In un precedente articolo abbiamo documentato il nuovo concetto strategico (CS) della NATO, che si è affermato dopo la guerra in Ucraina. “La posizione di deterrenza e difesa della NATO si basa su un’appropriata combinazione di capacità di difesa nucleare, convenzionale e missilistica, integrate da capacità spaziali e cibernetiche”. Questo è il quadro entro cui si riorganizza la posizione dell’Alleanza e degli Stati che ne fanno parte. Di seguito vediamo come si articola questa strategia.
Durante la Guerra fredda la NATO riteneva di poter prevenire un’aggressione all’Europa occidentale da parte di forze convenzionali del patto di Varsavia con la minaccia di una reazione nucleare; nella visione corrente dell’opinione pubblica europea è ancora viva una tale percezione della dissuasione estesa americana, anche alla luce dell’attuale Nuclear Posture Review americana, che prevede l’intervento nucleare anche a fronte di “significativi attacchi strategici non-nucleari, che includono, ma non esauriscono, attacchi contro popolazione civile o infrastrutture degli USA, alleati o partner, e attacchi a forze nucleari statunitensi o alleate, e loro strutture di comando, controllo, preavviso e valutazione.”
Ora il nuovo concetto strategico (CS) demolisce tale illusione: se pure “le forze nucleari strategiche dell’Alleanza, in particolare quelle degli Stati Uniti, sono la suprema garanzia della sicurezza dell’Alleanza”, per il CS “le armi nucleari sono uniche, a parte. Le circostanze in cui la NATO potrebbe dover utilizzare armi nucleari sono estremamente remote”. Tale precisazione riduce fortemente, se non annulla del tutto, il ruolo delle armi nucleari per impiego ‘tattico’ sul campo di battaglia; la loro irrilevanza come strumento bellico diretto si sta confermando nel corrente conflitto in Ucraina, ove si è anche rivelata la debolezza delle minacce nucleari, la cui efficacia dipende da come vengono ricevute dal minacciato: le armi nucleari non sono bacchette magiche, che basta agitare per atterrire l’avversario.
Meno deterrenza nucleare e massiccio riarmo convenzionale integrato
Pertanto il CS impegna i membri della NATO a costruire una capacità militare convenzionale globale che sia deterrente di per sé contro possibili aggressioni e pronta a un impiego effettivo in caso di attacco: “rafforzeremo in modo significativo la nostra posizione di deterrenza e di difesa per negare a qualunque potenziale avversario qualsiasi opportunità di aggressione. A tal fine assicureremo una presenza sostanziale e persistente a terra, in mare e nell’aria, anche attraverso il rafforzamento della difesa aerea e missilistica integrata, con robuste forze multidominio pronte al combattimento nei punti critici, sistemi rafforzati di comando e controllo, depositi preposizionati di munizioni ed equipaggiamenti e capacità e infrastrutture migliorate per rinforzare rapidamente qualsiasi alleato, anche con breve, o senza, preavviso.”
Un tale ambizioso programma impegnerà la NATO nel corrente decennio. I paesi europei della NATO hanno grandi capacità militari complessive, con circa un milione e 892mila persone attualmente impegnate (erano un milione 718mila nel 2016), ma la loro dislocazione, armamento, integrazione e preparazione operativa non sono considerati adeguati. Per affrontare le presenti minacce geo-politiche è stato definito un Nuovo modello della forza NATO (NNFM), posto sotto il comando diretto della NATO, e predisposto un rafforzamento della presenza militare nell’Europa orientale.
Il NNFM deve assicurare una grande predisposizione di forze multinazionali di elevata prontezza che saranno preassegnate a piani specifici in tutti i domini, terra, cielo, mare e cyber, e che l’alleanza potrà schierare rapidamente ovunque si renda necessario.
Il Nuovo modello Nato: fortemente centralizzato, rapido e schierato sul fronte orientale
Il NNFM sostituirà entro il 2023 la NATO Response Force (NRF), che prevede attualmente lo schieramento di 40mila soldati in meno di 15 giorni. Le forze a disposizione del NNFM, una volta pienamente implementato, sono distribuite su tre livelli: oltre 100mila soldati pronti entro 10 giorni, altri 200mila fra 10 e 30 giorni e almeno altri 500mila fra uno e sei mesi. Tali forze multinazionali, direttamente sotto il comando centralizzato della NATO, si affiancheranno alle rimanenti forze sotto il controllo dei singoli paesi alleati.
Già dall’inizio di febbraio stanno prendendo forma i rinforzi della NATO nell’Europa orientale, con il raddoppio da quattro a otto gruppi tattici multinazionali, il che ha già portato a un aumento di quasi dieci volte la forza delle truppe schierate sul fianco orientale. Questi gruppi tattici includeranno presto il quartier generale delle brigate per aumentare rapidamente la postura, se necessario, con piani di rinforzo.
Gli alleati si sono impegnati a schierare ulteriori robuste forze pronte a combattere, da ampliare dai gruppi tattici esistenti a unità delle dimensioni di una brigata dove e quando necessario, sostenute da rinforzi credibili rapidamente disponibili, equipaggiamento preposizionato e potenziamento dei centri di comando e controllo. Tuttavia, molte di queste forze non saranno stazionate permanentemente sul fianco orientale, ma ruoteranno invece attraverso la regione per l’addestramento.
Fra i provvedimenti già decisi, la NATO ha creato quattro nuovi battaglioni multinazionali da schierare in Romania, Bulgaria, Slovacchia e Ungheria; oltre 130 aerei da combattimento e 100 navi sono stati posti in allerta; la Germania ha inviato 1000 soldati alla Romania e sta identificando forze per rafforzare le difese della Lituania; la Francia è pronta a schierare una brigata in Romania con breve preavviso; il Regno Unito ha inviato altri 1000 soldati per rafforzare il battaglione multinazionale a guida britannica in Estonia; La Danimarca ha schierato ulteriori navi nel mar Baltico e ha annunciato l’invio di 800 soldati negli stati baltici; la Spagna ha inviato aerei Eurofighter e truppe aggiuntive in Bulgaria; la Cechia ha annunciato il dispiegamento di 650 soldati nella vicina Slovacchia; Danimarca, Norvegia, Germania, i Paesi Bassi e l’Italia stanno fornendo unità aggiuntive per il fianco orientale.
Gli Stati Uniti hanno inviato in Polonia truppe ed equipaggiamenti dalla loro ottantaduesima divisione aviotrasportata e dalla terza divisione di fanteria meccanizzata, portando il totale delle sue forze presenti in Europa a 100mila, un livello che non si vedeva dall’inizio degli anni ’90. Ulteriori azioni americane prevedono: l’istituzione di un posto di comando permanente avanzato del quartier generale del V Corpo in Polonia, per migliorare l’interoperabilità USA-NATO; mantenimento di un’ulteriore unità di combattimento a rotazione in Europa, una brigata posizionata in Romania, con la capacità di schierare sul fianco orientale elementi subordinati per l’addestramento e le esercitazioni; potenziamento degli schieramenti a rotazione nella regione baltica, comprese forze aeree, di difesa aerea e per operazioni speciali; un accordo con la Spagna per aumentare da quattro a sei il numero di cacciatorpedinieri statunitensi di stanza a Rota; stazionamento di due squadroni di aerei F-35 nel Regno Unito, e forze di difesa anti-aerea in Germania e Italia.
Forte aumento delle spese militari in Europa
Lo scorso 18 agosto è stata resa accessibile dal Dipartimento di stato americano l’edizione 2021 del World Military Expenditures and Arms Transfers, con dettagliate informazioni statistiche per il decennio 2009-2019 sulle spese militari, forze armate, trasferimenti di armi e dati economici pertinenti di tutti i paesi mondiali; l’annuario 2022 dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) fornisce analoghi dati per l’ultimo quinquennio e la NATO ha diffuso il 27 giugno la sua analisi delle spese per la difesa dei paesi dell’alleanza per il periodo 2014-2022. Naturalmente i dati non coincidono nel dettaglio, essendo basati su metodi di raccolta e approssimazioni differenti, ma l’andamento generale vede un deciso aumento globale della spesa militare per un riarmo generale di tutto il mondo, oltremodo preoccupante.
Il grafico fornito dalla NATO per l’andamento della spesa militare globale normalizzata dei paesi europei e il Canada dal 1989 mette chiaramente in evidenza il cambiamento di stato prodotto dall’invasione russa della Crimea: da un’immagine dell’Europa come continente in pace si passa a una condizione di conflitto; nei primi 10 anni dalla fine della Guerra fredda vi è una costante diminuzione delle spese, con una relativa espansione dovuta all’accessione dei nuovi membri dell’Alleanza che porta a un valore praticamente costante dal 1999 al 2008; vi è una nuova fase di calo fino al minimo assoluto del 2014, quando a fronte delle operazioni russe in Crimea e nel Donbass i membri della NATO hanno deciso un forte, continuo aumento dell’impegno militare dei suoi membri, fino alle estreme spese previste nel presente anno.
Nel 2014 i membri della NATO decisero di portare i loro finanziamenti alla difesa al 2% del Pil, con il 20% impegnato per l’equipaggiamento: all’epoca solo USA, UK e Grecia soddisfacevano la prima condizione e Lussemburgo, Norvegia, Turchia, Francia, UK, USA ed Estonia la seconda. Nel 2021 i trenta alleati della NATO hanno speso globalmente 1060 miliardi di euro per la difesa, con un aumento del 5,8% rispetto all’anno precedente; il 70%
di questo importo è stato speso dagli Stati Uniti, con una spesa di 2167 $ pro capite, rispetto a 1353 $ in Norvegia, 1026 $ nel Regno Unito, 779 $ in Danimarca, 732 $ in Francia, 631 $ in Germania e 467 $ in Italia.
Prima che la Russia invadesse l’Ucraina, solo otto alleati stavano rispettando gli obiettivi della NATO per la spesa e l’investimento. Ora, il Belgio ha annunciato di spendere un miliardo di euro in più e la Norvegia 300 milioni di euro immediati; la Polonia ha dichiarato che punterà ad aumentare la spesa per la difesa al 3% del Pil, la Lituania al 2,5%; l’Italia dovrebbe raggiungere il 2% del Pil entro il 2028 e la Danimarca per il 2033; l’Olanda intende passare subito dall’attuale 1,4% del Pil al 2%, con un aumento immediato di 5,2 miliardi di dollari.
Eppure tutti questi passi sono stati oscurati dalla spettacolare decisione del nuovo governo tedesco di impegnarsi a soddisfare il vincolo del 2% del Pil nei prossimi due anni e di creare un fondo di 100 miliardi di euro per la modernizzazione dell’equipaggiamento della Bundeswehr: se questo impegno sarà rispettato, la Germania avrà il terzo bilancio militare più alto al mondo, dopo Stati Uniti e Cina. Globalmente i membri europei della NATO si sono impegnati a nuove spese militari per 209 miliardi di dollari.
… e nel resto del Mondo
Anche gli altri paesi europei non parte della NATO hanno aumentato le spese militari in modo significativo dal 2014 al 2020: l’Austria da 2,4 G$ (miliardi di dollari) a 2,89 G$, la Finlandia da 3,4 G$ a 4,09 G$, la Serbia da 725 M$ a 1,12 G$, la Svezia da 5,39 G$ a 6,45 G$ e la Svizzera da 4,6 G$ a 5,7 G$; l’unico paese che ha diminuito le spese militari è l’Irlanda, passata da 1,19 G$ nel 2014 a 1,14 G$ nel 2020.
Ma è tutto il mondo ormai impegnato a un continuo aumento delle spese militari e della frazione della ricchezza destinata a tal fine: alla fine del 2021 la spesa globale aveva raggiunto i 2,1 T$ (2100 miliardi di dollari) a fronte dei 1,2 T$ del 1999; con gli aumenti previsti a seguito della guerra in Ucraina, è probabile che alla fine del 2022 si sorpassino i 2,3 T$. In termini della frazione del Pil mondiale, si è passati dal 2,2% del 2000 al 2,4% del 2021, ovvero a 268 $ per persona, quasi il doppio dei 118 $ per persona del 1999.
Fuori dalla NATO, i principali aumenti dal 2014 al 2020 sono dovuti ai paesi con armi nucleari: l’India è passata da 51 G$ a 73 G$, il Pakistan da 8,65 G$ a 10,4 G$, Israele da 17,8 G$ a 21,7 G$. Uno dei principali obiettivi di Vladimir Putin è stato quello di ribaltare i tagli alle forze militari russe a seguito della fine della Guerra fredda e dal 2000 ha iniziato tre programmi di armamento della Russia, con aumenti quasi continui fino ai 65,9 G$ del 2021 equivalenti al 4,1% del Pil.
Ma il massimo sviluppo della militarizzazione si ha in Cina, iniziato dopo la crisi dello stretto di Taiwan del 1995-6: da allora le spese per la difesa cinesi sono aumentate in media del 10% ogni anno fino a raggiungere i 293 G$ nel 2021; il processo è destinato proseguire, dato che il presidente Xi Jinping si è posto l’obiettivo di una “completa modernizzazione” delle forze della PLA entro il 2035 e di renderle “di classe mondiale” per il 2049.
Il forte riarmo cinese ha spinto gli stati vicini ad aumentare le spese per la loro difesa: il Giappone ha deciso un aumento del 7,3% nel 2021, il massimo aumento annuo dal 1972, la Corea del sud del 6% e l’Australia, entrata nell’accordo di difesa trilaterale AUKUS, ha deciso l’acquisizione di otto sommergibili a propulsione nucleare per un costo stimato superiore ai 100 G$; il governo di Taiwan il 25 agosto ha deciso per il 2023 un aumento del 14% del bilancio della difesa rispetto al 2022, portandolo a circa 19,4 G$.
Ritornando all’Europa, vanno inoltre considerate le spese a scopi militari della Commissione europea: dopo la sperimentale Preparatory Action on Defence Research (2017-2019) finanziata con 90 M€ e l’European Industrial Development Programme (2019- 2020) dotato di 500 M€, oltre all’European Defence Fund da 8 G€ per il periodo 2021-2027, il 19 luglio è stato approvato l’European Defence Industry Reinforcement through common Procurement Act per il periodo 2022-2024 allo scopo di “soddisfare le più urgenti e critiche esigenze di prodotti per la difesa dei paesi membri, a seguito dell’aggressione della Russia contro l’Ucraina” con 500 M€ nel bilancio EU dal 2022 to 2024.
Data la grave situazione mondiale e l’aggravamento delle minacce all’Europa, viste le scelte decise dalla NATO a Madrid, sembra che noi europei dobbiamo prepararci a rinunciare all’idea di poter vivere in un’oasi di pace e prosperità e accettare la presenza permeante e immanente di una cosa finora indigesta: le armi e ciò che esse comportano.
Ricordi personali della militarizzazione anni Cinquanta
Nella seconda metà degli anni ’50 ho vissuto in un ambiente militarizzato, a Cividale del Friuli, ai bordi della “cortina di ferro”: nella cittadina c’erano quattro caserme, la Francescatto per il settantaseiesimo reggimento fanteria Napoli della divisione Mantova, la Miani per il cinquantaduesimo reggimento fanteria d’arresto cacciatori delle Alpi, la Zucchi per il battaglione Cividale dell’ottavo reggimento alpini e alcune batterie del terzo reggimento di artiglieria da montagna della Julia, e la Vescovo per il 120mo battaglione fanteria d’arresto Fornovo per il presidio della Galleria di Purgessimo.
Tutto il territorio era sottoposto a servitù militari e si incontravano frequenti casermette e depositi; in mezzo ai campi biche di fieno in realtà mimetizzavano postazioni lancia-missili. La statale 54 era frequentemente percorsa da autocolonne dirette a postazioni lungo il confine con la Yugoslavia.
Nella cittadina, oltre alle caserme, numerosi edifici statali ospitavano famiglie di sottufficiali (gli ufficiali usavano abitazioni “civili”), che venivano a costituire una componente significativa della popolazione ed erano variamente inserite nella vita sociale; tutti avevamo compagni di classe provenienti da tali famiglie, riconoscibili alla parlata. Un generale a riposo fu per anni vice-sindaco del comune e anche il maestro della banda cittadina era un maresciallo in pensione. Spese e servizi per i militari erano una componente significativa dell’economia cittadina.
La mattina andando a scuola incrociavo la colonna di alpini e muli affardellati che andava per esercitazioni sul Natisone; per tutto il giorno i trombettieri alla Francescatto si esercitavano ai segnali militari, la sera si incrociavano le ronde dei fanti, degli alpini e degli artiglieri di montagna: ricordo il graduato della ronda alpina, un gigante dalle mani enormi.
che una volta fece letteralmente volare un fante alle prese con alcuni alpini. Spesso il sabato sera la fanfara degli alpini (una dozzina elementi con tutta la stirpe dei flicorni, tamburino, grancassa e piatti) suonava in piazza un repertorio basato sull’inno degli alpini (sempre e solo quello).
La domenica mattina, a turno, i vari reparti fornivano il picchetto d’onore per l’alzabandiera sul pennone civico. Nelle celebrazioni ufficiali veniva preferita all’inno di Mameli la più militare leggenda del Piave.
Via via la presenza militare è andata scemando, gli edifici militari sono stati dismessi o abbandonati; la fine della Guerra fredda ha portato a una felice situazione di pratica de militarizzazione della vita sociale europea, che sembra ora giunta al termine; come sarà vivere nella militarizzazione che si annuncia?