Il 21 marzo si celebra in tutto il mondo la Giornata internazionale delle foreste. L’ha deciso l’Assemblea generale delle Nazioni unite nel 2013, con l’obiettivo di accrescere la consapevolezza dell’importanza del patrimonio arboreo per la sopravvivenza del Pianeta. Da allora questa consapevolezza è continuamente aumentata, fino a diventare uno dei temi centrali della Conferenza sul clima di Glasgow, COP26.
Ma non basta piantare più alberi. Quello che si è capito in questi anni è che bloccare la deforestazione, riforestare e piantumare è un’operazione complessa che investe molti aspetti, che a volte divide anche le valutazioni di esperti e ambientalisti.
Per questo è fondamentale tener conto, oltre che delle ricerche scientifiche sui modelli generali, anche delle esperienze maturate sul campo, soprattutto nelle situazioni dove c’è un proficuo intreccio di diverse competenze e un ricco confronto di posizioni, anche distanti fra loro.
Su questi temi pubblichiamo il commento inviato ad Agenda17 da Marco Falciano, che ci porta il contributo della Rete per la giustizia climatica di Ferrara, un’esperienza particolarmente ricca di interventi e riflessioni.
Mentre il G20 annuncia di piantare mille miliardi di alberi, alla COP26 si afferma l’obiettivo di fermare la deforestazione entro il 2030. Sulla medesima onda green, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha approvato un imponente progetto di rinaturalizzazione del bacino del Po, del valore di 360milioni di euro, che coinvolgerà le Regioni di Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.
Anche a livello territoriale, sono state assunte le linee guida, dettate dall’Europa, per la corretta gestione del verde pubblico, che dedicano particolare riguardo alle foreste ripariali ma anche alla gestione del verde urbano e privato (Criteri ambientali minimi, Cam).
Nel territorio ferrarese si riscontra un’alternanza di pratiche dannose, non rispettose della conservazione e tutela del patrimonio naturale, con nuove buone pratiche di valorizzazione e incremento della forestazione che traggono giovamento dalla cittadinanza attiva e la coprogettazione.
Stragi di alberi. Quando la tutela ambientale chiude gli occhi di fronte al business del legname
Nonostante la spinta ecologista improntata alla preservazione del patrimonio arboreo e alla valorizzazione dei servizi ecosistemici, il mondo ambientalista denuncia ancora numerose condotte incompatibili con tali dettami, attuate dagli enti pubblici e di gestione del territorio che si occupano di verde.
Nell’anno 2021 nella sola provincia di Ferrara, sono stati rasi al suolo oltre 100 ettari di corridoi ecologici, rappresentati rispettivamente dalle sponde del Cavo napoleonico, sito Rete Natura 2000, e quelle del fiume Reno. Tali azioni hanno determinato un’evidente discontinuità ambientale con le aree protette che tali vie d’acqua collegavano, tra cui quella del Bosco della Panfilia (SIC, ZPS IT4060009), ora confinato tra le due vaste zone d’intervento, decimate della vegetazione.
Identici interventi di abbattimento che nulla hanno risparmiato dietro di sé, si sono registrati periodicamente ogni anno, soprattutto lungo le aste fluviali: nel 2020 sul Reno ad Argenta, sul Po di Volano a Ferrara, lungo la ferrovia Ferrara-Suzzara, nel 2019 lungo il canale Navigabile nel comune di Ostellato, solo per citare alcuni esempi.
La Regione Emilia-Romagna ha incentivato progetti di riqualificazione e rigenerazione urbana con l’erogazione di specifici contributi, al fine di migliorare le condizioni di offerta e attrattività delle aree di fruizione turistica costiera, ma non sempre ciò si è attuato garantendo il rispetto del verde, bilanciando gli interventi dell’uomo con l’interesse ambientale, favorendo azioni di riforestazione, o ispirati ai principi della green belt.
Lo conferma l’abbattimento di circa sessanta pini vetusti lungo il litorale comacchiese di Lido degli Estensi, divenuto fatto di cronaca acclarato, grazie alle proteste di centinaia di cittadini, riuniti in associazioni e gruppi ambientalisti.
I boschi ripariali sono gli ultimi rimasti in Pianura padana e garantiscono un servizio ecosistemico fondamentale a una delle aree più inquinate d’Europa, già eccessivamente antropizzata. In piena crisi climatica, si continua però senza lungimiranza ad autorizzare interventi drastici a danno del verde.
Tali azioni sono aggravate dal fatto che la sorte del legname è quella di venire bruciato nelle biomasse, producendo enormi quantità di CO2, che al contrario rimarrebbe immagazzinata negli alberi come servizio ecosistemico. Ironia della sorte, questo indotto basato sui bruciatori è considerato virtuoso, e gode di importanti finanziamenti per le economie circolari e dal fondo di solidarietà dell’Unione europea. Per l’impattante business del legname, più si tagliano alberi, più si guadagna vendendoli sotto forma di cippato da ardere, il risultato è la deforestazione delle aste fluviali.
Come hanno avuto modo di documentare gli attivisti della Rete giustizia climatica (Rgc), che unisce molti gruppi e associazioni ambientali del territorio estense, gli impianti a biomassa cui è conferito il cippato di risulta degli abbattimenti non sono scelti privilegiando quelli più vicini all’area deforestata, limitando così l’impatto ambientale ulteriore dovuto al traffico dei mezzi, ma secondo altri criteri, presumibilmente economici, che portano le tonnellate di cippato a viaggiare da Ferrara a Forlì, oltre 230 chilometri tra andata e ritorno, aumentando esponenzialmente le emissioni.
E’ un modus operandi schizofrenico: stiamo perdendo ogni anno centinaia di ettari di biotopi naturali, un negativo circolo vizioso che ancora non ha trovato soluzione.
Dietro vi è un business economico, ma la ragione formale degli interventi è sempre la medesima: si opera sempre in virtù di un “rischio”.
Le operazioni di disboscamento attuate lungo i corsi d’acqua ferraresi sono giustificate ad esempio da ragioni di “rischio idraulico”, ma risulta difficile ritenere la sussistenza di un rischio così concreto e imminente da determinare la rimozione di migliaia di alberi sani. Ancor peggio, quando gli interventi sono realizzati in territori considerati a rischio idro-geologico, le deforestazioni avvengono senza considerare eventuali compensazioni o nuove piantumazioni in sostituzione degli alberi eliminati. Meglio sarebbe preservare l’esistente con interventi capillari e mirati, ma ciò raramente accade.
Anche il verde pubblico urbano non è al riparo, spesso considerato un “rischio per l’incolumità delle persone”, soprattutto in riferimento a fenomeni meteorologici particolarmente intensi e oggi sempre più diffusi. Ma non si menziona che la causa principale è da rinvenire, soventemente, nell’errata progettazione o scorretta manutenzione protratta per anni a danno delle alberature.
Eppure tali nozioni non trovano applicazione negli interventi invasivi a cui assistiamo periodicamente, che non possono diventare opportunità per foraggiare un anacronistico business del legname basato sulla combustione.
Le associazioni ambientaliste regionali hanno già manifestato il loro dissenso verso questa tipologia di interventi e rivendicano l’applicazione di un criterio di taglio altamente selettivo e non di massa, scegliendo tra le alberature vive da abbattere solo le più instabili e danneggiate, con misure definite che preservino le piante vetuste; richiedono controlli quotidiani e stringenti sull’attività svolta e di utilizzare la legna come ammendante dei suoli agricoli, favorendo il conseguente stoccaggio nel suolo del carbonio e limitando al massimo la combustione di legname.
Le buone pratiche. Quando i cittadini attivi piantano alberi
In risposta a interventi così distruttivi come quelli appena descritti, si rileva un fermento di interventi di segno nettamente opposto, provenienti dalla cittadinanza attiva. Fermare il consumo di suolo, tutelare la biodiversità, vivere in città più vivibili, sono questioni sempre più sentite e discusse nella sfera pubblica locale.
Sono i cittadini che, negli ultimi anni, esercitano le maggiori influenze e pressioni nei confronti della pubblica amministrazione, chiedendo di investire nella manutenzione e salvaguardia del verde pubblico e nella creazione di nuove aree verdi. Nel comune di Ferrara, tra gli esempi in fase di studio o di realizzazione, si citano la cintura verde intorno alla città (green belt), la costituzione dell’area verde Parco Sud, l’ampliamento del Parco Bassani con un bosco dedicato ai nuovi nati (Bosco delle cicogne), il rifacimento della Darsena di Ferrara e, infine, gli interventi per contrastare le isole di calore nelle zone più cementificate dell’urbe.
La Rete ha avanzato la recente richiesta di rinaturalizzare l’area dei “Prati di Palmirano”, per preservare e restituire all’uso pubblico un’area agricola di circa venti ettari, e di costituire una nuova Area di riequilibrio ecologico (Are), come ulteriore vincolo di tutela. I terreni, un tempo di proprietà del demanio militare, sono ora di proprietà del Comune. Un paesaggio molto suggestivo, rimodellato dalla natura e da decenni straordinariamente intoccato dalla pesante mano dell’uomo.
I cittadini avanzano richieste agli enti e si attivano per risolvere i problemi
Le associazioni e i gruppi ambientalisti locali agiscono in prima persona per piantumare nuovi alberi sul territorio migliaia di alberi.
Numerosi sono i progetti realizzati nel comune di Ferrara su iniziativa della cittadinanza attiva, a cominciare dalla realizzazione di un bosco fluviale nell’area golenale del Po a Porporana.
L’associazione Area, che già provvede da anni alla gestione del Bosco di Porporana, ha acquistato tre ettari di terreno contigui. Area, insieme agli ambientalisti, ha piantumato ben 4.500 nuove essenze, tra alberi e arbusti, e creato il “Bosco Nuovo”, estendendo per alcuni chilometri il polmone verde lungo il Po.
Altre proficue collaborazioni sono sorte più vicino al centro città, ove il Comune ha messo a disposizione delle associazioni della Rgc alcuni terreni, in cui i volontari hanno provveduto alla sistemazione di nuovi impianti arborei e, in taluni casi, ad assicurare l’adeguata irrigazione negli aridi mesi estivi. Esempi di questa sinergia sono il Parco 21 novembre, il filare alberato della ciclabile di Via Gramicia, il Krasnopark, una Boscata di ossigeno presso l’Ospedale di Cona.
Le buone pratiche. Quando le istituzioni e i cittadini collaborano
Complessivamente, non si può ancora affermare che la gestione del verde pubblico sia soddisfacente, essendo ancora molte le criticità del sistema di gestione.
Concentrando il focus a livello del comune di Ferrara, si deve riscontrare che, dopo decenni di interventi errati a danno del verde urbano, come peraltro confermato dai report tecnici, siamo ancora lontani dal rispettare adeguatamente le best practice recepite dall’Unione europea.
Ancora oggi gli ambientalisti si trovano a denunciare interventi di capitozzatura, categoricamente vietati dal regolamento comunale del verde, l’utilizzo di diserbi chimici desueti e pericolosi, sfalci dell’erba inutili, attuati senza tener conto delle precipitazioni, o delle necessità degli insetti impollinatori. Ancora manca un Piano del verde, fondamentale strumento urbanistico che conferisce coerenza e visione d’insieme alle progettualità future.
Dal contesto appena descritto, prodotto da decenni di interventi scorretti e controlli carenti, al contrario, è da riconoscere l’impegno profuso dall’attuale amministrazione a migliorare la gestione del patrimonio arboreo comunale.
L’Assessore all’ambiente, in particolare, è stato promotore di progettualità virtuose, che hanno coinvolto anche tecnici di rilievo internazionale, vincendo bandi e sfruttando i fondi europei green per la progettazione di nuove aree urbane.
Tra i principali progetti realizzati e in fase di realizzazione a Ferrara si rammenta il progetto Air Break, che determinerà l’impianto di migliaia di nuovi alberi in città, e altri progetti di riforestazione già compiuti.
L’Amministrazione comunale ha poi, con buoni risultati, strutturato un nuovo sistema di collaborazione coi cittadini, coinvolgendo i referenti della Rgc di Ferrara in tavoli di lavoro e di coprogettazione. Tra questi è stato recentemente concluso il progetto “Forestazione urbana”, un processo partecipativo che ha coinvolto il Centro servizi volontariato (Csv), le associazioni ambientali, i cittadini, la facoltà di Architettura e il Comune stesso.
Altro esempio virtuoso è rappresentato dal “Tavolo verde”, tavolo di coprogettazione sperimentale che ha garantito il confronto tra rappresentanti della Rgc e dell’Amministrazione pubblica al fine di riscrivere insieme il contratto di servizio tra il Comune e Ferrara Tua, la società di gestione del verde, con l’obiettivo di migliorare il servizio.