“La resistenza agli antibiotici (Antimicrobial Resistance, AMR) è il fenomeno per il quale un microrganismo (batterio) diventa resistente all’attività di un antibiotico originariamente efficace per il trattamento di infezioni da esso causate. Purtroppo, l’uso eccessivo e non sempre appropriato di questi farmaci in ambito umano e veterinario ha contribuito alla rapida diffusione del fenomeno.” È quanto dichiara ad Agenda17 Monica Monaco, ricercatrice del Dipartimento Malattie Infettive dell’Istituto superiore di sanità.
Per questo, alla fine di agosto il Global Leaders Group on Antimicrobial Resistance ha chiesto a tutti i Paesi del Mondo di ridurre significativamente la quantità di farmaci antimicrobici utilizzati nei sistemi alimentari. Sono farmaci indispensabili per sconfiggere le malattie nell’uomo, negli animali e nelle piante e un loro uso responsabile è l’unico modo per contrastare l’antibioticoresistenza, i cui costi in termini umani ed economici sono destinati a crescere.
Nell’Unione europea, infatti, è causa di 33mila decessi ogni anno e costa 1.5 miliardi di euro annui in spese sanitarie e perdita di produttività. A livello mondiale, invece, i decessi annui sono almeno 700mila, ma potrebbero raggiungere i 10 milioni entro il 2050, tanto che l’ex direttrice generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) Margaret Chan ha definito l’antibioticoresistenza un “lento tsunami” che ci fa perdere la capacità di curare persone e animali.
Obiettivo della Farm to fork strategy, strategia al cuore del Green Deal europeo per rendere i sistemi alimentari equi, sani e rispettosi dell’ambiente, è ridurre del 50% le vendite di antimicrobici per animali d’allevamento e in acquacoltura entro il 2030.
Per quanto riguarda l’Italia, il fenomeno è largamente diffuso. “Secondo il rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) pubblicato nel 2018, la proporzione di infezioni causate da patogeni antibiotico-resistenti – specifica Monaco – è cresciuta al 17% nel 2005 e al 30% nel 2015 e, se il consumo di antibiotici, la crescita demografica e quella economica dovessero continuare con lo stesso andamento, potrebbe superare il 30% nel 2030. Si stima che 450mila persone moriranno a causa dell’AMR entro il 2050 con un costo per il nostro Paese di circa 13 miliardi di dollari.”
I dati di quest’anno: notevoli progressi nel settore veterinario
“Questi appelli – sostiene Alessandra Piccirillo, docente di Malattie infettive degli animali e patologie aviarie presso l’Università di Padova – vengono fuori ogni giorno: è una problematica cui tutti sono abbastanza sensibili. Non dobbiamo però dimenticarci che tocca sia la medicina umana sia quella veterinaria e l’ultimo report in materia la dice lunga su cosa è stato fatto in questi anni.”
Si tratta del terzo joint interagency antimicrobial consumption and resistance analysis (JIACRA) report, rilasciato a giugno 2021 e frutto della collaborazione tra l’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC), l’European Food Safety Authority (EFSA) e l’European Medicine Agency (EMA). Il report mette a confronto l’uso degli antibiotici e il fenomeno dell’antibioticoresistenza sulla base di dati provenienti da programmi di sorveglianza europei per gli anni 2016-2018.
“Il grafico – spiega Piccirillo – la dice lunga su quanto è stato fatto in questi anni. Mostra infatti come l’andamento nell’uso del farmaco in medicina umana sia rimasto sostanzialmente stabile, mentre per gli animali da reddito, pur partendo da un utilizzo più elevato, c’è stato un importante decremento. Ciò è avvenuto grazie all’attuazione da parte dei veterinari delle cosiddette azioni di antimicrobial stewardship, cioè interventi coordinati con lo scopo di promuovere un uso corretto degli antimicrobici.”
È la prima volta, da quando è redatto JIACRA (i primi dati risalgono al 2011), che si osserva questo cambiamento e ciò suggerisce che le misure adottate per ridurre l’uso di antimicrobici negli allevamenti sono state efficaci.
“Se vogliamo quindi basarci su dati scientifici – continua Piccirillo – è un dato di fatto che i veterinari si sono maggiormente dati da fare per ridurre la quantità di farmaco impiegata. Questo non nega che un uso erroneo del farmaco è stato fatto in medicina veterinaria, ma ci siamo assunti le nostre responsabilità e siamo intervenuti per ridurre il fenomeno.”
Le conseguenze per la salute umana e il sistema sanitario
Bloccare lo tsunami dei batteri resistenti richiede sforzi congiunti e azioni mirate anche in medicina umana. “Per questo, secondo l’Ocse migliorare l’igiene nelle strutture sanitarie, implementare programmi di stewardship, promuovere la prescrizione ritardata (post-datata) per evitare il consumo di antibiotici non necessari sul territorio, somministrare test diagnostici rapidi per determinare la natura virale o batterica delle infezioni nei pazienti, organizzare campagne di educazione sui media sull’uso appropriato e consapevole degli antibiotici sono le azioni che potrebbero evitare al nostro paese 8.800 morti e far risparmiare 527 milioni di dollari ogni anno” dichiara Monaco.
Purtroppo l’Italia rimane tra i Paesi con i maggiori consumi di antibiotici e le più alte percentuali di resistenza. “Nel 2019 – sottolinea Monaco – secondo il rapporto dell’Osservatorio nazionale sull’impiego dei farmaci (Osmed), il consumo di antibiotici in Italia per il settore umano non è variato rispetto al 2018 e si conferma superiore alla media europea.
In particolare, in ambito ospedaliero il consumo di antibiotici è cresciuto nel triennio 2016-2019 con grande variabilità tra le Regioni. Soprattutto nel Nord Italia è infatti aumentato l’uso dei carbapenemi, una classe di farmaci il cui uso eccessivo favorisce la diffusione delle resistenze.”
Il contrasto all’antibiotico resistenza nel sistema legislativo
“La lotta all’antibioticoresistenza – prosegue Monaco – è iniziata molti anni fa. Già nel 2001 il Consiglio europeo aveva esortato gli Stati membri a prendere coscienza della gravità del fenomeno e mettere in atto strategie utili a contrastarlo. Da quel momento tutti gli organismi internazionali hanno lavorato per rendere la lotta all’antibioticoresistenza priorità assoluta in tema di sanità pubblica.
Nel 2015, l’Oms ha pubblicato il Global Action Plan (GAP), riconoscendo che l’AMR va affrontata con interventi coordinati multisettoriali (in ambito umano, veterinario e ambientale) e promuovendo un approccio One Health. Seguendo queste raccomandazioni, nel 2017 il nostro Ministero della salute ha pubblicato il Piano nazionale di contrasto all’antimicrobico-resistenza (Pncar) per gli anni 2107-2020 e attualmente in fase di aggiornamento, fissando il percorso che tutte le istituzioni devono compiere per contrastare il fenomeno.”
A giugno 2017 la Commissione Europea ha inoltre adottato il piano d’azione One Health contro la resistenza antimicrobica, con le indicazioni sulle misure di prevenzione, monitoraggio e contrasto nei confronti del fenomeno.
L’ultimo provvedimento in ordine di tempo è il Regolamento europeo sui farmaci veterinari, che entrerà in vigore a gennaio 2022 negli Stati membri. Tra gli obiettivi c’è la lotta all’antibioticoresistenza attraverso, ad esempio, il divieto di utilizzo di farmaci in via profilattica, cioè prima dell’insorgenza di un qualsiasi segno di patologia, e in via metafilattica, cioè il trattamento di un intero gruppo di animali quando uno solo è infetto.
“La rinuncia all’uso di farmaci in via profilattica – specifica Piccirillo – è di fatto una pratica consolidata in diversi Paesi europei da anni, compresa l’Italia, soprattutto nel settore avicolo. In passato erano già state adottate diverse limitazioni, tra cui il divieto di uso dei farmaci promotori della crescita. Questo regolamento ufficializza il giusto comportamento nell’uso del farmaco in medicina veterinaria.
Purtroppo però, anche nelle pubblicazioni scientifiche di un certo livello si legge spesso che le cause dell’attuale situazione di emergenza sono imputabili alla medicina veterinaria. Non è così: esistono linee guida sull’uso prudente dei farmaci veterinari da almeno dieci anni e i numeri sembrano finalmente dimostrare che noi veterinari stiamo facendo di tutto per migliorare la situazione.”
L’uso degli antibiotici rimane però necessario anche per la salute degli animali
La Federazione dei veterinari d’Europa ha inoltre lanciato una campagna in merito ad alcuni punti di questo Regolamento. Si è mossa infatti contro una mozione della Commissione per l’ambiente, la salute pubblica e la sicurezza alimentare sui “criteri di classificazione degli agenti antimicrobici riservati all’uomo”, che avrebbe portato al divieto di utilizzo veterinario di antimicrobici criticamente importanti per la salute umana.
“Alcuni di questi antibiotici – aggiunge Piccirillo – sono salvavita per gli animali e non esistono alternative. Come in medicina umana è necessario salvaguardare certi farmaci per tutelare la salute, noi che ci occupiamo di animali dobbiamo a nostra volta salvaguardare i farmaci che ci aiutano a curarli. La petizione è stata firmata da molti veterinari europei ed è stata vinta: sta ovviamente poi alla mia coscienza di medico veterinario, come dovrebbe essere anche in ambito umano, usare il farmaco in maniera corretta.”
Inoltre, si legge sul comunicato della FVE, proteggere la salute umana significa anche prevenire e trattare le patologie veterinarie, visto che il 60% delle malattie umane sono di origine zoonotica. Per questo è importante che eventuali restrizioni nella categorizzazione delle classi antimicrobiche tengano conto delle indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità animale (World Organization for Animal Health, OIE) sull’importanza degli antibiotici per la salute degli animali.
“L’antibioticoresistenza è un tema molto discusso – conclude Piccirillo – ma dobbiamo ragionare su dati scientifici e, di fatto, non è stato finora scientificamente dimostrato il passaggio diretto dell’antibioticoresistenza attraverso la catena alimentare. C’è quindi incertezza, ma rimane fondamentale la necessità di preservare gli antibiotici e la loro efficacia: tutti devono fare la propria parte e devono farla sulla base dell’evidenza scientifica.”