Nel primo pomeriggio di ieri, sulla Marmolada il crollo di un seracco ha provocato finora sette morti, otto feriti e quindici dispersi, ma il bilancio è ancora provvisorio, mentre continuano le operazioni di identificazione e soccorso. “Non erano prevedibili né il luogo né le circostanze: se fosse avvenuto di notte, infatti, non avrebbe fatto vittime. C’era ovviamente un maggior rischio generalizzato per l’ondata di caldo, ma si sarebbero dovuti chiudere al transito degli alpinisti tutti i ghiacciai delle Alpi in quattro diverse Nazioni e si tratta chiaramente di un provvedimento irrealizzabile” commenta ad Agenda17 Luca Mercalli, climatologo e presidente della Società meteorologica italiana (Smi).
Il cambiamento climatico sta già mettendo a rischio il turismo invernale e una pratica sportiva quasi esclusivamente incentrata sullo sci e scialpinismo, con neve sempre più limitata e a quote sempre più alte. Le conseguenze, tuttavia, sono ben più ampie e l’insostenibilità di questa situazione per ambienti fragili come la Marmolada è emersa oggi in tutta la sua evidenza.
Un seracco, infatti, è una formazione di un ghiacciaio, a forma di torre o di pinnacolo, derivante dall’apertura di crepacci. Di norma si stacca per il movimento indotto dalla pendenza, ma in questo caso il crollo ha avuto origine probabilmente anche per la penetrazione dell’acqua di fusione all’interno dei crepacci.
“I crepacci che si liberano dalla neve e costituiscono un pericolo per gli alpinisti sono una cosa – commenta ad Agenda17 Mauro Varotto, professore di Geografia all’Università di Padova e coordinatore del Gruppo Terre Alte del Comitato scientifico centrale del Club alpino italiano (Cai) -. Altro invece è quanto accaduto ieri, dove una massa imponente di ghiaccio si è staccata a causa della pendenza e della mancanza di aderenza al substrato roccioso a causa delle alte temperature.
I crepacci infatti sono linee di fessurazione che segnalano il movimento plastico del ghiacciaio, in questo caso hanno funzionato da linee di frattura per il distacco di una massa imponente e precaria a causa della forte pendenza in quel punto.”
Inoltre il distacco ha coinvolto l’itinerario di salita della via normale verso la vetta, molto frequentata anche durante il periodo estivo.
Caldo eccessivo, poca neve e zero termico oltre i 4mila aumentano i rischi in montagna, ma bisogna agire su tutto il clima
A punta Penia, la cima più alta della Marmolada con i suoi 3.343 metri di altezza, lo scorso sabato si è toccato il picco di 10°C in vetta. A ciò si aggiungono le scarse precipitazioni nevose della stagione invernale, che hanno impedito alla neve fresca di compattarsi in vista dell’innalzamento estivo delle temperature.
Lo zero termico, inoltre, cioè l’altitudine alla quale la temperatura dell’aria è di zero gradi (sopra, quindi, rimane inferiore a tale soglia) si trova oltre i 4mila metri di quota. Ciò significa che, in questo momento, in Marmolada non si raggiunge mai una temperatura sotto zero, con evidenti ricadute sulla tenuta del ghiacciaio.
“L’alta montagna sta cambiando per il riscaldamento globale – prosegue Mercalli – e figure come glaciologi, nivologi, geologi e geomorfologi la tengono sotto controllo da decenni. Questi fenomeni infatti sono già ben noti agli addetti ai lavori, che possono dare un contributo a enti e associazioni che si occupano di prevenzione e soccorso attraverso la diffusione di una maggiore cultura tra i frequentatori della montagna, in modo che siano più informati e consapevoli dei nuovi rischi.
Chi va in montagna infatti sa che il rischio zero non esiste e lo accetta, anche nelle sue manifestazioni più eccezionali come quella verificatasi ieri.”
Anche Mauro Varotto osserva l’eccezionalità dell’avvenimento accaduto ieri: “il distacco avvenuto in Marmolada, per dimensioni e modalità, costituisce un salto di scala rispetto al passato. Non era mai avvenuto in Marmolada un crollo così imponente: questo sicuramente richiederà di verificare le condizioni di sicurezza di altri punti del ghiacciaio che possono trovarsi nelle stesse condizioni.
Gli studi a livello meteorologico e glaciologico locale possono aiutare a segnalare situazioni di criticità dovute alle temperature sopra la norma e a particolari situazioni di vulnerabilità statica dei ghiacciai, ad esempio, in futuro, tramite bollettini di ‘allerta ghiacciai’ piuttosto frequenti per il periodo estivo.
A livello meteorologico e glaciologico più generale, invece, devono farci capire la gravità della situazione in cui viviamo, e la necessità di trovare rimedi sovralocali, nel nostro modello di sviluppo e stile di vita. Gli studi infatti servono a misurare la febbre e i ghiacciai sono un buon termometro, ma il malato siamo noi.”
In futuro aumenteranno i rischi di crolli e la destabilizzazione del territorio
La Marmolada in questo periodo aveva già dato segnali della situazione delicata, attraverso il rumore generato sia dall’aprirsi dei crepacci sotto il caldo del sole sia dallo scorrere sottostante di torrenti di acqua di fusione.
Quali sono dunque le prospettive per il futuro? “Sulla montagna, e dunque sui suoi frequentatori, l’innalzamento delle temperature – conclude Mercalli – comporterà maggiori rischi per il collasso dei ghiacciai sospesi, la formazione di laghi glaciali con rischio di svuotamento improvviso, la destabilizzazione di apparati morenici e gli inevitabili crolli di roccia per il degrado del permafrost.”
Si tratta quindi da un lato di una questione climatica e di tutela di un ecosistema, come quello montano, particolarmente fragile, e dall’altro della necessità di rivalutare la sicurezza del turismo di montagna, che dovrà ripensare se stesso alla luce dei nuovi scenari ormai inevitabili, oltre al rischio di scarsità della risorsa idrica, a fronte di situazioni di siccità anche ad alte quote sempre più frequenti ed estese nel tempo.