La decisione temuta è arrivata. La ministra dell’interno inglese Priti Patel ha ordinato l’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti, dove rischia fino a 175 anni di carcere. “Una giornata buia per la libertà di stampa e per la democrazia britannica” si legge sul profilo Twitter di WikiLeaks, che annuncia il ricorso.
La sentenza, prosegue l’organizzazione, dovrebbe preoccupare chiunque nel Paese – e, aggiungiamo noi, nel Mondo – tenga alla libertà di espressione perché condanna un uomo che non ha commesso alcun crimine, ma è punito semplicemente perché è un giornalista e ha pubblicato la verità sui segreti più sporchi e più temuti da Governi e agenzie internazionali, soprattutto americane.
I legali di Assange faranno appello presso l’Alta corte, cui possono presentare ricorso entro quattordici giorni. Anche Amnesty International, da sempre attiva in difesa del giornalista, ha dichiarato, attraverso la segretaria generale Agnés Callamard, che tale decisione rappresenta un grave pericolo per Assange e invia un messaggio agghiacciante ai giornalisti di tutto il Mondo.
Quello che la decisione di oggi rappresenta è infatti una profonda sconfitta per la democrazia, che ha nel suo essere costitutivo la difesa delle libertà e dei diritti fondamentali dell’uomo. Primo tra essi c’è la sua libertà di pensiero e di espressione e il giornalismo scientifico inaugurato e portato avanti da WikiLeaks rappresenta esattamente questo diritto, per ognuno di noi.
L’opinione pubblica deve poter conoscere quello che Stefania Maurizi, giornalista d’inchiesta che ha collaborato con WikiLeaks, ha definito il “potere segreto”, che commette crimini destinati a rimanere, oltreché impuniti, da oggi anche potenzialmente sconosciuti.
I dati, le notizie, i video che negli anni WikiLeaks ha reso pubblici sono infatti sempre stati preventivamente verificati in collaborazione con giornalisti di tutto il Mondo e la loro autenticità è garantita da un sistema consolidato di verifiche incrociate, che permette di far arrivare all’opinione pubblica sia il materiale originale (pubblicato su WikiLeaks) sia l’inchiesta giornalistica portata avanti e pubblicata all’interno delle varie redazioni.
La decisione del Governo inglese mette a rischio tutto questo: non solo la possibilità di lavorare in maniera indipendente da parte dei giornalisti, che noi ancora vogliamo immaginare come cani da guardia del potere, ma anche il nostro diritto a conoscerlo questo potere, quello vero, quello che, come ricordato da Maurizi, non compare nei telegiornali ma cerca di rimanere nascosto per non dover rendere conto di ciò che fa.
È il giornalismo in quanto tale a essere oggi condannato all’estradizione e l’acquiescenza delle democrazie occidentali è l’ulteriore prova che la libertà, quella che oggi diciamo di voler difendere con le armi, è indifesa proprio perché scambia per nemico interno chi ne è guardia attenta e inconcussa.