Proponiamo di seguito l’introduzione all’ “Indagine sulle condizioni di studio e di vita degli studenti e delle studentesse del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Ferrara al tempo della pandemia e del confinamento sociale”.
La pandemia da Covid-19, presentata e gestita in primis come questione virale di ambito strettamente medico-sanitario, è il primo accadimento nella storia della specie umana vissuto in contemporanea da ogni abitante della Terra “nel mentre” del suo verificarsi. Da ricercatori sociali si può dire che l’emergenza coronavirus abbia concretizzato l’incredibile ed impensabile setting di un esperimento sociologico planetario, dove poter analizzare e osservare empiricamente i cambiamenti di scenario del “villaggio globale” (McLuhan, 1964).
Rispetto ad altri eventi di portata mondiale la peculiarità di questa ondata pandemica, che ha interrotto repentinamente abitudini, regole e pratiche quotidiane delle persone e delle organizzazioni, va letta in seno a due ordini di fattori, ovvero, aver fatto vivere a tutti simultaneamente: 1) l’incertezza come esperienza personale diretta, anziché come rischio possibile in un mondo sempre più interconnesso; 2) la fragilità di ogni ordine sociale spesso dato per scontato quale ordine resistente ed immutabile.
Autorevoli studiosi sociali hanno incrementato il patrimonio del sapere sociologico, sviluppatosi proprio sull’onda del mutamento, con quadri teorici interpretativi delle dinamiche e trasformazioni sociali e, oggi più che mai, alla riflessività di questi autori è proficuo far riferimento per “la possibilità di districare, in questo caos, le grandi linee, l’ordito della società moderna” (Mills, 1973 [1959], p.15).
L’umanità è diventata una “comunità di destino” esposta a rischio crescente
Nel difficile compito di comprendere cosa e come cambierà il modo di vivere e d’intendere le cose nella società post-pandemia, il ruolo critico dell’ ”immaginazione sociologica” diventa nevralgico per evitare derive profetiche o di narrazione di cronaca.
Il processo di globalizzazione, che definisce e caratterizza la società del nostro tempo, ha trasformato la Terra in uno spazio interdipendente dove tutto e tutti sono reciprocamente influenzabili da eventi di vario tipo (economici. tecnologici, naturali, ecc.) apparsi in qualche luogo del Pianeta e con effetti a cascata oltre i confini del tempo e dello spazio. Le crescenti condizioni di interconnessione del villaggio globale hanno reso l’umanità intera una “comunità di destino”, come dice Morin (1994), esposta in modo crescente a rischi sistemici (Luhmann, 1990) difficilmente ravvisabili perché esito di celati meccanismi di riproduzione sociale.
Nella copiosa letteratura sui rischi della globalizzazione Ulrich Beck, nel celebre saggio La società del rischio del 1986, mette in evidenza quanto gli stessi siano il prodotto della modernizzazione e costituiscano un orizzonte di minaccia costante, uno sfondo d’incertezza che pervade l’esistenza sociale ed alimenta paure.
In accordo con Beck il sociologo britannico Anthony Giddens (1994; 2000) rammenta che stiamo vivendo nella “cultura del rischio” in considerazione della natura globalmente distruttiva che i rischi, di origine antropica, hanno assunto. I caratteri dei rischi dell’éra planetaria sono, dunque, la complessità e l’incertezza.
Le società complesse sono società dell’incertezza
Già a partire della seconda metà del secolo scorso discipline diverse – dalla biologia alle scienze sociali – hanno evidenziato che, per conoscere ed abitare meglio il mondo di cui siamo parte, fosse giunto il momento di andare oltre quella che Gregory Bateson (1972) battezza come “fisica delle palle di biliardo” e di adottare un’epistemologia della complessità, in cui contano le relazioni tra le parti piuttosto che le parti in sé. Quando le relazioni tra le componenti di un sistema raggiungono un certo livello di complessità sono governate da leggi del tutto diverse dalla logica lineare tipica della scienza classica e rendono obsoleti, se non vani, i saperi e le certezze scientifiche fino ad allora punto di riferimento.
Ne sono stati un esempio eloquente i tentennamenti del sapere medico-scientifico circa il riconoscimento della gravità e della possibile espansione globale dell’infezione come pure delle modalità di fronteggiamento clinico. Va da sé che il repentino frangersi delle certezze sanitarie che fino a poco fa ci avevano sostenuto nel credere che, almeno in Occidente, fossimo in grado di governare le malattie infettive e che le epidemie fossero prerogativa di territori lontani e di popoli poveri, ha sortito effetti sul già ampio ventaglio delle paure umane.
L’incertezza medico-scientifica e la paura
Paure ed incertezze, come insegna Bauman, sono accumunate. Il sociologo polacco definisce, infatti, la paura come uno “stato emotivo consistente in un senso di insicurezza di smarrimento e di ansia di fronte a un pericolo reale o immaginario o dinanzi a cosa o a fatto che sia o si creda dannoso” (Ibidem, 2006, p. 41). È una lungimirante previsione della paura pandemica attuale.
La paura è una componente sociale importante e ineludibile, in quanto stato d’animo degli esseri umani e la paura della morte è quella che, più di altre, determina e condiziona la nostra vita e i nostri comportamenti. L’istanza primaria di ogni specie vivente è, infatti, quella dell’autoconservazione per la quale gli individui sono storicamente disponibili a darsi dei limiti e a sottostare a determinate regole. Sulla paura della morte nasce la società politica, la vita associata quale garanzia di sicurezza e tutela dai rischi della vita per la quale si è, appunto, disposti all’accettazione del dominio (Weber, 1958).
È ciò che ha portato milioni di persone al confinamento sociale imposto da vari governi quale misura di contrasto primaria alla diffusione del contagio. Il dramma del Covid-19, quale possibile evento cigno nero, (Taleb, 2008), ha interrotto la normalità di un ordine sociale che con le sue regole dava un senso di sicurezza e una bussola di orientamento al nostro vivere associato.
È un dramma ad alta velocità che ha posto in questione aspetti strutturali della società – dai sistemi di decisione politica, di organizzazione del lavoro fino a quelli di socializzazione – che avranno/hanno ricadute inevitabili in ambito micro, ovvero, sulla vita delle persone. Tutto ciò apre la nostra disciplina ad un ruolo attivo nella sfera pubblica e, ancor più, ad un impegno interpretativo di ciò che ci accadrà come pure alla creazione di un nuovo orizzonte di senso.