Bisogna partire da alcuni dati per capire quanto il pericolo di un conflitto nucleare scatenato dall’invasione russa dell’Ucraina sia concreto e molto vicino a noi.
La Russia ha 6mila testate atomiche, e 5500 ne possiedono gli USA, mentre Francia e Inghilterra ne schierano rispettivamente 290 e 225. Altre 150 sono distribuite fra Belgio, Olanda, Germania, Italia e Turchia, e 90 sono israeliane.
Il pericolo inedito costituito da questo imponente arsenale che si è venuto costituendo nel dopoguerra è dovuto alla particolare situazione geopolitica del conflitto in Ucraina.
Il primo elemento da tenere in considerazione, ha affermato in un recente convegno dell’Università di Ferrara Alessandro Pascolini, già docente di Fisica teorica e di Scienze per la pace presso l’Università di Padova, è che per la prima volta gli Stati che potrebbero essere coinvolti nel conflitto sono tutti dotati di armi nucleari.
Non è stato così in altre guerre, nelle quali solamente uno dei belligeranti era dotato di arsenale atomico. È quello che è accaduto, ad esempio, nelle guerre in Corea, Vietnam, Afghanistan, ma anche nei conflitti fra Israele e Paesi arabi. E la situazione è destinata a peggiorare, perché la Bielorussia ha recentemente modificato la propria Costituzione per ospitare testate russe (analogamente a quanto accade nel nostro Paese, che ospita testate made in USA nell’ambito di accordi NATO).
Il secondo elemento di novità, segnala Pascolini, è dovuto al fatto che queste armi possono essere facilmente impiegate nel teatro dei combattimenti: molti vettori, sia in terra che in mare, hanno gettate di centinaia o migliaia di chilometri e quindi sono adatti a questo scenario.
“La retorica aggressiva di Biden e Johnson – afferma il fisico – contribuisce a far salire la tensione, e Putin fin dal momento dell’invasione ha evocato lo spettro di ‘conseguenze mai viste nella storia’ per i Paesi che intendessero intervenire.”
Attivate le procedure preliminari di lancio delle testate nucleari russe
La situazione di crescente tensione si trasforma in fatti: dalla fine di febbraio sono stati messi in funzione in Russia tutti i collegamenti – normalmente disattivati – fra il livello decisionale e quello operativo (Special Mode of Combat Duty).
Ai primi di marzo la flotta del Mare del Nord ha iniziato manovre con sottomarini nucleari, mentre i camion speciali, con lanciatori di missili con testate nucleari, sono usciti dai depositi dove normalmente sono ricoverati e sono stati dispersi nel territorio della Siberia.
La no-fly zone è un elemento di pericolo
“Per un efficace controllo di una zona di interdizione al volo (no-fly zone) sui cieli dell’Ucraina, come ripetutamente richiesto dal presidente ucraino Zelensky – secondo Pascolini –, ci devono essere continuamente aerei da combattimento della NATO in volo, e questi vanno riforniti con aerei cisterna. Questi aerei sono molto lenti, e per garantirne la sicurezza bisogna distruggere i sistemi radar e di difesa missilistica che si trovano in Russia. Come tale sarebbe una dichiarazione di guerra a tutti gli effetti.
Inoltre, dal punto di vista militare ha poco senso, perché gli attacchi dallo spazio aereo sono condotti in gran parte da missili lanciati fuori dai confini ucraini.”
Ma lo spazio sopra la Terra potrebbe diventare teatro di conflitto nucleare anche in un altro modo: con l’esplosione di una testata nella stratosfera si potrebbero distruggere tutti i sistemi elettromagnetici, creando una situazione insostenibile per l’Ucraina.
La debolezza nell’armamento convenzionale russo favorisce l’escalation
Il primo mese di guerra ha mostrato molte debolezze russe nella guerra con armamento convenzionale. E questo costituisce un ulteriore problema.
“Negli ultimi anni la Russia – afferma il fisico padovano – aveva puntato a un deciso rafforzamento delle sua capacità di deterrenza con le armi convenzionali. Ebbene, quello che vediamo in Ucraina è che non c’è riuscita, e questo potrebbe spingerla a chiudere la partita con un’esplosione nucleare. Naturalmente questo per la NATO sarebbe inaccettabile. D’altro canto, qualora la pressione dei profughi diventasse insostenibile potrebbe essere la stessa NATO a pensare a una ‘azione di alleggerimento’ in questo modo.”
Il pericolo delle centrali nucleari
In Ucraina ci sono quindici reattori nucleari per uso civile. I reattori delle centrali vanno continuamente raffreddati anche se non sono in funzione per produrre energia, perché la radioattività del materiale fissile produce naturalmente calore, e servono in continuazione energia elettrica e acqua per i sistemi di raffreddamento.
Il caso del reattore di Chernobyl è emblematico. Il nove marzo, quando è caduto sotto il controllo russo, è mancata l’energia elettrica, e i lavoratori della centrale sono rimasti in servizio per 600 ore consecutive senza ricambio di personale. Nel caso di Chernobyl il pericolo è limitato, perché da tempo la centrale è in dismissione, ma il caso di Fukushima ha mostrato cosa può accadere quando in una centrale in funzione non si attivano le pompe di raffreddamento a causa della mancanza dell’energia elettrica.
Ragionevoli speranze
In questo quadro così carico motivi di preoccupazione non mancano per fortuna elementi di ragionevole speranza. Il primo di questi è che in seguito al Protocollo di Budapest del 1994, l’Ucraina non ha armi nucleari, perché quelle sul suo territorio ai tempi dell’URSS sono state trasportate in Russia.
Altri elementi positivi vengono dal fatto che gli Stati Uniti hanno sospeso i test di lancio di missili programmati, e che hanno stretto dal primo marzo un accordo con la Russia direttamente a livello di ministeri della difesa per prevenire incidenti e incomprensioni sul piano militare.
“Rispetto al problema dell’innalzamento del sistema di allarme russo – sottolinea Pascolini – va notato che a questo atto non è seguito alcun segnale di preparazione concreta, e così hanno fatto anche gli Stati Uniti. Del resto, i vertici militari dei due Paesi conoscono bene le conseguenze di un conflitto nucleare, e quelli russi hanno mostrato molta preoccupazione. Inoltre nel sistema russo la decisione dell’impiego di armi nucleari va presa da almeno due soggetti fra i tre autorizzati: il presidente, il capo di stato maggiore e il ministro della difesa.
Altro fattore di speranza è che sono stati rifiutati da parte della NATO i Mig polacchi nella base americana di Ramstein, evitando così che si potesse scatenare una reazione dovuta ad azioni partite da quella base.
Infine – conclude Pascolini – Russia, Bielorussia e Ucraina conoscono bene i rischi di un impianto nucleare civile, e queste strutture sono controllate dall’agenzia internazionale con sede a Vienna AIEA (International Atomic Energy Agency). Il 10 marzo c’è stato un incontro fra il direttore generale dell’Agenzia con i ministri degli esteri di Russia e Ucraina per definire le modalità di garanzia e protezione.”