Dall’ultimo rapporto dell’Istituto nazionale di statistica (Istat), dedicato alla situazione economica e sociale del nostro Paese tra il 2021 e i primi mesi del 2022, emerge una situazione di sempre maggiore vulnerabilità per le fasce svantaggiate di lavoratori. Lo studio, infatti, si inserisce in un mondo del lavoro caratterizzato da crescenti disparità retributive, forte disagio economico per molte famiglie e poca tutela nei casi di disabilità.
In particolare, il capitolo 4 è dedicato al confronto delle disuguaglianze tra il periodo pre pandemico e la fase successiva al Covid-19 e i soggetti più colpiti da questa situazione sono ancora una volta le donne, i giovani, i residenti nel Mezzogiorno e gli stranieri, insieme ai portatori di disabilità e ai loro familiari.
Lavoratori sempre più vulnerabili
Le trasformazioni del mercato occupazionale hanno portato a una diminuzione del lavoro standard (a tempo pieno e a durata indeterminata), che nel 2021 riguarda sei lavoratori su dieci (59,5%) del totale degli occupati. Per contro si diffondono sempre più modalità ibride (lavoro a tempo determinato, collaborazioni a termine, part-time involontario), con conseguente peggioramento della qualità dello stato occupazionale complessivo.
I lavoratori dipendenti a tempo determinato si attestano a 2,9 milioni nel 2021, anno in cui è progressivamente aumentata anche la quota di occupazioni a breve termine (pari o inferiore a sei mesi), mentre quella a tempo parziale si attesta al 18,6% e, nella gran maggioranza dei casi, si tratta di part-time involontario, cioè non dipendente da un volontario progetto di vita del lavoratore (60,9%).
Quasi 5 milioni di occupati (il 21,7% del totale) sono non-standard, cioè a tempo determinato, collaboratori o in part-time involontario. In particolare, sono interessanti da queste tipologie di contratto soprattutto i giovani under35 (39,7% del totale della loro categoria), i lavoratori stranieri (34,3%), le donne (28,4%), gli occupati con licenza media (24,9%) e i lavoratori residenti nel Mezzogiorno (28,1%).
La quota di lavoratori non-standard, inoltre, raggiunge il 47,2% tra le donne sotto i trentacinque anni e il 41,8% tra le straniere.
Sono poi progressivamente diminuiti anche i lavoratori indipendenti – da quasi un terzo degli occupati all’inizio degli anni Novanta a poco più di un quinto nel 2021 (circa 4,9 milioni) – per effetto del calo di imprenditori, lavoratori in proprio, coadiuvanti e collaboratori. Il 73,1% di questo segmento di lavoratori, inoltre, non ha dipendenti.
Riduzione e disuguaglianza nelle retribuzioni
I livelli retributivi annuali si sono decisamente ridotti per la combinazione tra contratti di lavoro a breve termine e bassa retribuzione oraria. Il disagio economico cresce ancor più in famiglie al cui interno sono presenti individui sottopagati, con carichi di lavoro oltre misura e mansioni gravose.
Nel settore privato (esclusi agricoltura e lavoro domestico) circa 4 milioni di dipendenti sono a bassa retribuzione annua (teorica lorda inferiore a 12mila euro), mentre per circa 1,3 milioni di dipendenti la retribuzione oraria è sotto a 8,41 euro. Fra questi ultimi, si trovano più spesso giovani fino ai trentaquattro anni, donne, stranieri, persone con basso titolo di studio e persone residenti al Sud.
Raddoppia la povertà assoluta, che colpisce soprattutto le famiglie
Dal 2005 la povertà assoluta è più che raddoppiata. Le famiglie coinvolte sono passate a 1 milione 960mila nel 2021 (il 7,5% del totale) e il numero di individui in povertà assoluta è quasi triplicato, passando a 5,6 milioni (il 9,4% del totale). È inoltre progressivamente cambiata anche la connotazione delle famiglie in povertà assoluta: l’incidenza è diminuita tra anziani soli, si è stabilizzata tra coppie di anziani ed è fortemente cresciuta tra coppie con figli, monogenitori e famiglie di altra tipologia (con due o più nuclei o con membri aggregati).
Una dinamica particolarmente negativa in termini di povertà assoluta si osserva per i minori (dal 3,9% del 2005 al 14,2% del 2021) e i giovani di 18-34 anni (dal 3,1% all’11,1%). Nel 2021 sono in povertà assoluta 1 milione 382mila minori, 1 milione 86mila di 18-34enni e 734mila anziani.
Si conferma e si amplia nel tempo la netta stratificazione della povertà per area geografica, età e cittadinanza. Nel 2021 è in condizione di povertà assoluta un italiano su venti nel Centro-Nord, più di un italiano su dieci nel Mezzogiorno e uno straniero su tre nel Centro-Nord (il 40% nel Mezzogiorno); tra le famiglie con minori, si trova in povertà assoluta l’8,3% delle famiglie di soli italiani e il 36,2% di quelle di soli stranieri.
Nonostante l’attivazione di misure dirette a sostenere il reddito familiare, nell’ultimo decennio la povertà assoluta è progressivamente aumentata, toccando il picco – dal 2005 – nel biennio 2020-21.
L’inflazione diminuisce il potere d’acquisto e crescono le disuguaglianze soprattutto in caso di disabilità
La forte accelerazione dell’inflazione negli ultimi tempi rischia di aumentare le disuguaglianze, poiché la conseguente riduzione del potere d’acquisto è più marcata in famiglie con forti vincoli di bilancio. Per questo gruppo, a marzo 2022 la variazione tendenziale dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo è risultata pari a +9,4%, 2,6 punti percentuali più elevata dell’inflazione misurata nello stesso mese per la popolazione nel suo complesso.
In Italia, inoltre, ci sono circa 2 milioni 800mila (il 10,7% del totale) di famiglie che hanno un componente con disabilità, la cui presenza comporta una minore partecipazione al mercato del lavoro. Tra le persone di 15-64 anni con limitazioni gravi, gli occupati sono un terzo (media 2020-2021), ossia la metà rispetto alla popolazione senza limitazioni.
Il gap di occupazione si riflette anche a livello familiare: tra i 35-64enni che vivono con persone con disabilità gli occupati sono solo il 58,6%, contro il 69,4% di chi non ha conviventi con limitazioni.
Complimenti per l’interessantissimo articolo.