La sostenibilità, negli ultimi anni, è diventata una prerogativa imprescindibile per qualunque attività umana, tanto nella vita comune quanto nell’ambito della grande produzione e distribuzione. L’educazione ad azioni sostenibili e alla conoscenza delle tematiche ambientali sta raggiungendo buoni risultati a livello di consapevolezza, ma l’attuazione massiccia di pratiche sostenibili sembra ancora un risultato lontano da raggiungere.
Questo è ciò che si evince dalla ricerca del Digital Transformation Institute (DTI) – Fondazione per la sostenibilità digitale, presentata nel terzo incontro di “Smart Environment: impatto delle innovazioni digitali per la sostenibilità” tenutosi recentemente. I risultati dell’indagine, eseguita dalla società di ricerche di mercato Ipsos ed elaborata dal DTI, mostrano un’incoerenza di base da parte degli italiani tra la consapevolezza della complessità del problema ambientale e la possibilità di soluzioni offerte dal digitale.
A detta di Stefano Epifani, presidente della Fondazione e curatore dell’incontro, ciò deriva in larga parte da una diffidenza interna al mondo ecologista nei confronti del digitale.
Una trasformazione che parte dalle nostre case
Un interessante risultato della ricerca rivela che quasi un italiano su tre fa uso regolare di soluzioni sostenibili legate alla domotica: elettrodomestici intelligenti (19,6%), lampadine controllabili tramite assistenti vocali (16,4%), impianti di riscaldamento e climatizzazione gestibili da remoto (12%) e contatori intelligenti (15,5%).
“Il periodo della pandemia è stato un acceleratore nell’acquisto di prodotti intelligenti nelle abitazioni, in grado di controllare aspetti come la sicurezza, la diminuzione e il controllo dei consumi e via dicendo” ha commentato Elisabetta Cianfanelli, presidente del corso di laurea in Fashion System Design all’Università di Firenze, sottolineando la necessità del progettista di essere in grado di spingere i clienti all’utilizzo di soluzioni intelligenti e sviluppare in loro una cultura rivolta alla sostenibilità e al digitale.
La prima grande sfida, perciò, riguarda le aziende che si devono confrontare con la riprogettazione degli spazi in cui viviamo, ovvero l’interno ed esterno delle nostre abitazioni. Ciò significa per queste aziende adattare gli spazi tradizionali ai mezzi digitali, quindi attuare un cambiamento radicale nella loro forma mentis. Questo processo di trasformazione presenta ancora numerose lacune, dal momento che molte possibilità date dal digitale non sono disponibili su tutto il territorio nazionale. Un esempio sono le applicazioni di monitoraggio della qualità dell’acqua, che solo il 4,9% degli utenti utilizza.
A tal proposito, Michele Tessera, direttore del settore di Information Technology del Gruppo Cap (Consorzio acqua potabile, azienda lombarda di gestione risorse servizi idrici), sottolinea i vantaggi che il digitale offre nel monitoraggio dei consumi e nell’attuazione di comportamenti sostenibili: “Bisogna comunque tenere conto – avverte Tessera – di quella fetta di popolazione che non usa le tecnologie, che non ha un cellulare e che non può essere messa in difficoltà a causa di queste carenze. Ciò significa reggere lo sviluppo digitale tenendo in grande considerazione anche le fasce più deboli.”
Per quanto riguarda le applicazioni per la gestione dei rifiuti, sono utilizzate da un italiano su cinque, in particolare sono diffuse le applicazioni di assistenza per la raccolta differenziata (10,9%) e quelle implementate dai comuni per la prenotazione del ritiro di rifiuti ingombranti (10,4%), oltre che i sistemi di prenotazione e accesso alle isole ecologiche (6,6%).
Ridurre l’impronta di carbonio con sistemi software intelligenti
Rispetto al problema fondamentale delle emissioni di CO2, una contraddizione da non sottovalutare è che il digitale stesso ne è un grande produttore. Ma ciò non significa che non offra delle soluzioni per ridurle.
Un caso emblematico in tal senso è quello proposto da Carlo Bozzoli di Enel, che ha richiamato il concetto di programmazione informatica sostenibile (green coding), che prevede il riuso nell’ambito della scrittura di codici per i software: ogni giorno vengono scritte milioni di righe di codice da ogni azienda caratterizzata da uso intensivo di sistemi software (software-intensive system), e per fare ciò si produce una gran quantità di CO2. Se si riutilizzassero linee di codice già esistenti senza crearle ogni volta da zero si risparmierebbe una notevole quantità di energia e le emissioni legate all’utilizzo di reti digitali calerebbero.
“Anche le piattaforme di meeting virtuali – ha ricordato Enrico Mercadante di Cisco Italia – vanno in questa direzione: alcuni studi evidenziano infatti che, evitando gli spostamenti, si possono produrre importanti risparmi in termini di emissioni di CO2.”
Anche il portafoglio vuole la sua parte
Le soluzioni intelligenti per rendere le nostre attività sostenibili esistono, soprattutto in Italia che rientra fra i Paesi che più hanno investito sull’energia rinnovabile in Europa. Tuttavia traspare una certa riluttanza da parte degli italiani, soprattutto nell’ambito imprenditoriale, nel farne un uso sistematico, e questo è sicuramente da attribuirsi ai costi elevati che richiedono.
Un esempio è il mercato delle auto elettriche. “Il sistema di distribuzione di energie elettriche deve far fronte a costi molto elevati. Se le macchine elettriche costassero di meno probabilmente questo sistema andrebbe in crisi”, commenta Elisabetta Cianfanelli. Questo vale specialmente per il suolo italiano, in cui colonnine e punti di ricarica sono rari e perlopiù concentrati nel nord Italia.
Se le auto elettriche avessero prezzi più accessibili, sicuramente molte più persone potrebbero permettersele, ma un improvviso aumento della circolazione di questi mezzi richiederebbe di intervenire velocemente sulla distribuzione elettrica, facendo fronte a costi che l’Europa ancora non può sostenere. Questo è sicuramente un problema a cui far fronte senza proporre soluzioni azzardate.
Stando ai dati della ricerca, la tematica ambientale rappresenta per la maggior parte degli italiani un problema primario (il 74,5% lo ritiene un problema da affrontare subito contro il 9,9% che lo ritiene un problema secondario), per quanto questa consapevolezza risulti essere compromessa da una scarsa voglia di cercare soluzioni in tempi brevi.
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