Come stabilito dalla Carta delle Nazioni Unite, il compito principale della sua Organizzazione (Onu) è quello di salvare le future generazioni dal flagello della guerra. Tuttavia, non di rado sono emersi i limiti istituzionali dell’Onu nel perseguire siffatto mandato.
La recente invasione dell’Ucraina da parte della Russia nella notte del 23 febbraio 2022 ha ulteriormente riacceso il dibattito sulla capacità delle Nazioni Unite – soprattutto nella veste dei suoi organi più rappresentativi – di fronteggiare situazioni di crisi politiche internazionali.
È evidente come tale dibattito tragga l’origine dal mancato contenimento dell’invasione bellica, nonostante la vertiginosa escalation degli eventi a seguito del riconoscimento pubblico delle Repubbliche di Donetsk e Luhansk da parte del presidente russo, avvenuto il 22 febbraio 2022.
Ciò non significa che l’Onu non abbia preso alcun provvedimento. Anzi, nei limiti delle proprie capacità decisionali, l’organizzazione ha espressamente qualificato come illegittimo l’atteggiamento della Russia.
Il potere di veto dei membri del Consiglio di Sicurezza blocca i caschi blu
Il riferimento al perimetro dei poteri decisionali non è però casuale. Difatti, il Consiglio di Sicurezza – ossia l’unico organo dotato del potere di adottare le misure cogenti “per il mantenimento della pace e la sicurezza internazionale” ai sensi del Capitolo VII della Carta Onu – può deliberare una missione militare dei caschi blu o autorizzare l’intervento armato della coalizione degli Stati volenterosi solamente nel caso in cui nessuno dei cinque membri permanenti eserciti il proprio potere di veto.
Tra questi membri – oltre a Stati Uniti, Cina, Inghilterra e Francia – figura anche la Russia. Proprio il veto di quest’ultimo Stato ha impedito al Consiglio di Sicurezza di adottare la risoluzione S/2022/155 del 25 febbraio 2022, che avrebbe qualificato il suo intervento militare come lesivo del divieto dell’uso della forza sancito dall’art. 2, para. 4, della Carta Onu.
Tale condotta si pone, del resto, in linea con quella di altre grandi potenze, al fine di tutelare i propri interessi politici, come già avvenuto in occasione di precedenti conflitti armati, tra cui in particolare quello riguardante la Siria, al cui contrasto la Russia ha sempre espresso un voto negativo.
L’unica possibilità di aggirare il potere di veto è rappresentata da un intervento suppletivo dell’Assemblea generare dell’Onu in termini prospettati dalla sua risoluzione Uniting for Peace del 1950, emanata a seguito dell’invasione della Corea del Sud da parte della Corea del Nord avvenuta nello stesso anno. Ai sensi di tale risoluzione, l’Assemblea generale può adottare misure necessarie per il mantenimento della pace internazionale – comprese quelle implicanti l’uso della forza armata – laddove il Consiglio di sicurezza sia impedito nell’esercizio delle proprie funzioni dal veto di uno dei suoi membri permanenti.
L’intervento suppletivo dell’Assemblea generale ha avuto valore solo simbolico
Ed è stata esattamente questa la strada scelta dall’Assemblea generale – sollecitata dal Consiglio stesso peraltro – che con la risoluzione del 2 marzo 2022 ha definito l’intervento militare in Ucraina in violazione dei principi di diritto internazionale, intimando alla Russia l’immediata cessazione delle ostilità e il ritiro completo delle truppe.
Cionondimeno, tale intervento si è limitato ad una condanna più che altro simbolica. Difatti, nessun potere suppletivo del Consiglio di Sicurezza è stato esercitato né in termini di soluzione pacifica delle controversie, ad esempio mediante la nomina di un mediatore, né mediante il ricorso all’uso della forza, pur sempre previsto dalla risoluzione Uniting for Peace.
Siffatte soluzioni non sono però precluse in futuro; la risoluzione dell’Assemblea generale prevede, infatti, al paragrafo 16 la possibilità di essere aggiornata su richiesta degli Stati parti. Tuttavia, in sei mesi successivi alla sua adozione, nessun ulteriore provvedimento è stato preso.
Ridotte capacità degli organi delle Nazioni Unite di incidere sulla sorte di un conflitto in corso. Occorre interrogarsi sull’esigenza di una riforma
Infine, giova menzionare che anche la Corte di giustizia internazionale, in qualità di principale organo giudiziario dell’Onu, si è espressa su richiesta dell’Ucraina con l’ordine del 16 marzo 2022, intimando alla Russia di cessare le operazioni militari.
Al di là della complessità del ricorso presentato dallo Stato aggredito, occorre sottolineare che nonostante il carattere vincolante di tali misure cautelari della Corte, non è stato attivato alcun meccanismo di controllo sul loro rispetto mediante l’onere di sottoposizione dei rapporti periodici.
Appare evidente, dunque, come nei casi di impedimento del Consiglio di Sicurezza, l’effettiva capacità degli organi delle Nazioni Unite di incidere sulla sorte di un conflitto armato in corso siano alquanto ridotte. A tal proposito, sarebbe utile interrogarsi sull’esigenza di una riforma del suo processo decisionale, al fine limitare le conseguenze delle gravi crisi umanitarie per ragioni di politica internazionale.