Con i costi dell’energia alle stelle, il contributo delle rinnovabili al mix energetico nazionale è divenuto urgente e ancor più al centro di un acceso dibattito.
Secondo il rapporto Comunità rinnovabili 2022 di Legambiente, gli impianti da fonti rinnovabili in Italia non decollano: sono 1,35 milioni (60 GW di potenza complessiva), di cui appena 1351 MW installati nel 2021. Cala il contributo complessivo portato al sistema elettrico italiano: 115,7 TWh (solo +1,58% rispetto al 2020) e Legambiente dichiara “Numeri insufficienti che rischiano di farci raggiungere l’obiettivo di 70 GW al 2030 tra 124 anni”.
L’aspetto positivo registrato nel rapporto è, invece, rappresentato dall’aumento delle nuove opportunità di autoproduzione e scambio di energia attraverso le Comunità energetiche da fonti rinnovabili: sono 100 quelle mappate negli ultimi tre anni dal rapporto di Legambiente, tra realtà effettivamente operative (trentacinque), in progetto (quarantuno) o che muovono i primi passi verso la costituzione (ventiquattro). Tra queste cinquantanove le nuove, censite tra giugno 2021 e maggio 2022, che vedono il coinvolgimento di centinaia di famiglie, decine di Comuni e imprese, di cui trentanove sono Comunità energetiche rinnovabili e venti Configurazioni di autoconsumo collettivo.
Le comunità energetiche rinnovabili per l’autoconsumo collettivo
Le Comunità energetiche rinnovabili (Cer) sono comunità territoriali dove produttori di energia, i prosumer, e i consumatori si scambiano l’energia prodotta in un circuito di consumo collettivo.
L’energia comunitaria riflette un desiderio crescente di trovare modi alternativi di organizzare e governare i sistemi energetici. Rappresenta un movimento sociale che consente processi energetici più partecipativi e democratici, ma solo recentemente la legislazione dell’Unione europea ha riconosciuto uno status chiaro alle comunità energetiche nate dal basso, con diverse forme a seconda dei vari ordinamenti giuridici nazionali.
La legge italiana ha riconosciuto le Cer dal novembre 2021 con fondi di incentivazione consentendo a cittadini, enti locali, aziende e cooperative di associarsi e diventare comproprietari di impianti di energia rinnovabile “di vicinato” (fino a 200 chilowatt di potenza), scambiarsi energia per autoconsumo e mettere in rete l’energia, ricevendo un incentivo dal Gestore dei servizi energetici (Gse), l’ente pubblico che promuove la transizione ecologica.
Una lunga storia che inizia nel 1921 in Sud Tirolo
Le Comunità energetiche non sono però fenomeni nuovi. Nascono nel 1921 in Alto Adige, prima dell’arrivo dei combustibili fossili, dove fu costituita la prima cooperativa di centrali elettriche a Silves, con l’obiettivo di autoaiuto solidaristico per produrre elettricità e distribuirla attraverso una rete.
In questa valle remota, tre agricoltori e un artigiano costituirono la “Società elettrica di Santa Maddalena”, allo scopo di “produrre energia elettrica e sfruttarla a beneficio dei propri soci, per assicurare l’illuminazione e il funzionamento meccanico, così da incentivare l’economia e promuovere al contempo il benessere materiale dei loro soci, attraverso impianti di segherie, mulini, officine per il legno e altre industrie”.
Alla fine degli anni Settanta, negli anni della crisi petrolifera, nascono in Danimarca delle Cer in forma di cooperative eoliche che ebbero poi ulteriore impulso dopo il disastro di Chernobyl del 1986.
Dagli anni 2000, con la liberalizzazione del sistema energetico e la transizione verso sistemi energetici più decentralizzati, sono emersi nuovi paradigmi nella transizione energetica verso la produzione di energia rinnovabile. Il riconoscimento del potenziale contributo dei cittadini nel circuito produttivo dell’energia e la diffusione delle iniziative energetiche comunitarie varia notevolmente in Europa con Paesi come la Germania, la Danimarca e i Paesi Bassi con il maggior numero di comunità energetiche rispetto agli altri Paesi europei.
A livello europeo sono circa 3.500 le comunità energetiche che producono energia rilevate in nove Paesi dal rapporto del Joint Research Centre (JRC) della Commissione europea “Energy Communities: An Overview of Energy and Social Innovation” 2020. Il rapporto rileva che entro il 2030 le comunità energetiche potrebbero possedere il 17% della capacità eolica installata e il 21% del solare in tutta Europa. Entro il 2050, quasi la metà delle famiglie dell’Ue dovrebbe produrre energia pulita.
Crescono le Comunità solari locali per mettere insieme l’energia
Le Comunità solari locali (Csl), sono nate a partire da un progetto dell’Università di Bologna nel 2010 prima della legge nazionale che ha istituito le comunità energetiche Cer. Attualmente, sono presenti in comuni dell’Emilia Romagna (Medicina, Zola Predosa, Casalecchio di Reno, Sasso Marconi), Montegiorgio (Fermo) e Pesaro nelle Marche. Ci sono poi altre trentaquattro sezioni costituende tra cui Sambuceto in Abruzzo.
Leonardo Setti, docente dell’Università di Bologna, esperto di rinnovabili e fondatore delle Comunità solari, spiega ad Agenda17 che “nel passaggio dai combustibili fossili alle energie rinnovabili dobbiamo inevitabilmente passare dal global al glocal, ovvero dalla gestione dell’energia a livello globale alla gestione a livello locale perché le rinnovabili, a differenza dei combustibili fossili, non sono centralizzabili. Ognuno di noi dovrebbe iniziare a produrre l’energia che consuma che sia sulla superficie di un tetto, di una scuola o di un parcheggio. In questo modo potremmo produrre il 70% dell’energia sui territori e consumare sui territori, l’altro 30% dovremmo necessariamente importarlo per ragioni stagionali o metereologiche. Le comunità energetiche nascono per tenere in equilibrio questo sistema di produzione e di consumo.”
Il Centro per le Comunità solari è uno spin off dell’Università di Bologna e rappresenta la piattaforma dove i partecipanti vengono inseriti secondo il profilo da semplice consumatore, da prosumer che mette in condivisione il suo impianto fotovoltaico, o come automobilista elettrico per caricare l’auto nelle stazioni di ricarica realizzate dall’associazione e localizzate vicino casa degli associati. Per avviare una sezione di scambio, i cui limiti sono dettati dai confini del territorio comunale, occorrono almeno un prosumer e due consumer. A oggi le famiglie che si scambiano l’energia sulle piattaforme esistenti sono poco più di sessanta. La rete di scambio prevede anche le stazioni di ricarica per le auto elettriche, le cosiddette “Community Charger”.
“Il Comune di Medicina – continua Setti – costituisce la comunità più ampia con tanti piccoli impianti ubicati sui tetti comunali, il suo Solar Info Store, la piattaforma fotovoltaica condivisa e due Community Charger. La comunità raccoglie più di 300 famiglie (circa il 2% della popolazione) in cui ogni cittadino solare, ovvero colui che risulta iscritto all’associazione, ha potuto beneficiare di risparmi economici reali, mediamente 250/300 euro sulle bollette annuali. Abbiamo imparato a consumare energia a chilometro zero e statisticamente questi risultati evidenziano che ogni cittadino solare ha fatto risparmiare mediamente quaranta kg di anidride carbonica all’anno. Questa quantità di emissioni evitate, è significativa dal punto di vista ambientale.”
Per attivare una Comunità solare è necessario trovare un’azienda disposta ad aprire una piattaforma di comunità solare nell’ambito della sua attività di responsabilità sociale d’impresa. In termini pratici, l’azienda contribuisce a un fondo che, tramite uno sconto annuale in bolletta, eroga i premi agli utenti prosumer e consumer. Anche chi non è cittadino di una Città solare può partecipare ai progetti collettivi della comunità, come ad esempio per la realizzazione della rete di colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici della Csl.
Fuori dal fossile, le associazioni ambientaliste spingono per la nascita di comunità solari locali
La condivisione dell’energia apre a un nuovo sistema economico basato sull’economia di prossimità o una sharing economy. Per Viviana Manganaro, attivista e promotrice della campagna nazionale ‘Per il Clima Fuori dal Fossile’ sostenere e diffondere le comunità solari è importante perché, come afferma ad Agenda17, “ormai è assodato che le attività umane sono responsabili del riscaldamento climatico e purtroppo le varie crisi degli ultimi anni, dal Covid alla guerra, hanno giustificato un rallentamento del percorso verso la transizione ecologica.”
Per quanto riguarda le Comunità solari aggiunge: “dopo anni di battaglie contro il fossile abbiamo deciso che è necessario avere un’alternativa credibile e concreta. Autoprodurre e scambiare energia pulita, creando anche lavoro nel settore delle rinnovabili tra produzione, installazione e riciclo è possibile da subito creando comunità solari. Noi della campagna ‘Per il Clima fuori dal fossile’ abbiamo sposato le comunità solari come modello di comunità energetica perché non dipendono dalle decisioni dei Governi ma dipendono dai singoli cittadini e dai territori.
Dal Piemonte, alla Lombardia, dalle Marche alla Sicilia stanno aumentando le comunità solari che possono essere costituite anche solo da tre cittadini che si mettono insieme e condividono un pannello fotovoltaico e possiamo solo augurarci che questa accelerazione non si fermi. La transizione energetica è un processo ormai inderogabile e le comunità energetiche rinnovabili e solari rappresentano una soluzione possibile per contribuire alla lotta contro i cambiamenti climatici, rispondere ai costi crescenti dell’energia e combattere la povertà energetica.”