“Una grande opportunità”. Così è stata definita la vaccinazione pediatrica da madri, pediatri, infermieri degli hub vaccinali e associazioni di volontari che abbiamo incontrato per questo dossier. Ma non tutti la pensano così, c’è ancora chi esita.
I bambini, passati inizialmente sotto il radar di SARS-CoV-2, il virus responsabile di Covid-19, sono stati anche loro travolti dall’ultima ondata pandemica: in Italia, dal 2020 a fine gennaio 2022 si contano più di 12mila ricoveri. Il Giappone a metà gennaio riporta un picco di oltre 5mila casi giornalieri, di cui più di mille sotto i diciannove anni, e 406 sotto i nove anni. Anche la mortalità tra i giovani non è trascurabile e negli Stati Uniti sono 910 i morti sotto i diciotto anni dall’inizio della pandemia.
Le categorie più a rischio sono i bambini sotto l’anno di età e quelli affetti da patologie croniche. Tuttavia, anche i bambini sani possono sviluppare complicanze gravi come la Sindrome infiammatoria multisistemica pediatrica, che come spiega la dottoressa Agnese Suppiej, neuropsichiatra infantile, docente di pediatria e direttrice della sezione di pediatria del Dipartimento di scienze mediche dell’Universitaria di Ferrara “è una patologia grave che può richiedere il ricovero in terapia intensiva e che può portare a morte. È un quadro di super-infiammazione che segue dopo due-sei settimane all’esposizione al SARS-CoV-2, e si manifesta con febbre alta, un coinvolgimento della funzione respiratoria, renale, cutanea e anche neurologica e cardiaca. La fascia di età più colpita da questo tipo di patologia è quella fra gli otto e i tredici anni, proprio nel cuore di quella che è l’età della vaccinazione in questione.”
Anche la ormai nota sindrome da Long Covid, descritta per gli adulti, sta diventando una realtà crescente in età pediatrica e “può impattare sul benessere complessivo del bambino sia fisico che psicologico. Nei bambini è più difficile riconoscerla e va ricercata”, sottolinea Suppiej.
Luce verde ai vaccini pediatrici fino ai cinque anni
L’1 dicembre l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) dà il via libera alle vaccinazioni anti-Covid per i bambini tra i cinque e agli undici anni, e per l’ultima fascia d’età rimasta scoperta (tra i sei mesi e i cinque anni) Pfizer-BioNTech ha da poco chiesto l’approvazione alla Food and Drug Administration (FDA): notizie che generano reazioni contrastanti, dal sollievo al timore, ancor più che per i vaccini indirizzati alla popolazione adulta.
Il rapporto annuale sulla sicurezza del vaccino anti-Covid-19 pubblicato il 9 febbraio dall’Aifa mostra dati rassicuranti: nella popolazione pediatrica gli eventi avversi più frequentemente segnalati sono febbre, mal di testa, stanchezza e vomito. Il 69% delle reazioni nella popolazione pediatrica si sono risolte completamente o erano in miglioramento al momento della segnalazione. I tassi di segnalazione nella fascia d’età 5-11 sono preliminari, ma al momento non emergono particolari problemi di sicurezza.
In ambito pediatrico ci sono diversi attori coinvolti: i genitori e i bambini, che assumono un ruolo diverso a seconda dell’età. Secondo la pediatra Suppiej “quelli che hanno maggiori punti interrogativi sono sicuramente i genitori, spesso disorientati da notizie contrastanti e inquinate da fake news”.
Ma cosa ne pensano i diretti interessati? Secondo Chiara Valentina Segré, divulgatrice e supervisore scientifico di Fondazione Umberto Veronesi “è naturale che un bambino fra i cinque e gli otto anni anni si fidi ancora ciecamente dei genitori e di quello che pensano. Non si può pretendere che un bambino di quell’età abbia la maturità e la consapevolezza di opporsi a una decisione dei genitori, i quali magari sono anche convinti di fare il loro bene non vaccinandolo. Diverso secondo me sono già i ragazzini dai dodici anni in su, che hanno degli strumenti più razionali e ovviamente sono anche più maturi per poter prendere una decisione più consapevole. Però sono minorenni e di conseguenza non possono ad oggi in Italia, almeno mi sembra, fare delle vaccinazioni senza il consenso dei genitori.”
Gli studi sulla comunicazione vaccinale: genitori responsabili e piccoli informati
Mentre per lo sviluppo dei vaccini esistono protocolli disponibili, chiari e standardizzati, purtroppo non è lo stesso per la comunicazione, che infatti ha seguito zoppicando la campagna vaccinale ed è diventata una questione ancora più delicata in ambito pediatrico.
Sebbene ai fini legali, fino al raggiungimento della maggior età, le decisioni in materia di salute spettino ai genitori/tutori, è importante tenere in considerazione il diritto all’informazione dei diretti interessati e la sua rilevanza educativa. La comunicazione in sanità pediatrica è attualmente oggetto di studio, e diverse pubblicazioni raccolgono indicazioni e consigli utili sulle pratiche raccomandate in termini di modalità e linguaggio da utilizzare.
Uno strumento fondamentale, anche per i più giovani, è l’health literacy, termine con cui si intende, secondo le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), “la capacità di ottenere, elaborare e capire informazioni sanitarie di base e accedere ai servizi di salute in modo da effettuare scelte consapevoli”. L’alfabetizzazione sanitaria in ambito pediatrico può sfruttare due caratteristiche tipiche di questa fascia d’età: un alto livello di curiosità e capacità di apprendimento, oltre ad avere il vantaggio unico di essere un vero investimento per il futuro.
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L’appello dei pediatri dell’Emilia-Romagna
Come guida per una scelta consapevole, i pediatri delle principali associazioni dell’Emilia-Romagna hanno scritto un appello in ventiquattro punti che spiega con semplicità le modalità di sviluppo, approvazione e somministrazione dei vaccini, affrontando con trasparenza i possibili effetti collaterali, in particolare quelli cardiaci che destano maggiore preoccupazione nei genitori.
I pediatri mettono in luce non solo i vantaggi diretti del vaccino, ma anche quelli indiretti come la salvaguardia della salute mentale, messa a dura prova dalla chiusura prolungata delle scuole e dall’interruzione delle attività sportive e ricreative. Le vaccinazioni pediatriche contribuiranno a ridurre il rischio di quarantene.
Per quanto riguarda la salute mentale, la dottoressa Suppiej, firmataria dell’appello, ha studiato in particolare disturbi dell’umore, l’ansia e la depressione, più difficili da scoprire nel bambino “Nel nostro studio in via di pubblicazione – afferma – quello che abbiamo visto è che si è anticipata l’età dei disturbi. Considerando il confronto fra gli accessi al pronto soccorso prima e dopo la pandemia, si è anticipata l’età nella quale questi bambini giungono, perché i problemi cominciano a diventare disturbanti e importanti.”
In diretta dall’hub vaccinale. Parola chiave: accoglienza
L’ingresso dei bambini nelle strutture sanitarie è da sempre un momento delicato e, secondo Gloria Pocaterra, referente infermieristica dell’attività vaccinale del Dipartimento di sanità pubblica Ausl di Ferrara, creare un ambiente accogliente con un personale appositamente formato e preparato è fondamentale per venire incontro ai piccoli pazienti.
Un valido aiuto per creare un clima accogliente e smorzare la tensione è fornito dalle associazioni di volontari. I Pagliacci senza gloria hanno colto al volo l’opportunità di partecipare all’ “Open Day – vaccinazione per i bambini” presso l’Ausl di Ferrara per rendersi utili aiutando gli operatori sanitari al momento dell’accoglienza e durante le somministrazioni.
Maschere, magie e palloncini sono sempre un ottimo stratagemma per smorzare la tensione e distogliere l’attenzione dal fatidico momento della puntura. Altri incentivi di successo sono l’esempio dei coetanei appena vaccinati, un premio finale in caramelle e non solo: al termine della somministrazione viene consegnato il tanto ambito attestato di coraggio.
Ma l’attenzione del personale sanitario non è solo per i bambini: “Tranquillizzare le famiglie – rimarca Pocaterra-, rispondere a tutte le loro domande e chiarire gli ultimi dubbi è una parte fondamentale delle attività che svolgiamo quotidianamente.”
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Le voci più importanti: quelle della mamme. In podcast
Il mestiere di genitori è costellato di responsabilità e scelte che possono generare preoccupazioni, soprattutto in ambito sanitario. “Ti chiedi ogni giorno se stai facendo la cosa giusta o sbagliata”, confida Sara Nizzero, fisica e ricercatrice allo Houston Methodist Research Institute. Sara, assieme a Chiara Segré, ha condiviso con Agenda17 la sua scelta di vaccinarsi in gravidanza e ora entrambe raccontano anche le loro esperienze con le vaccinazioni pediatriche.
In questo caso si tratta di esperienze un po’ diverse: Chiara e il suo compagno hanno vaccinato serenamente il figlio di cinque anni non appena è scattata l’approvazione dell’Aifa. Anche il piccolo, che non è un amante degli aghi, in questa occasione era molto convinto ed è stato più coraggioso del solito al momento della puntura.
Il bambino di Sara era troppo piccolo per poter usufruire dei vaccini già approvati, ma in America si è presentata un’ulteriore possibilità: i trial clinici. Le preoccupazioni per il rischio che il figlio si ammalasse di Covid-19, l’incognita del Long Covid e le informazioni disponibili riguardo i vaccini a mRNA anti-SARS-CoV-2 hanno convinto la ricercatrice e il compagno ad arruolare il piccolo di sette mesi nel trial clinico per il vaccino Pfizer-BioNTech.
Un dubbio comune è dato dalla rapidità con cui sono stati prodotti e approvati: questa impresa è stata in parte resa possibile dall’adesione record ai trial clinici, ci ricorda Nizzero, sia per gli adulti sia per i bambini.
Segré e Nizzero concordano sul fatto che è stata una scelta con una forte componente emotiva, ma che per tutti può essere aiutata da una comunicazione chiara, trasparente, aperta ed accogliente. Anche il rapporto con il pediatra di famiglia è cruciale, ribadisce Suppiej, con cui è fondamentale instaurare una relazione di fiducia reciproca.