C’è tempo fino al 15 marzo per partecipare alla consultazione pubblica lanciata dalla Commissione europea per chiarire il ruolo che le plastiche a base biologica, biodegradabili e compostabili possono avere nel conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, in linea con il Green Deal europeo.
L’obiettivo principale della consultazione è raccogliere i pareri e le osservazioni di cittadini, associazioni di categoria ed esperti del settore in vista della preparazione di una politica comunitaria, la cui adozione è prevista nell’estate 2022, applicabile su questi tipi di plastiche.
Plastiche tradizionali e bioplastiche: facciamo un po’ di chiarezza
La difficoltà di distinguere tra i vari tipi di plastica per chi non opera direttamente nel settore, ma semplicemente acquista o usa questi materiali, è una delle motivazioni alla base della consultazione europea.
Le plastiche di nuova generazione sono spesso etichettate come “bio”, ma il significato di tale prefisso deve essere chiarito di volta in volta perché può riferirsi alle origini del materiale o al suo smaltimento.
Le plastiche biobased, infatti, sono prodotte a partire dalla fermentazione di biomasse naturali o direttamente dagli organismi viventi, mentre una plastica è biodegradabile se può decomporsi per almeno il 90% in anidride carbonica e acqua in sei mesi, o frammentarsi come minimo del 90% in dimensioni inferiori a 2mm in tre mesi in presenza di materiali organici, come stabilito dalla normativa europea.
Una plastica biobased, inoltre, può non essere biodegrabile, mentre una plastica sintetizzata da combustibili fossili può invece biodegradarsi, come il policaprolattone (PCL) utilizzato nelle comuni buste della spesa.
In questo contesto è evidente che lo sviluppo di un’etichettatura chiara, completa e affidabile è un valido strumento per poter riconoscere i diversi materiali e soprattutto per poterli smaltire in maniera corretta.
L’impatto ambientale delle bioplastiche
L’utilizzo delle bioplastiche al posto delle plastiche tradizionali può certamente avere un impatto sulla riduzione del volume di rifiuti prodotti. La loro sostenibilità e biodegradabilità favorisce un approccio di economia circolare della plastica, che mira a diminuire la produzione di energia e il consumo di risorse.
Diventa quindi chiaro che una valida alternativa sostenibile deve considerare gli impatti ambientali dell’intero ciclo di vita del materiale, che nel caso delle plastiche implica una derivazione da fonti naturali diverse da quelle fossili e la biodegradabilità.
Le microplastiche
Per quanto si degradino in tempi relativamente brevi, le plastiche biodegradabili non risolvono però il problema inquinamento: infatti a dimensione microscopica della materia e della vita, potrebbero essere solo una delle tante fonti di produzione di microplastiche, ossia tutte le particelle di plastica di dimensione compresa tra 5mm e 1nm.
La loro origine è varia: ad esempio, i nostri vestiti disperdono fibre e microfibre, sia quando indossati sia in lavatrice. Un maglione di pile rilascia nello scarico migliaia di fibre di microplastica che non vengono trattenute dai depuratori e si disperdono nelle acque superficiali. Ma anche le suole delle scarpe e le gomme delle automobili si consumano lungo la strada e possono produrre microplastiche.
A queste si uniscono plastiche che vengono appositamente realizzate di dimensioni così piccole come materia prima per altre produzioni industriali, o da inserire nei cosmetici, nei dentifrici e negli scrub, e così via.
Una delle caratteristiche delle microplastiche è la loro leggerezza, che fa sì che possano essere trasportate dal vento fino a raggiungere i posti più remoti della Terra.
Il problema più grande legato alle microplastiche è che possono ricoprirsi di inquinanti e microrganismi e fungere da vettori, insinuandosi facilmente negli ecosistemi con importanti conseguenze sulla catena alimentare. Negli ecosistemi marini, ad esempio, i piccoli molluschi come le cozze, che filtrano l’acqua, ingeriscono inconsapevolmente plastica, dando luogo a fenomeni di accumulo nei tessuti biologici.
Consumo e produzione sostenibili per ridurre l’impatto ambientale della plastica
Negli ultimi anni si è provato a incentivare lo sviluppo di alternative alla plastica di origine da fonti fossili e non degradabile, ottenendo ottimi risultati nella generazione di materiali che sostituiscono le plastiche convenzionali a tutti gli effetti.
Esistono norme International Organization for Standardization (ISO) che definiscono le categorie di appartenenza delle diverse plastiche e relativi processi di smaltimento e uso. Manca però una restituzione di questa complessità agli utenti finali, i consumatori.