa secca e altamente infiammabile. A questo si sommano altri due problemi del Carso: la scarsa gestione e manutenzione dei boschi e la presenza di specie non autoctone che prendono fuoco più facilmente, come il pino nero che è molto infiammabile perché ricco di resina.”
Il Carso, un laboratorio di gestione forestale per il clima
È chiaro allora che dobbiamo agire in fretta per tutelare gli ecosistemi forestali e prevenire, per quanto possibile, altri episodi incendiari di questa portata. Spenti gli ultimi focolai, il Carso diventa così un “laboratorio a cielo aperto” in cui sviluppare strategie e interventi di gestione forestale per far fronte al cambiamento climatico e ai suoi effetti.
Delle possibili soluzioni si è discusso, a inizio settembre, anche durante l’incontro “Funzione e gestione dei boschi carsici nell’attuale crisi climatica”, organizzato dalle delegazioni regionali di Legambiente e World Wildlife Fund (WWF) a Doberdò del Lago, Gorizia, nel cuore dell’area più colpita in territorio italiano. Tra i tecnici e gli esperti di vari enti e istituzioni regionali, dalle Università alla Regione Friuli Venezia Giulia e al Corpo forestale, c’era anche Alberti.
Il docente ha illustrato i possibili interventi per prevenire gli incendi e, ancor più, per rendere le foreste nostre alleate nel contesto della crisi climatica. Agendo sugli ecosistemi forestali, infatti, possiamo agire su entrambi i fronti del contrasto ai cambiamenti climatici: mitigazione e adattamento.
“Il passo fondamentale per la mitigazione è cambiare il nostro stile di vita e ridurre le emissioni di gas serra – sottolinea Alberti – ma anche i boschi e le foreste possono aiutarci nella regolazione climatica. Le piante, grazie alla fotosintesi, catturano infatti l’anidride carbonica dall’atmosfera e la immagazzinano nella materia organica.”
Possiamo insomma immaginare le foreste come delle enormi spugne verdi, capaci di assorbire il pericoloso gas serra rimuovendolo dall’atmosfera.
Foreste più resistenti e resilienti per adattarsi al clima che cambia
Se la mitigazione agisce alla fonte, l’adattamento guarda agli effetti del cambiamento climatico, cercando soluzioni per ridurli. In che modo, allora, possiamo rendere gli ecosistemi forestali più resistenti e resilienti agli eventi climatici estremi e in particolare agli incendi?
“Dobbiamo puntare a una corretta gestione forestale – spiega Alberti – per fare in modo che l’ecosistema diventi da un lato più resistente agli incendi e dall’altro più resiliente, ossia capace di un pronto recupero dopo il rogo.”
Gli ingredienti per una gestione attiva del patrimonio forestale sono molti. Prima di tutto, va favorita la ricrescita spontanea e la diffusione naturale di specie autoctone resistenti alla siccità e poco infiammabili, con eventuali interventi di ripristino tramite semine e impianti ad hoc. Nel contempo, vanno rimosse le specie alloctone (introdotte cioè dall’uomo e non tipiche di quell’ambiente) che possono favorire la propagazione degli incendi, come il pino nero, o che sono invasive e ostacolano la ripresa della vegetazione naturale, come l’ailanto.
“Dobbiamo anche aumentare la complessità strutturale dei popolamenti – continua Alberti – favorendo composizioni miste per età, dimensioni e specie arboree. In questo modo, creiamo una struttura eterogenea in orizzontale e in verticale, capace di contrastare il propagarsi delle fiamme.”
Altre barriere alla rapida diffusione dei roghi sono la riduzione della quantità di legno morto e di erbe e arbusti secchi nel sottobosco, oltre alla creazione di viali tagliafuoco all’interno delle foreste e di fasce di protezione lungo i perimetri forestali.
Verso una gestione forestale sinergica e partecipata
Le strategie di intervento sono chiare e ben delineate, almeno sulla carta. Nella realtà, però, ci si scontra con ostacoli che non sembrano certo insormontabili, eppure impediscono una gestione attiva e ben concertata del patrimonio forestale, in Carso come altrove.
“Le proprietà forestali sono molto frazionate – ricorda il docente – e appartengono spesso a privati che se ne disinteressano. I boschi sono preda dell’incuria ma, essendo privati, non possono essere toccati. E poi c’è anche un altro problema: gli operatori forestali con le giuste competenze sono pochi. Bisognerebbe responsabilizzare e sensibilizzare da un lato, educare e formare dall’altro.”
Ma le soluzioni ci sono, devono solo passare dalla carta alla foresta. “Per superare l’impasse, si potrebbero sviluppare strumenti di gestione partecipata e condivisa delle proprietà – conclude Alberti – rendendo gli enti pubblici e le comunità locali promotori e protagonisti di queste aggregazioni.”
Gli strumenti giuridici esistono: pensiamo all’Accordo di Foresta, nato con l’articolo 35-bis “Misure di semplificazione e di promozione dell’economia circolare nella filiera foresta-legno” del decreto legge n. 77 del 31 maggio 2021, che mira proprio allo sviluppo di sinergie virtuose nel contesto delle aree forestali.
Una nota incoraggiante, dunque. Del resto, le foreste hanno resistito per centinaia di milioni di anni alle mutevoli condizioni ambientali, adattandosi nel tempo. Sopravvivranno perciò anche a queste nuove e repentine perturbazioni, ma noi possiamo aiutarle in una sorta di mutuo accordo, vantaggioso per la nostra stessa sopravvivenza.