“Tutti i fenomeni di violenza organizzata, in particolare la guerra, si sa quando iniziano ma non dove vanno a finire. L’uso della violenza organizzata su vasta scala e prolungato nel tempo, infatti, mette in moto una serie di variabili politiche, economiche, e a volte perfino culturali, che possono portare a un’escalation della violenza stessa, fino all’uso della bomba atomica. È una specie di eterogenesi dei fini: difficilmente la violenza si lascia imbrigliare a strumento della politica e si arriva a un punto in cui cammina sulle proprie gambe, con il rischio di non riuscire a fermarla.” È quanto dichiara ad Agenda17 Alberto Castelli, docente di Storia delle dottrine politiche presso l’Università dell’Insubria.
Il rischio di un conflitto nucleare è oggi purtroppo concreto. Uno dei segnali che desta, o dovrebbe destare, maggiore preoccupazione è l’interruzione della cooperazione per il controllo degli armamenti, cioè la collaborazione che Paesi potenzialmente nemici hanno instaurato negli anni per evitare guerre devastanti e ridurre sia i costi della competizione militare sia la portata di un eventuale conflitto.
“A pochi giorni dall’invasione su vasta scala dell’Ucraina – osserva Alessandro Pascolini, già docente di Fisica teorica e di Scienze per la pace presso l’Università di Padova – il dialogo Stati Uniti-Russia sulla stabilità strategica, il forum principale per discutere limiti agli arsenali nucleari, è stato sospeso senza che i preposti gruppi di lavoro siano stati mai resi operativi, e il 6 giugno il portavoce del Cremlino Dmitry Pescov ha dichiarato improbabile la ripresa dei colloqui nel prossimo futuro.
Un segnale preoccupante è l’apparente mancanza di contatti formali o informali fra esperti dei due Paesi e polarizzazioni, senza precedenti storici, nelle stesse comunità scientifiche, col rischio di interruzioni di collaborazioni pluriennali.”
L’espansionismo della NATO ha compromesso i rapporti internazionali con la Russia
“Gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica – prosegue Pascolini – hanno capito fin dagli anni Sessanta che la prevenzione della guerra nucleare non poteva basarsi solo sulla reciproca dissuasione mediante forze nucleari di reazione, ma richiedeva la creazione di una rete di forme cooperative di controllo degli armamenti.”
Negli ultimi decenni, tuttavia, questo percorso è rallentato: “il processo di disfacimento del controllo degli armamenti si è andato accelerando insieme all’espansione della North Atlantic Treaty Organization (NATO). Canali di comunicazione si sono atrofizzati o mai aperti e le crisi sono diventate più frequenti e rischiose.”
“Il fattore più importante – aggiunge Castelli – è stata la mala gestione del rapporto tra la Russia e il resto del Mondo, perché dopo il 1989 non si è cercato di includerla in un dialogo costante con gli Stati europei.
Quando finiscono le guerre, infatti, vinti e vincitori, se intelligenti, si mettono attorno a un tavolo e si accordano sulle nuove regole di convivenza, con i vincitori che naturalmente hanno un ruolo preponderante. È stato così per la Germania dopo la Seconda guerra mondiale, coinvolta in sede di accordi nel sistema europeo.
Con la Russia, invece, si è pensato che bastasse convivere commerciando, a causa dell’ideologia neoliberista per la quale dentro il commercio si scioglie ogni politica. Questo conflitto, invece, dimostra il contrario, cioè che due Stati possono farsi la guerra e nello stesso tempo commerciare.
È questa la grande novità oggi: prima lo sdoppiamento del lato economico e di quello politico non era mai emerso in maniera così evidente.”
Questa guerra allontana ulteriormente il disarmo
Dalla fine della Guerra fredda, dunque, Stati Uniti e Russia si sono impegnati in misure bilaterali di controllo degli armamenti che ne hanno ridotto gli arsenali nucleari strategici, arrivati negli anni Ottanta al picco di circa 60mila testate.
L’andamento nella riduzione degli armamenti. In alto, alcuni dei trattati stipulati: il più recente, firmato da Stati Uniti e Russia, è il Nuovo trattato START che limita il numero di armi nucleari strategiche per Stato a 1.550. Scaduto lo scorso anno, è stato esteso fino al 4 febbraio 2026 (©United Nations, Office of Disarmament Affairs)
Siamo però ancora lontani dal disarmo. Secondo la Federation of American Scientist (FAS), nove Paesi possiedono circa 12.700 testate, di cui il 90% appartiene a Stati Uniti e Russia e circa 2.000 sono pronte per l’uso con breve preavviso.
Il ritmo nella diminuzione degli armamenti è notevolmente calato. Gli Stati uniti stanno riducendo le loro scorte, Francia e Israele hanno arsenali stabili, ma si pensa che Cina, India, Corea del Nord, Regno unito, Pakistan e Russia le stiano aumentando.
“Il rinnovo tra Stati uniti e Russia dell’accordo New Start per cinque anni è stato uno sviluppo decisamente positivo – commenta Pascolini – e ha creato una finestra di opportunità per il dialogo, ripristinato dopo il vertice Putin-Biden a Ginevra il 16 giugno 2021 su come mantenere la stabilità nucleare e gettare le basi per future misure di controllo degli armamenti e riduzione dei rischi.
Questa guerra e il clima crescente di odio che si va diffondendo, però, stanno minando le prospettive di ricostruire l’architettura di strumenti e prassi operative per il controllo degli armamenti nucleari, che ha contribuito a porre fine alla Guerra fredda e ha permesso una riduzione dell’80% degli armamenti rispetto alla loro massima espansione.”
La guerra è l’anticamera di Auschwitz, non l’antitesi. Necessario riprendere il dialogo sugli armamenti
L’ultimo Consiglio NATO-Russia si è svolto il 12 gennaio 2022. Istituito nella base militare di Pratica di Mare a Roma, nel 2002, è un meccanismo di cooperazione in cui la NATO e la Russia lavorano su nove temi di sicurezza di interesse comune, tra cui la non proliferazione delle armi di distruzione di massa e il controllo degli armamenti.
“Durante la Guerra fredda – continua Pascolini – Russia e Usa avevano recepito chiaramente il fatto che le armi nucleari sono ‘a parte’ rispetto agli altri strumenti bellici e, di fatto, quasi tutti gli accordi di limitazione degli armamenti sono stati firmati mentre le armi continuavano a infierire.
Le lezioni apprese nei negoziati svolti durante le precedenti guerre non possono però essere trasposte facilmente nella complessa crisi attuale, interconnessa con ulteriori elementi politici, militari ed economici. La retorica bellica estremamente aggressiva di entrambe le parti accresce infatti le difficoltà oggettive a ricostruire una minima base di reciproca fiducia necessaria per dialoghi costruttivi di sicurezza strategica.”
“In questo momento – afferma Castelli – credo che il controllo degli armamenti non sia una priorità per gli americani, perché non ritengono che Putin sia portato a usare l’arma atomica, soprattutto su suolo europeo, cioè con Paesi con cui commercia e ha a che fare.
Tuttavia, se forse hanno ragione a credere ciò, sbagliano a esserne troppo sicuri perché la guerra mette in moto meccanismi che possono portare a scelte esecrabili. A volte si dice che l’alternativa è tra la guerra e Auschwitz, cioè un male peggiore. In realtà la guerra è l’anticamera di Auschwitz, non la sua antitesi: è difficile farlo capire all’opinione pubblica, ma ancora di più ai Governi, che ragionano in termini di rapporti di forza.”
Tornare alla cooperazione, ma l’Europa deve parlare con una voce sola
È necessario dunque, come sottolinea Pascolini, “riannodare le fila per la riduzione del confronto nucleare della Russia con gli Stati uniti e la NATO mediante misure di controllo degli armamenti, che potrebbero essere utilizzate per raggiungere un compromesso a breve termine, mantenere alcuni controlli sugli arsenali nucleari a medio termine, o ridurre i rischi nucleari che questa guerra sta amplificando a lungo termine e a livello globale.”
In questa prospettiva sarà fondamentale il ruolo dell’Unione europea, che deve però presentarsi unita. Per farlo, secondo Castelli, è necessario che diventi un’unione politica, dotandosi di una sovranità unica e, quindi, di un esercito e una politica estera comuni.
“Quando parlano le armi – afferma il docente – qualsiasi dialogo è difficile. È anche impossibile che dall’oggi al domani ci si metta attorno a un tavolo a fare la pace: sarà probabilmente il punto di arrivo di una serie di dialoghi più circoscritti.
Tuttavia, finché l’Europa parla con tante voci rimane debole e lascia agli americani l’iniziativa più importante. In questo modo, se un’Europa forte vorrebbe una Russia soddisfatta, pacificata e in grado di commerciare, altri Paesi, soprattutto anglosassoni, vogliono una Russia indebolita e per questo spingono perché la guerra continui.”
“Sono ancora aperti – conclude Pascolini – i fori naturali dove affrontare le cruciali problematiche per la sicurezza nucleare: il dialogo Usa-Russia sulla stabilità strategica e il Consiglio NATO-Russia, nonché l’Organizzazione per la sicurezza e la collaborazione in Europa (Osce) per gli armamenti convenzionali.
Le massime potenze nucleari hanno l’obbligo di attivare concreti negoziati e iniziative per il controllo dei loro armamenti e il rafforzamento della stabilità strategica, in primis per la salvaguardia delle proprie popolazioni e quale dovere morale verso il Mondo intero.”