Nel Golfo di Trieste i ricercatori dell’Area marina protetta (Amp) di Miramare hanno mappato trenta esemplari sani di grandi dimensioni (oltre trenta cm) di Pinna Nobilis scampati all’ondata epidemica che nel 2016 è approdata nel Mediterraneo, provocando una moria di massa della popolazione. Altri trenta esemplari giovani sono stati prelevati da luoghi a rischio e attendono di essere reimpiantati a fine estate. Il ripristino della specie è l’obiettivo del consorzio che vede diverse aree marine protette, due università e due enti privati, riunite nel progetto europeo Life Pinna.
Conservare la nacchera di mare per conservare un intero habitat
La Pinna Nobilis, detta anche nacchera di mare o stura, è il più grande bivalve endemico del Mediterraneo, può raggiungere anche i 200 cm. È considerata una specie chiave, perché con la sua presenza rende possibile la sopravvivenza di numerose altre specie, garantendo l’equilibrio dell’ecosistema marino. Nel 2021 l’Unione mondiale per la conservazione della natura (International Union for the Conservation of Nature, IUCN) l’ha inserita nella lista delle specie “criticamente minacciate”, a un passo dall’estinzione.
Saul Ciriaco, ricercatore dell’Amp Miramare, responsabile dell’attività di monitoraggio, spiega ad Agenda17 l’importanza strategica di questa specie: “ha una capacità filtrante molto potente delle acque circostanti, inoltre il materiale organico di scarto che produce è un ottimo fertilizzante per le praterie marine di fanerogame, anch’esse a rischio.
Non solo, il substrato duro, che Pinna Nobilis crea sui fondali sabbiosi, diventa per molti organismi il luogo ideale dove vivere e deporre le uova, come fa ad esempio la castagnola di mare. Inoltre, in un solo esemplare riusciamo ad osservare anche tra le sessanta e le settanta specie ospiti tra cui alghe, spugne, molluschi, crostacei e briozoi (piccoli invertebrati acquatici).”
Sono poche le sacche resistenti accertate di questa specie nel Mar Mediterraneo: il delta dell’Ebro in Spagna, il Mar di Marmara in Turchia, il Lago di Bizerte e il Golfo di Gabes in Tunisia, la Laguna di Venezia e il Golfo di Trieste. Il monitoraggio costante e la conservazione di questi esemplari è il primo passo fondamentale per salvare la Pinna Nobilis.
“Due volte a settimana – prosegue Ciriaco – effettuiamo l’attività di monitoraggio in mare. Inoltre questo è periodo di riproduzione, usiamo dei “collettori” (captatori di larve) per raccogliere nuovi esemplari giovani da trapiantare.”
Il progetto Life Pinna, per la ricolonizzazione nelle Aree marine protette
Il reimpianto è la seconda fase, fondamentale per il recupero della Pinna Nobilis.
“Quando avvistiamo degli esemplari giovani in luoghi poco sicuri – prosegue Ciriaco – come le mitilicolture o i porticcioli, dove la loro vita potrebbe essere messa a rischio dalle attività umane, li espiantiamo e li mettiamo in sicurezza, facendoli crescere fino a una taglia adeguata, dai sette ai dodici cm, per poi ripiantarli. Al momento li stiamo facendo crescere e appena saremo certi che la situazione è sicura, speriamo entro la fine dell’estate, li trasferiremo in un’area marina adatta per crescere e riprodursi.”
Il ruolo delle Aree marine è fondamentale per la ricolonizzazione di Pinna Nobilis. L’Amp Miramare aderisce al progetto europeo Life Pinna che vede coinvolte anche le Amp Bergeggi e Capo Mortola in Liguria, Asinara in Sardegna e Strunjan in Slovenia.
“È importante che il ripopolamento – chiarisce il ricercatore – avvenga in aree sicure: da un parte nelle zone protette non ci sono rischi meccanici dovuti a ormeggi o attività di pesca, ma soprattutto possiamo garantire la sicurezza biologica delle zone di reimpianto.
Grazie alle indagini molecolari dell’Università di Sassari, partner del progetto, che avvengono con l’utilizzo di sentinelle ambientali, avremo la certezza che nelle zone prescelte non sia presente nessuno degli agenti patogeni responsabili della moria della specie.”
Per salvare Pinna Nobilis c’è bisogno del contributo di tutti
L’Amp Miramare porta avanti da molti anni un’attività di citizen science, che si è rivelata un aiuto fondamentale per il monitoraggio di Pinna Nobilis. In luoghi come il Golfo di Trieste, dove la densità della specie è molto elevata, riuscire a identificare gli esemplari vivi tra i gusci, che rimangono comunque in piedi nonostante siano morti, non è semplice. Per questo è fondamentale il contributo dei sub, ma anche di tutti quelli che, frequentando un mare con buona visibilità, possono comunicarne la presenza nei fondali. “Riceviamo foto e segnalazioni tramite tutti i nostri canali di comunicazione – conclude Ciriaco – e ci appoggiamo anche all’app ‘Avvistapp’ dell’Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale di Trieste (Ogs). Presto per il progetto Life Pinna sarà online un portale per le segnalazioni, che coinvolgerà tutte le aree partner del progetto.”