Assange colpito perché ha svelato l’uso delle tecnologie di Rete nell’inchiesta giornalistica Il metodo scientifico di WikiLeaks: “aprire” i dati, verificarli, condividerli e crittografare le fonti per proteggerle

Assange colpito perché ha svelato l’uso delle tecnologie di Rete nell’inchiesta giornalistica

Il metodo scientifico di WikiLeaks: “aprire” i dati, verificarli, condividerli e crittografare le fonti per proteggerle

“Il caso di Assange è semplicissimo da capire: si tratta di una mostruosa ingiustizia, nella quale per la prima volta nella storia degli Stati Uniti un giornalista rischia la prigione a vita per aver rivelato crimini di guerra e torture, mentre i criminali di guerra e i torturatori sono liberi come l’aria. Ora l’unica cosa che può salvarlo è la pressione dell’opinione pubblica, che deve far capire alla politica quanto è assurda e inaccettabile questa ingiustizia.” È quanto dichiarato da Stefania Maurizi, giornalista d’inchiesta de Il Fatto Quotidiano, alla Festa della legalità 2022 organizzata dal Comune di Ferrara.

La vera e propria persecuzione ultradecennale nei confronti di Julian Assange è talmente grave da aver spinto il Consiglio d’Europa a inviare una lettera al Ministero dell’interno inglese, nella quale si ribadisce l’importanza di negare l’estradizione negli Stati Uniti perché tale decisione violerebbe i diritti umani e, in particolare, la libertà di stampa: interferirebbe, si legge, con il ruolo di quest’ultima nel fornire informazioni ed essere il cane da guardia delle società democratiche.

Maurizi lavora da molti anni su documenti coperti da segreto di Stato, e, afferma, il caso di Assange è rilevante, non solo per i giornalisti: “ci sono segreti di Stato legittimi, se proteggono la collettività, come le misure di sicurezza negli aeroporti. Altri, invece, sono usati per garantire l’impunità a uomini delle istituzioni che commettono crimini di Stato.

Stefania Maurizi, giornalista d’inchiesta presso Il Fatto Quotidiano (©stefaniamaurizi.it)

Accanto al potere visibile che vediamo ogni sera al telegiornale, esiste infatti un potere segreto che vuole proteggere la criminalità di Stato ai più alti livelli, ed è il potere che vuole Assange morto. Sta però qui la differenza tra dittatura e democrazia: nelle dittature se esponi il potere segreto vieni ammazzato, ma in democrazia deve essere possibile farlo. Per questo dobbiamo fare di tutto per salvarlo: per difendere il giornalismo, ma anche il diritto dell’opinione pubblica di sapere cosa fa il potere nel buio del segreto di Stato a nome nostro.”

Decine di giornalisti di tutto il Mondo verificano i dati. Poi si pubblicano con le inchieste 

Per aver rivelato documenti segreti di pubblico interesse Julian Assange rischia 175 anni in una prigione di massima sicurezza, nella quale i detenuti sono in totale isolamento. Tali documenti hanno svelato, tra le altre cose, 15mila morti civili mai conteggiati nella guerra in Iraq e le uccisioni stragiudiziali con i droni, nelle quali centinaia di persone sono uccise con aerei comandati da lontano in aree remote di Paesi come Pakistan, Afghanistan, Yemen o Somalia.

Da un punto di vista strettamente giornalistico, Maurizi sottolinea l’importanza del lavoro svolto da WikiLeaks negli anni. “L’associazione lavora così: mette insieme le proprie verifiche – spiega – con quelle svolte dai giornalisti che lavorano per l’informazione tradizionale, così che ci siano due tipi di controlli in parallelo. Poi pubblica i file originali, mentre noi pubblichiamo le inchieste basate su di essi.

Sono state così coinvolte decine di giornalisti, che lavorano per New York Times, Washington Post, El Pais, Der Spiegel, e qui io con La Repubblica e L’Espresso. Io, ad esempio, fui contattata dal loro portavoce in Germania nel luglio 2009 per verificare l’autenticità di un file sulla crisi dei rifiuti a Napoli. Ascoltai l’audio, in cui l’allora assessore all’ambiente della Campania raccontava i retroscena della crisi, accennando al presunto ruolo dei servizi segreti italiani nello scandalo: feci molte verifiche e, quando conclusi che il file era vero, lo pubblicammo su L’Espresso, mentre WikiLeaks fece uscire i dati sul proprio sito.

Ad oggi, personalmente, ho subito una serie di intimidazioni, il mio telefono è stato segretamente aperto dentro l’ambasciata inglese dell’Equador, e ho subito una rapina in pieno giorno a Roma nella quale mi hanno sottratto documenti importanti, per fortuna criptati. Tuttavia non sono mai finita in prigione né indagata e così i giornalisti che hanno pubblicato le inchieste con WikiLeaks: tutto si è riversato su Assange ed è profondamente ingiusto.”

L’organizzazione di cui Assange è l’esponente più noto è diventata un caso internazionale con la pubblicazione nel 2010 del video Collateral Murder, che mostra le immagini riprese da un elicottero Apache statunitense dell’uccisione di un gruppo di civili disarmati, tra cui due giornalisti di Reuters, da parte dei soldati americani.

“Reuters aveva cercato di ottenere il documento – spiega Maurizi – ma senza successo. Quando il video finisce online, vengono a galla le bugie delle autorità americane, che fino ad allora avevano raccontato di uno scontro a fuoco con i terroristi. Quel video ha mostrato la guerra senza mediazione: non quella edulcorata dall’informazione e che deve turbarci il meno possibile, ma una guerra senza filtri né censure.

WikiLeaks ha pubblicato 391mila file segreti solo sulla guerra in Iraq, che non riguardano solo le forze americane. Questo è piuttosto un argomento spesso usato per denigrare Assange e l’organizzazione, ma non è così: hanno mostrato invece le atrocità commesse da tutte le parti, ma fu dopo la pubblicazione di quel video che WikiLeaks è entrata in un’inchiesta mai più finita.”

Giornalismo basato sulla Rete: diffondere notizie e proteggere le fonti

WikiLeaks nasce per far conoscere documenti segreti di pubblico interesse attraverso il potere della Rete e della crittografia. Le tecnologie infatti si evolvono rapidamente e le redazioni devono adeguarsi, perché se da un lato permettono di far conoscere a chiunque notizie e documenti anche segreti, dall’altro consentono di intercettare le fonti e spiare i contenuti dei propri device.

“Nel 2008 – racconta Maurizi – una mia fonte non si presenta a un appuntamento per paura di essere intercettata illegalmente. Questo fatto cambiò per sempre il mio modo di lavorare perché capii che dovevo trovare sistemi più efficaci per comunicare in modo sicuro.

In tutte le redazioni si usano telefoni ed email, che però sono tecnologie non più adatte nel mondo del XXI secolo, in cui è facilissimo spiarci. Non solo i servizi segreti, infatti, ma anche le grandi aziende hanno facile accesso a tecnologie, sempre più comuni e meno costose, che si infilano nei nostri telefoni e prendono tutto quello che c’è dentro, magari per fermare un giornalista in procinto di scoprire cose imbarazzanti. Per me fu naturale, essendo una matematica, pensare alla crittografia, cioè sistemi per proteggere le conversazioni in modo che non siano accessibili a tutti.

La tecnologia ci dà oggi la possibilità di prendere un documento e distribuirne copia in tutto il Mondo in modo protetto. Una volta diffuso in modo criptato attraverso servizi di file sharing, infatti, basta diffondere anche la password e chiunque può accedervi. WikiLeaks ha fatto capire ai giornalisti quanto è diventato difficile nascondere i segreti proprio perché la tecnologia aiuta a esporli. 

Anche per questo le autorità, soprattutto americane, sono furiose: si rendono conto di essere diventate vulnerabili e vogliono dare una lezione ad Assange per intimidire tutti gli altri.”

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