Il 27 aprile l’astronauta italiana Samantha Cristoforetti partirà dalla base di Cape Canaveral a bordo della capsula SpaceX Crew Dragon alla volta della Stazione spaziale internazionale. La missione, intitolata ‘Minerva’ in onore della dea romana della saggezza, dell’artigianato e delle arti, durerà oltre cinque mesi e prevede una serie di esperimenti scientifici da condurre in microgravità, molti dei quali focalizzati su medicina e salute.
“Questa è la mia seconda missione sulla Stazione spaziale internazionale, ma è come tornare a casa – ha dichiarato Cristoforetti –. Non vedo l’ora di immergermi in attività scientifiche e in operazioni di manutenzione a 400 km dalla Terra.”
Tra gli esperimenti dell’Agenzia spaziale italiana dedicati alla salute ci sono Prometeo, che studierà le conseguenze nello Spazio dello stress ossidativo – alterazione a livello cellulare all’origine di diverse patologie, causata da un eccesso di sostanze chimiche molto reattive e ossidanti, i cosiddetti radicali liberi – e Ovospace, che cercherà di determinare l’impatto della microgravità sull’apparato riproduttivo femminile attraverso lo studio di cellule ovariche bovine.
L’astronauta porterà nello Spazio anche Drain Brain 2.0, esperimento messo a punto nei laboratori dell’Università di Ferrara e dedicato allo studio dei problemi cardiovascolari e neurologici degli astronauti e delle astronaute nello Spazio. Il progetto prevede l’utilizzo di uno speciale collare dotato di piccolissimi sensori per rilevare i segnali circolatori del cosiddetto asse cuore-cervello e misurare effetti dovuti alla microgravità sul flusso sanguigno nella vena giugulare e nell’arteria carotide, sincronizzando le misure con l’elettrocardiogramma.
Esperimenti nello Spazio per migliorare la salute sulla Terra
Il progetto parte dall’esperienza di Drain Brain, già sperimentato con successo dalla stessa Cristoforetti durante la sua prima permanenza nello Spazio, nel 2015. Da allora, il team Unife ha realizzato un nuovo pletismografo – l’apparecchio usato per monitorare i parametri fisiologici della circolazione sanguigna – che può essere facilmente indossato da tutte e tutti gli astronauti a bordo. Nella versione 2.0, le misure saranno condotte su un campione più esteso di astronauti e per un tempo maggiore, nel corso di tre anni.
L’obiettivo principale dell’esperimento è la salute degli equipaggi spaziali, specialmente in vista di futuri viaggi di lunga durata nel Sistema solare: i problemi cardiovascolari e neurologici sono tra i fattori che attualmente limitano i voli spaziali a un periodo massimo di sei mesi. Non mancano però applicazioni anche per la salute delle persone sulla Terra.
“Tutte le nuove informazioni fisiologiche che ricaveremo hanno implicazioni fisiopatologiche per le persone malate – afferma ad Agenda17 il principal investigator del progetto Paolo Zamboni, direttore della Scuola di specializzazione in Chirurgia vascolare all’Università di Ferrara –. Inoltre i sistemi diagnostici innovativi che stiamo mettendo a punto speriamo che possano essere utilizzati anche a favore dei pazienti, specie se implementassimo settori come la telemedicina ad esempio.”
Sulla Terra, sono note differenze tra uomini e donne nella funzione circolatoria di cuore e cervello, anche se la medicina di genere sta ancora muovendo i primi passi in questo ambito. Zamboni si dichiara “sufficientemente certo che le misurazioni numeriche saranno diverse” tra astronauti uomini e donne, ma si riserva di raccontarne il significato fisiologico fra tre anni, al termine del progetto. “In questo momento – aggiunge – nessuno lo sa”.
Differenze tra il corpo maschile e femminile nell’adattamento allo Spazio
Tra i molteplici fattori che influenzano la salute umana, tanto sulla Terra quanto nello Spazio, figurano prominenti il sesso – inteso come classificazione degli individui su base genetica – e il genere, ovvero l’autorappresentazione di ciascuna persona basata su fattori sociali e comportamentali.
Il corpo maschile e quello femminile reagiscono in maniera diversa all’assenza di peso, sia nell’adattamento all’ambiente spaziale che, in seguito, al ritorno sul Pianeta. Studi condotti nel corso degli anni hanno mostrato, ad esempio, che le donne vanno incontro a una maggiore perdita di volume del plasma sanguigno nello Spazio e sono più suscettibili al cancro indotto dall’esposizione alle radiazioni in orbita rispetto agli uomini. Questi ultimi, invece, sono affetti maggiormente dalla sindrome di deficit visivo da pressione intracranica (in inglese, Viip: visual impairment / intracranial pressure), che provoca un offuscamento della vista una volta rientrati a Terra.
Nel 2014, la NASA ha riunito sei gruppi di lavoro, in collaborazione con il National Space Biomedical Research Institute, per fare il punto sulla salute e la sicurezza di astronauti e astronaute in vista delle missioni di lunga durata – esplorazione della Luna e di Marte – in fase di studio presso diverse agenzie spaziali. Una delle raccomandazioni formulate dagli esperti prevede l’adozione di un approccio alla medicina basato sulle evidenze di sesso e genere nei programmi di ricerca NASA. Un’altra è quella di selezionare un numero maggiore di astronaute donne.
“Il corpo astronautico è prevalentemente fatto da uomini – racconta ad Agenda17 Ilaria Cinelli, ricercatrice in ingegneria biomedica presso la start-up Aiko a Torino e mentore del network Space4Women dell’Ufficio delle Nazioni unite per gli affari dello spazio extra-atmosferico (United Nations Office for Outer Space Affairs, Unoosa) –. Secondo l’Unoosa, sono donne solo l’11% degli astronauti e di loro solo quindici donne hanno condotto una camminata spaziale, rispetto a 210 uomini. Praticamente il nulla.”
Una percentuale globale così piccola di donne astronaute fa sì che la popolazione di riferimento usata negli studi scientifici sia assolutamente risicata. “Del corpo della donna sappiamo molto poco rispetto a quello che sappiamo del corpo dell’uomo – aggiunge Cinelli –. La maggior parte di quello che sappiamo sull’adattamento del corpo umano allo Spazio è basato su una popolazione maschile, composta da persone che hanno performance fisiche e mentali molto oltre la media. Non sono un esempio medio di popolazione umana: è una nicchia, non può essere rappresentativo.”
Una maggiore presenza di astronaute donne garantisce un accesso più equo alla salute
Non si tratta solo di avere più modelli di ruolo femminili per ispirare le nuove generazioni verso le carriere STEM (dall’inglese: Science, Technology, Engineering and Mathematics). La crescente attenzione sull’uguaglianza di genere nel corpo astronautico da parte delle agenzie spaziali, compresa la selezione attualmente in corso presso l’Agenzia spaziale europea (European Space Agency, ESA), passa anche e soprattutto per la salute.
“Al momento, per l’ESA, Samantha Cristoforetti è l’unica astronauta attiva – prosegue Cinelli –. Per questo, mi aspetto che ci sia almeno il 50% di donne nella prossima selezione. Per l’ESA è fantastico averla perché ha un curriculum impressionante, ma allo stesso tempo, quanto puoi farla lavorare per produrre dati sul corpo femminile? Se fai uno studio sulle donne, nella comunità europea, essendo unica, non è più uno studio etico. Quindi la co-partecipazione con altre agenzie spaziali diventa fondamentale.”
Numerosi esperimenti condotti nello Spazio, come nel caso di Drain Brain 2.0, trovano poi applicazione sulla Terra. Dalla fisiologia ossea ai sistemi cardiovascolari e polmonari fino agli studi neuro-vestibolari, negli ultimi decenni la ricerca sui voli spaziali ha contribuito ad approfondire le conoscenze di base su molti processi fisiologici, fornendo elementi importanti per migliorare l’assistenza sanitaria. Le agenzie spaziali investono molto su questo trasferimento tecnologico per portare benefici alla popolazione del Pianeta, ma una mancata uguaglianza di genere nel corpo astronautico si riflette in una traslazione parziale delle tecnologie testate nello Spazio.
“Quando si include il fattore di disparità di genere, è difficile capire quanto le donne sulla Terra possano beneficiare di tutto quello che questo 11% di donne nello Spazio può fare, perché anche queste donne sono dotate di capacità e performance fisiche e mentali molto superiori alla media – nota Cinelli –. Sicuramente una popolazione equivalente sulla Terra ne beneficia, però nello specifico quanto può beneficiare di tutto questo una donna qualsiasi, una donna della strada, una donna che incontri al mercato o in ufficio? Quindi c’è bisogno di aumentare la componente femminile nel corpo degli astronauti anche semplicemente per dare più possibilità alle donne sulla Terra di beneficiare della ricerca spaziale.” (1.Continua)