La decisione finale spetta ora al Ministro dell’interno inglese, che deve pronunciarsi entro domani: se sarà estradato, Julian Assange rischia una condanna fino a 175 anni di carcere e, con essa, sarà inflitto un duro colpo alla libertà di stampa e al diritto di informazione.
Il 20 aprile la Westminster Magistrates Court di Londra ha infatti emesso l’ordine di estradizione per Assange negli Stati Uniti. Qui, nel 2010 il Grand Jury di Alexandria, in Virginia, ha avviato un’inchiesta nei confronti del giornalista per aver pubblicato documenti segreti del Governo americano.
Nel 2006 Julian Assange ha fondato WikiLeaks, nata dall’idea di sfruttare il potere della Rete e della crittografia per far conoscere documenti riservati di pubblico interesse. La testata ha pubblicato negli anni numerosi file segreti che rivelano comportamenti scorretti, abusi, atti di corruzione, crimini di guerra e torture, perpetrati da istituzioni governative, grandi banche, truppe o aziende private.
Dal 2010 è di fatto prigioniero a Londra, prima presso l’ambasciata dell’Ecuador, poi, dal 2019, presso la Belmarsh Prison, una delle principali prigioni di massima sicurezza del Regno Unito.
L’accusa da parte degli Stati Uniti è di spionaggio. Lo si accusa di aver diffuso documenti classificati che contenevano i nomi di persone che per questo sarebbero, secondo il Governo, esposti al rischio di ritorsioni.
A collaborare con le inchieste di WikiLeaks sono state negli anni le più prestigiose testate a livello mondiale, tra cui New York Times, The Guardian, Le Monde, El Pais. Questi giornali hanno pubblicato parte dei documenti divulgati anche da WikiLeaks: un’intensa opera di collaborazione tra i giornalisti ha permesso di non divulgare mai dati sensibili o potenzialmente pericolosi per la sicurezza, ma sempre informazioni verificate e reali.
In particolare, le inchieste pubblicate hanno portato alla luce, tra le altre verità, le prove di abusi compiuti dalle truppe americane in Iraq e Afghanistan, oltre agli atti di spionaggio compiuti dalle agenzie governative americane nei confronti dei vertici politici di altri Paesi: informazioni vere e, soprattutto, rilevanti per l’opinione pubblica.
Accesso pubblico ai dati e verifica accurata dei giornalisti. Questo è il giornalismo di Assange
Quella che WikiLeaks definì una media partnership internazionale funzionò: l’opinione pubblica mondiale venne a conoscenza delle inchieste e, soprattutto, chiunque aveva la possibilità di indagare su quei dati, verificarli e costruirsi un’opinione indipendente su quanto accaduto. Infatti, ogni lettore poteva accedere alle informazioni sui propri quotidiani nazionali e, allo stesso tempo, attingere direttamente ai dati primari.
In seguito, molti dei giornali che collaborarono con WikiLeaks hanno criticato Assange. Rimane tuttavia innegabile l’importanza dell’enorme lavoro di intermediazione compiuto a livello internazionale, perché ha posto il giornalismo di fronte a molte questioni, relative soprattutto al suo ruolo di intermediazione e al suo rapporto con le istituzioni del potere.
Numerose sono le associazioni che, ritenendo il caso un pericoloso precedente la libertà di stampa nel Mondo, chiedono il rilascio del giornalista, da Reporter sans frontières ad Amnesty International. La sua detenzione, inoltre, colpisce soprattutto in un periodo in cui l’Occidente è impegnato in una dura condanna contro la censura e la discriminazione delle voci dissidenti in Paesi come Russia e Cina.
Assange è il caso emblematico di una sempre maggiore intolleranza nei confronti dell’informazione indipendente e non allineata, anche in Occidente. Quello che sta subendo non riguarda solo lui, la sua famiglia e i giornalisti di WikiLeaks: riguarda tutti noi, perché è a rischio il nostro diritto di conoscere, in quanto cittadini, cosa fanno i Governi che ci rappresentano, soprattutto quando ci sono in gioco gravi violazioni di diritti umani, indipendentemente da chi le compie.
La sua detenzione e la possibile estradizione significano che i cittadini non hanno diritto di sapere, anche all’interno di democrazie che si dichiarano migliori dei regimi che esse stesse quotidianamente condannano per la repressione dei giornalisti indipendenti.
E soprattutto, come abbiamo visto, riguarda un modo di fare giornalismo che impegna moltissimo le redazioni e definisce i loro rapporti con il potere. La crisi in cui si trova oggi il mondo dell’informazione – con il crollo della fiducia nei giornalisti proporzionale al numero delle copie vendute – dovrebbe spingere i giornali a chiedersi a cosa serve la lezione di Assange e ad alzare la voce per difendere quello che Assange ha costruito, anziché celarsi dietro un silenzio ormai divenuto assordante. Lo spegnersi dell’esperienza di Assange, e della sua stessa della vita, è lo spegnersi della libertà dei giornali.