Martedì 8 febbraio è stata approvata in via definitiva (e in seconda lettura) alla Camera dei deputati la modifica degli artt. 9 e 41 della Costituzione. Poiché è stata superata la maggioranza dei due terzi – esattamente com’era già avvenuto al Senato – quanto stabilito all’art. 138 Cost. non prevede dunque alcun ulteriore aggravio procedurale che non sia la mera promulgazione da parte del Presidente della Repubblica e la successiva pubblicazione della legge costituzionale in oggetto nella Gazzetta ufficiale. In base ai contenuti del provvedimento, non c’è alcuna ragione di pensare che il Capo dello Stato vorrà opporsi, ragione per cui le modifiche al testo della Costituzione entreranno senz’altro in vigore entro breve tempo.
Qual è dunque la sostanza di questi interventi?
Essi, in primo luogo, operano sull’articolo 9 della Costituzione. Alla previsione per cui la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione, aggiungono il principio per cui la Repubblica deve altresì tutelare l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche a protezione dell’interesse delle future generazioni. Si stabilisce altresì che “la legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.
Coerentemente, viene modificato anche l’art. 41 Cost., dedicato all’iniziativa economica. Alla previsione già nota per cui essa è “libera” ma “non deve svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana”, si aggiunge ora che la stessa non può comportare danni “alla salute” e “all’ambiente”. Si interviene poi, di risulta, sull’ultimo comma dello stesso art. 41, stabilendosi che “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali” (in corsivo quanto viene ora aggiunto)-
Perché tali modifiche sono (o, meglio, potrebbero diventare) assai rilevanti?
Va sinceramente detto che buona parte di quanto trova ora spazio nelle esplicite previsioni appena menzionate, e in procinto di fare pertanto ingresso in Costituzione, risulta in realtà già reperibile tra le pieghe del suo (“vecchio”) testo. La giurisprudenza di ogni grado – e specialmente quella della Corte costituzionale, la quale riveste la massima importanza ai fini dell’interpretazione e dell’applicazione corretta delle norme costituzionali disponibili – hanno già da tempo individuato e usato molti di quei (nuovi?) contenuti in non poche pronunce.
Del resto, solo gli inesperti e chi non sa come si manovra la Costituzione si ostinano a cercare la frasetta che fa al caso loro o la lacuna verbale della quale si rammaricano, senza valutare cioè l’insieme del testo e le modalità con cui – come in un puzzle – tasselli di norme anche lontani finiscono per interagire alla luce delle fattispecie alle quali vanno applicate.
Per inciso, i no-vax – anche i più colti – sono maestri in quest’opera di selezione strumentale e arbitraria delle previsioni di legge o della Costituzione: estrapolano solo quanto serve loro, dimenticandosi di tutto quanto è pur presente nel testo della Carta e che getta una luce del tutto diversa sulle stesse prescrizioni da essi sbandierate.
Così, l’ambiente aveva già fatto ingresso in Costituzione con la modifica dell’art. 117, intervenuta con la legge costituzionale n. 3/2001, avente a oggetto il riparto di competenze tra Stato e Regioni. La Corte costituzionale ha però sin da subito sottolineato che questo richiamo costituiva non già una semplice materia da spartire tra il centro e la “periferia”, bensì un “valore” costituzionale. Affermazione impegnativa, a sottolineare la prevalenza del ruolo dello Stato in materia nonché la circostanza per cui esso doveva e dovrà entrare in gioco in tutte le operazioni di bilanciamento operate dal legislatore – ai fini della produzione normativa – nonché per valutare poi la legittimità delle stesse scelte del Parlamento.
Nell’art. 117, accanto all’“ambiente”, si menziona così, già oggi, anche l’“ecosistema”, al quale pare difficile non dovere estendere quanto già stabilito dalla Corte in riferimento al primo (l’ambiente e l’ecosistema sono evidentemente connessi tra loro, configurando, di fatto, un tutt’uno).
Nessuna novità traspare poi dalla menzione della “salute” quale ulteriore limite esplicito all’iniziativa economica. La tutela della salute già oggi gode di grande rilievo in senso alla Costituzione, costituendo oggetto dell’art. 32 Cost. (proprio quello che i no-vax leggono solo a pizzichi e mozzichi o non comprendono affatto). Anche in tal caso, ogni bilanciamento tra diritti e prerogative doveva e deve sempre fare i conti con questa prerogativa. Forse perché non era stato ancora modificato l’art. 41 non è stato finora possibile introdurre un solido corpus di norme poste a tutela della salute individuale e collettiva? È ovvio che così non è e non è mai stato.
Anche la menzione degli animali tra le nuove tutele dell’art. 9 cambia di poco il quadro già noto. Chi confida che questa previsione potrà essere brandita per vietare, ad esempio, la sperimentazione su di essi sbaglia clamorosamente il bersaglio. Innanzi tutto perché la Costituzione si limita ora a rinviare alla legge, non statuendo assolutamente nulla che già non si sapesse.
Si dirà che però la legge dovrà ora tutelare adeguatamente gli animali. Sbagliato: già ora esistono leggi che puniscono il maltrattamento degli animali e che svolgono questa funzione anche sul versante del loro utilizzo sul piano scientifico (d. legisl. n. 26/2014, di attuazione della Direttiva UE 2010/63). La stessa Corte costituzionale – usando le norme della Costituzione disponibili ancor prima della riforma oggi in discorso – ha avuto modo di dire la sua in materia, colpendo le discipline troppo impeditive ma escludendo altresì l’opzione di chi avrebbe voluto di tutto di più. Ossia, bilanciando interessi, principi e valori, come ancora si dovrà fare in futuro.
Legge e giurisprudenza hanno insomma fissato non pochi paletti finalizzati a proteggere dalle possibili esorbitanze della ricerca applicata sugli animali senza tuttavia impedirla oltre il necessario. Anzi, forse è stato fatto anche di più: la legislazione italiana in materia di sperimentazione scientifica sugli animali è tra le più severe. Alcune delle sue previsioni costituiscono addirittura un unicum nel panorama europeo e sono state ritenute eccessivamente penalizzanti per la ricerca. Non solo dai ricercatori italiani, come potrebbe pensarsi: ne è infatti derivata una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia davanti alla Corte di giustizia, la quale ha determinato la continua proroga del termine dell’entrata in vigore delle previsioni più controverse.
Forse il profilo testuale di maggiore interesse nella riforma risiede nel richiamo all’interesse delle “future generazioni”. Su questo fronte, le fonti e le pronunce interne, sovranazionali e internazionali certo non mancano, ma la giurisprudenza – lasciamo stare il nostro legislatore – è sembrata più cauta, preoccupata di non esagerare, persino incerta.
L’input rappresentato dalla novità normativa probabilmente consentirà dunque una maggiore scioltezza e stimolerà un sensibile aumento delle sollecitazioni rivolte ai giudici, con l’ispessirsi di un filone giurisprudenziale che sembrava arrancare e poco propenso ad ampliarsi. Bisognerà tuttavia precisare cosa davvero significhi l’espressione aggiunta: certo non si potrà vincolare oggi ciò che dovranno fare domani i nostri discendenti, ma distinguere non sarà sempre semplice.
Qui sta il punto, che coinvolge anche i contenuti meno innovativi di cui si è ragionato poco sopra.
Scrivere direttamente ed esplicitamente in Costituzione ciò che comunque anche prima si poteva ricavare in via interpretativa da altre norme della stessa cambia sempre qualcosa. Rende visibile a tutti (e pone quindi sotto i riflettori) contenuti in precedenza più nascosti, crea interesse e fomenta il formarsi di un’opinione pubblica più attenta agli stessi, induce a cercare con maggiore consapevolezza le violazioni dei “nuovi” principi, chiama inevitabilmente in causa i giudici inducendoli a esprimersi con maggiore scioltezza e a formare così filoni di giurisprudenza consolidata. Senza dire che – fornendo un perno anche interno a quanto sancito sul piano internazionale – si rafforza ulteriormente il vincolo di quei contenuti, elevandoli spesso di rango giuridico e creando così le premesse per contestare le leggi (e le loro applicazioni) non esattamente conformi.
La nuova disciplina costituzionale va insomma attesa al varco per verificarne l’impatto: per ora ha tutta l’aria di essere – in gran parte – solo un manifesto di buone intenzioni che nulla innova a quanto già si sapeva (o, almeno, a quanto sapevano i giuristi più avveduti). Forse però avrà il merito di fornire maggior carburante a quegli stessi contenuti prima senz’altro più nascosti. Staremo a vedere.