Un recente studio del Green City Network, in collaborazione con i gestori dei servizi energetici, ha evidenziato che solo il 4% delle città del nostro Paese ha fissato l’obiettivo della neutralità climatica netta al 2050, mentre l’85% ha aderito al Patto dei sindaci.
Il Patto dei sindaci
Il Patto dei sindaci è un’iniziativa lanciata nel 2008 dall’Unione europea (Ue) per riunire le città che su base volontaria si impegnano a contrastare la crisi climatica, aumentando l’uso di fonti rinnovabili (che dovranno coprire il 70% della produzione nazionale di elettricità e il 50% della domanda di calore) e riducendo del 40% l’emissione di gas serra rispetto ai valori del 1990 entro il 2030.
Nel 2021 l’Ue ha portato questo impegno a una riduzione del 55% e ha stabilito l’obiettivo della neutralità climatica netta entro il 2050.
“A mio avviso siamo più sul fronte delle retoriche che delle pratiche – commenta ad Agenda17 Romeo Farinella, architetto presso l’Università di Ferrara –. Il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050 penso non sia realistico, almeno in Italia; come non è realistico pensare che gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Organizzazione delle nazioni unite (Onu) saranno raggiunti entro il 2030. Dovremmo scrivere meno ‘carte’, che tra l’altro riportano obiettivi su cui la comunità scientifica discute da almeno sessant’anni, e iniziare a ragionare sulle pratiche. Sono le pratiche, le azioni che misurano la reale volontà di perseguire un obiettivo.”
Decarbonizzare le città è possibile e necessario, ma manca una strategia
A partire dal 2017, il Patto dei sindaci è stato esteso a livello globale e oggi riunisce più di 7mila enti locali e regionali in cinquantasette Paesi, con la consapevolezza che solo con efficaci azioni a livello territoriale si può raggiungere la decarbonizzazione. I Paesi aderenti si impegnano a realizzare un Piano d’azione per l’energia sostenibile e il clima (Paesc) e a redigere un monitoraggio almeno ogni due anni. In Italia il 69% delle città aderenti ha realizzato un Piano d’azione, ma il 52% non lo monitora. Inoltre, solo il 39% ha aggiornato l’obiettivo di riduzione delle emissioni per il 2030 in base al regolamento del 2021 dell’Ue e soltanto il 4% ha fissato il target della neutralità climatica netta al 2050.
Realizzare la decarbonizzazione netta delle città entro la metà del secolo è importante per mantenere l’aumento della temperatura media globale entro +1,5°: a livello globale, infatti, le città occupano il 3% della superficie terrestre, ma contribuiscono al 70% delle emissioni di gas serra.
Secondo il rapporto “Net zero carbon cities: an integrated approach” del World Economic Forum (WEF) del 2021, bisogna realizzare l’efficienza sistemica: una combinazione di elettricità da fonti rinnovabili, utilizzo della tecnologia digitale intelligente (Internet Of Things, IOT), edifici e infrastrutture efficienti e un approccio circolare verso acqua, materiali e rifiuti.
È necessario incentivare i sistemi fotovoltaici di ultima generazione, quelli micro-eolici, l’utilizzo di energia geotermica e gli impianti di cogenerazione, ovvero generazione contemporanea di energia elettrica e calore. Realizzando una rete che connette produttori e consumatori, l’energia elettrica rinnovabile prodotta in eccesso può essere accumulata e ridistribuita a seconda dei bisogni durante la giornata e durante l’anno: questo grazie a contatori intelligenti che tracciano la domanda e aumentano l’efficienza di distribuzione nella rete.
Per decarbonizzare il riscaldamento, si può ricorrere alle pompe di calore, che funzionano tramite la compressione di un fluido, oppure al teleriscaldamento, ovvero la distribuzione attraverso tubature coibentate (isolate) di acqua calda proveniente da un unico impianto centrale verso tutto un distretto. In questo modo la distribuzione di calore è ottimizzata e gli inquinanti emessi sono ridotti rispetto all’uso di caldaie individuali. È inoltre possibile recuperare il calore di scarto da processi industriali e distribuirlo verso edifici residenziali.
“Dal punto di vista tecnologico abbiamo gli strumenti per fare queste cose – continua Farinella – ma in Italia manca una strategia organizzata che veda Stato, Regioni e città lavorare in maniera intrecciata e multiscalare. Quanti spazi pubblici ci sono nelle nostre città? Si pensi ai parcheggi pubblici, gli ospedali, le università, gli autogrill, i tetti degli edifici pubblici al di fuori del centro storico… Sono tutte situazioni che potenzialmente potrebbero essere riprogettate producendo anche energia pulita, ad esempio con i pannelli solari, però nessuno lo ha mai proposto.”
Il consumo di suolo “è una metastasi” e aumenta le temperature
La “Carta delle città per la neutralità climatica”, redatta dal Green City Network nel 2021, sottolinea anche l’importanza di fermare il consumo del suolo, rinaturalizzare le aree periurbane degradate e aumentare il sistema di parchi, alberature stradali e orti urbani. Il suolo infatti svolge un’importante funzione di assorbimento del carbonio, di prevenzione contro l’erosione e quindi contro le inondazioni e di alimentazione degli acquiferi con l’acqua piovana. Purtroppo, però, il consumo del suolo sta aumentando, come evidenzia il rapporto “Città in transizione: i capoluoghi italiani verso la sostenibilità ambientale”, rilasciato a luglio 2022 dalle agenzie ambientali che compongono il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa).
“Il consumo di suolo – afferma Farinella -, come si evince dai dati del recente rapporto ISPRA, assieme all’erosione è impressionante in tutta Italia ed è ormai una metastasi. Lungo la costa adriatica, da Comacchio (in provincia di Ferrara) a Pescara c’è ormai un’urbanizzazione lunga più di 300 km e larga 2-3 km: è un sistema turistico insostenibile incentrato su urbanizzazioni costiere e balneari. Bisogna iniziare a decostruire, seguendo l’esempio dell’Olanda che da diversi decenni ha avviato politiche di rilocalizzazione di insediamenti che oggi sono troppo vicini al mare. E bisogna ripristinare gli ecosistemi fluviali e costieri approfondendo delle nature-based solutions.”
Oltre al consumo di suolo, il problema è anche la sua impermeabilizzazione, dovuta alla copertura con cemento e asfalto, che impediscono al terreno di assorbire l’acqua piovana e portano la temperatura nei centri urbani a 4°-5°C in più rispetto alle zone periferiche (l’effetto “isola di calore urbano”). L’impermeabilizzazione del suolo ha riguardato più di tutte le città di Roma, Venezia e Bari nel periodo 2015-2020.
Per ridurre l’effetto “isola di calore”, bisogna investire nella presenza di verde urbano, come un sistema connesso e non confinato soltanto nei parchi o nelle periferie. Oltre ad assorbire l’anidride carbonica, infatti, gli alberi funzionano come condizionatori grazie all’evapotraspirazione: le strade circondate da alberi hanno una temperatura fino a 6°C inferiore a quelle che non ne hanno. La vegetazione poi, come il suolo, protegge dalle inondazioni rallentando le piogge intense.
Il rapporto del Snpa ha rilevato un aumento degli orti urbani in quasi tutti i capoluoghi analizzati (soprattutto a Napoli), ma nel complesso la presenza di verde pubblico supera il 10% del territorio comunale solo a Trento, Torino, Trieste e Milano. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha dedicato 330 milioni di euro alla piantumazione di alberi nelle quattordici città metropolitane, ma mancano sia i terreni che piante più adatte al clima che cambia.
Perdite idriche in aumento e valori di qualità dell’aria difficili da raggiungere
Un altro aspetto critico evidenziato dal rapporto è la disponibilità di acqua, oggi sempre più minacciata a causa della siccità dovuta alla crisi climatica. Il consumo di acqua quotidiano per abitante, pur in diminuzione, rimane piuttosto elevato (215 litri), mentre le perdite idriche sono in genere in aumento a causa del deterioramento degli impianti: il valore medio nazionale è del 42% e alcune città del Centro-Sud superano il 50%.
Per quanto riguarda la qualità dell’aria, in molte città analizzate sono diminuiti i valori di particolato atmosferico e biossido di azoto, anche se sarà molto difficile raggiungere i valori stabiliti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) – 15 μg/m3 come media annuale del PM10, 5 µg/m³ per il PM2,5 e 10 µg/m³ per il biossido di azoto.
Cambiare il modello di mobilità: città dei quindici minuti
Infine, da non trascurare secondo il rapporto del WEF è la forma compatta delle città: la cosiddetta “città dei quindici minuti” in cui le persone possono spostarsi per le loro necessità quotidiane – lavoro, cibo, salute, svago – senza l’uso di un veicolo a motore privato. È necessario rafforzare il trasporto pubblico e i percorsi pedonali e ciclabili e incentivare il passaggio a veicoli elettrici. In Italia, il Paese europeo più dipendente dall’auto (645 auto ogni 1000 abitanti), questo è particolarmente importante. La Carta del Green City Network prevede anche di ridurre la mobilità non necessaria facilitando lo smart working e di vietare entro il 2030 la circolazione nei centri urbani di auto a combustione interna a diesel o benzina.
Secondo il rapporto del Snpa, la mobilità sostenibile in Italia è in miglioramento. Negli ultimi anni c’è stato un aumento di piste ciclabili (soprattutto a Torino, Milano e Bolzano) e di veicoli ibridi ed elettrici, accompagnati dall’installazione di colonnine di ricarica. Tuttavia è diminuita la domanda di trasporto pubblico (eccetto a Torino e Venezia): il 30,2% delle famiglie dichiara difficoltà di collegamento con le proprie zone di residenza.
Inoltre, nella città di Ferrara, dove Farinella svolge la propria attività universitaria, anziché di potenziare il trasporto pubblico si parla di costruire nuovi parcheggi: “è stato approvato di recente un progetto, presentato come progetto ambientale, che prevede la costruzione di nuovi parcheggi e ipermercati nella zona delle mura. Se questi parcheggi venissero posizionati fuori, potrebbero essere pensati come parcheggi scambiatori, da cui far partire navette o tram elettrici per portare le persone in centro, riducendo di molto la mobilità automobilistica.
Invece in questi anni le proposte del Comune di Ferrara sono state incentrate, ossessivamente, sul piantare alberi. Se noi piantiamo solo alberi e non cambiamo il modello di mobilità, privilegiando il trasporto pubblico, o se continuiamo a costruire parcheggi che attirano traffico, è solo retorica.”
“Queste retoriche della ‘forestazione urbana’, proposte spesso per giustificare nuova edilizia residenziale ad alto valore immobiliare, vanno smascherate. Non basta piantare alberi per compensare le emissioni, se poi non si cambia il modo in cui viviamo sul Pianeta: questo è greenwashing, ovvero comprare la possibilità di inquinare. La compensazione delle emissioni può andare bene, ma bisogna capire in che strategia si colloca.
Bisogna ragionare in termini di futuro: questo futuro lo costruisco prendendo come riferimento le pratiche che ho utilizzato finora, oppure definisco i punti di un modello di sviluppo diverso, attento alle disuguaglianze sempre più forti nel Mondo, e su quello avvio azioni concrete? Sono azioni che devono intrecciare i diversi livelli del locale e del globale, ma purtroppo oggi l’Onu non detiene l’autorevolezza necessaria per guidare un processo di governance globale” conclude il docente.