Mai come oggi il tema della parità di genere è entrato nel discorso pubblico nazionale, anche grazie al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Sarà la volta buona? E come? A Ferrara il gruppo femminile FareDiritti ha portato il tema all’attenzione della cittadinanza.
La strada è già stata tracciata e a farlo è stata l’Unione europea di Ursula von der Leyen, la prima donna ad essere eletta il 16 luglio 2019 alla presidenza della Commissione europea. A lei l’Unione deve l’impegno, assunto fin dalla sua candidatura, di creare un’Europa più inclusiva ed egualitaria. Un impegno che ha la sua pietra miliare nella “Strategia per la parità tra donne e uomini in Europa 2020 – 2025”, che delinea le azioni principali da intraprendere nei prossimi cinque anni per ridurre il divario di genere.
Ma già dal 2015 l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile sottoscritta dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite e approvata dall’Assemblea Generale dell’Onu, ha collocato la parità di genere al quinto posto nell’elenco dei diciassette obiettivi da raggiungere entro il 2030.
Uguaglianza di genere oggi per un domani sostenibile
Ai primi di agosto del 2021 anche il nostro Paese ha approvato una “Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026”, che definisce “priorità, obiettivi e strumenti all’interno di un piano di lungo periodo per combattere la disuguaglianza”.
Francia, Spagna, Portogallo, Germania si sono dotate da tempo di un programma di questo tipo. La Commissione Onu sullo status delle donne (Commission on the Status of Women – CSW66) ha ribadito a marzo di quest’anno il ruolo cruciale che donne e ragazze ricoprono “come agenti di cambiamento per lo sviluppo sostenibile, in particolare salvaguardando l’ambiente e contrastando gli effetti negativi del cambiamento climatico”, di cui subiscono soprattutto nelle aree più tormentate del Pianeta gli effetti più gravi. UN Women, l’organo delle Nazioni Unite dedicato all’uguaglianza di genere e all’emancipazione delle donne, ha scelto come tema della Giornata internazionale della donna 2022 “Uguaglianza di genere oggi per un domani sostenibile” e in un comunicato conclude: “Senza l’uguaglianza di genere un futuro sostenibile e di uguaglianza resta fuori dalla nostra portata”.
Ma non è tutto qui. Da tempo Banca Mondiale e Bankitalia dichiarano che la bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro arreca svantaggi all’economia sia globale che nazionale.
In Italia i problemi legati al lavoro femminile vanno dal basso tasso di occupazione all’elevata disparità salariale, dalle minori possibilità di far carriera al ridotto accesso alla formazione STEM, acronimo che sta per Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica. Agisce su questo specifico gap uno stereotipo duro a morire nello stesso immaginario femminile, che vuole le donne poco adatte alla formazione scientifico-tecnologica. In questo modo ne riduce anche le possibilità di inserirsi nel settore dell’industria più avanzata e nelle professioni tecnologiche, che nel futuro mercato del lavoro saranno dominanti.
In azienda la situazione è migliorata, ma siamo molto indietro nelle classifiche internazionali
Nel tessuto imprenditoriale italiano le donne imprenditrici sono il 22% con una percentuale maggiore nel settore dei servizi rispetto a quello dell’industria E se il World Economic Forum sul Global Gender Gap mostra per il 2021 un significativo balzo in avanti, 63° posto su 156 Paesi, registrato dall’Italia grazie al maggior numero di donne in ruoli politici (41° posto), la scarsa partecipazione delle donne al settore economico colloca il Paese al 114° posto su 150 Paesi.
Stesso discorso per la leadership in azienda, dove l’Italia registra un risultato leggermente superiore alla media europea (i dati indicano che il nostro Paese ha la più alta percentuale di donne nei Comitati dei CdA/Consigli di Sorveglianza (47%) e che è in terza posizione per numero di donne a capo dei CdA (15%), ma è in fondo alla classifica per numero di donne Ceo con un ridottissimo 3% e si ferma al 17% per le presenze femminili nei livelli esecutivi.
Molte donne, inoltre, dovendo supplire alla carenza di servizi sono costrette al part-time involontario, (il 60% contro una media UE del 21,6%.), andando a costituire quel welfare vivente, come lo definisce Elly Schlein, vicepresidente della Regione Emilia Romagna, che lo Stato nemmeno vuole riconoscere retribuendo il lavoro di cura familiare.
L’Italia, in sintesi, con 63,8 punti su 100, si colloca al 14° posto sui 27 Paesi membri dell’UE nell’indice di parità di genere, al di sotto della media europea di 4,2 punti.
Come sostiene Kinga Psiuk, studentessa di Master presso Stockholm Resilience Center, intervistata, nella Giornata Internazionale (11 febbraio 2022) delle Donne e delle Ragazze nella Scienza, dallo Stockholm Resilience Centre “Puntare a un futuro sostenibile significa per definizione puntare all’inclusività e alla giustizia… Ma raggiungere un futuro sostenibile non è possibile quando la metà della popolazione mondiale lotta ancora per l’accesso a piene opportunità o persino per il rispetto dei diritti umani”.
La situazione attuale dell’Italia per gli alti indici di violenza di genere, il permanere di stereotipi, la scarsa partecipazione al mercato del lavoro, attorno al 50% contro una media UE attorno al 63,4% (dati Openpolis), dimostra l’esigenza di un profondo cambiamento culturale. Un’osservazione a parte meritano gli indici di istruzione (lauree): più bassi per maschi e femmine rispetto al resto dell’UE (20,1% della popolazione contro il 32,8% dell’Ue). In testa sono ancora le donne, 27,8%, che, però, registrano un gap importante nelle lauree in discipline scientifiche, dove le ragazze sono la metà dei maschi, nel 2020 pari al 24,9% dei laureati.
L’attivazione dei piani Pnrr è basata sulla parità di genere. Ma mancano i dati per l’attuazione
Il Pnrr 2021-2026, approvato un anno fa dal Parlamento e accettato dalla Commissione europea, ha come fondamentale missione quella di rendere tutto il Paese più equo, verde e inclusivo. Il percorso, favorito dalla mole di finanziamenti concessi dall’Unione, pari a circa 250 miliardi di euro, è fatto di riforme e investimenti distribuiti nelle sei missioni del Piano – digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo, rivoluzione verde e transizione ecologica, infrastrutture per una mobilità sostenibile, istruzione e ricerca, inclusione e coesione, salute – e in progetti atti a trasformare radicalmente l’economia nazionale e a renderla più competitiva, dinamica, innovativa e inclusiva.
Il Piano rientra nel programma europeo Next generation EU, del valore di 750 miliardi di euro, adottato dall’Unione per sostenere il rilancio delle economie dei Paesi membri, dopo la crisi provocata dalla pandemia ed è anche il segnale di una svolta delle politiche europee, orientate alla cooperazione e non più all’austerità. La costruzione di una nuova Europa sociale, da realizzare attraverso le leve della transizione digitale e di quella ecologica, innovando i settori dell’istruzione, della sanità e dell’assistenza, passa per tre priorità determinanti, che sono la parità di genere, generazionale e fra territori.
Per le donne, i giovani, il Sud questa dovrebbe essere una grande occasione, perché l’impegno a ridurre i gap di diritti rappresenta uno dei vincoli dati dall’Europa all’erogazione dei fondi. Un impegno orientato al raggiungimento di una più compiuta democrazia, che ha suscitato forti aspettative, ma che è entrato subito in rotta di collisione con la realtà del Paese.
Per l’entità dei fondi, le riforme, le priorità vincolanti poste dall’Europa, il Pnrr potrebbe davvero dare un impulso concreto al cambiamento. Tuttavia l’avere subordinato l’approvazione dei progetti alla valutazione dell’impatto di genere, se da un lato sembra dare garanzie, dall’altro genera ulteriori problemi. A tutt’oggi mancano, infatti, dati, indicatori e una preparazione specifica per applicarla sia nella Pubblica amministrazione che nei soggetti privati ai quali compete la progettazione. I dati sono necessari per intervenire dove maggiore è il gap di genere e per definire, con un grado di approssimazione credibile, quali effetti si vogliono ottenere in termini di ricaduta sull’empowerment femminile.
Come da tempo fanno notare molti osservatori indipendenti, in particolare associazioni femminili e femministe (Period Think Tank, OpenPolis, Donne 4.0, Fuori Quota) e istituzioni pubbliche impegnate nel monitoraggio dei progetti, senza dati disaggregati e disaggregabili la misurazione ex ante, in itinere ed ex post dell’impatto di genere è poco attendibile.
Su questo e altre criticità si sono soffermati alcuni interventi del Seminario, che si è tenuto a Ferrara il 16 giugno scorso in Camera di Commercio, dal titolo “Pnrr e Pari Opportunità fra aspettative e realtà”, promosso e organizzato dal gruppo femminile ferrarese di mobilitazione civica “FareDiritti”.
FareDiritti
Il gruppo FareDiritti si è costituito nel giugno 2021, per iniziativa di dodici professioniste ferraresi, provenienti dal mondo dell’impresa, della comunicazione e della cultura, della scuola e dell’università, del volontariato e della sanità e muove dalla convinzione che non possa esserci modernizzazione della società e rilancio dell’economia nazionale, senza l’eliminazione delle forme di discriminazione di cui le donne sono fatte oggetto ancora oggi nel Paese.
Presentandosi alle Istituzioni regionale e locali, FareDiritti un anno fa ha posto immediatamente due problemi: la difficoltà di reperire dati che fotografino la realtà e i bisogni della popolazione femminile a Ferrara e la necessità di promuovere competenze digitali, carenti soprattutto nelle donne, e ha suggerito agli amministratori l’opportunità di tenerne conto nella fase propedeutica alla progettazione vera e propria. Il Gruppo, che si è dotato di un sito, dove pubblica documenti di natura istituzionale e notizie sul Pnrr, si propone di fare divulgazione, favorire la consapevolezza di cittadine e cittadini sulla realizzazione del Piano, promuovere forme di monitoraggio civico e la partecipazione dal basso alle politiche innescate dal Pnrr.
One thought on “Pnrr e parità di genere
I ritardi del nostro Paese e i vincoli dell’Europa. Mancano i dati per l’attuazione
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