La disponibilità delle persone a vaccinarsi contro il coronavirus è fondamentale per sconfiggere la pandemia. Nonostante le numerose indagini che analizzano le opinioni della popolazione rispetto ai vaccini, sono ancora pochi gli studi sui Paesi a basso e medio reddito. Eppure, la copertura globale della vaccinazione è indispensabile per fermare il virus e in queste aree potrebbe essere più facile procedere con l’immunizzazione.
Secondo uno studio pubblicato su Nature Medicine, sono proprio i Paesi più poveri, dove si sta ritardando con le somministrazioni, a poter dare impulso alla vaccinazione su scala mondiale. Qui infatti la disponibilità a vaccinarsi da parte della popolazione è notevolmente maggiore rispetto ai Paesi con reddito medio-alto e anche le motivazioni fornite dagli intervistati riservano qualche sorpresa.
Nei Paesi poveri c’è meno esitazione: le persone vogliono vaccinarsi
Gli studiosi hanno analizzato quindici campioni di indagine su dieci Paesi a basso e medio reddito, distribuiti tra Africa, Asia meridionale e America latina, e li hanno confrontati con quelli di Russia e Stati Uniti. Le differenze sono importanti: la media di accettazione del vaccino contro il Covid-19 nei Paesi a reddito medio-basso è di 80,3%, contro il 64,4% degli Stati Uniti e il 30,4% della Russia.
Com’è distribuita questa percentuale? A livello demografico, le differenze tra gruppi sociali sono meno forti rispetto ai Paesi più ricchi. Ad esempio, le donne risultano più esitanti ma la differenza con gli uomini è meno marcata (meno di dieci punti percentuali) rispetto a Stati Uniti (17%) e Russia (16%).
Lo stesso vale per età e livello di istruzione degli intervistati. Ci sono differenze tra i Paesi, ad esempio in alcuni come India e Nigeria i giovani sono significativamente meno disposti a vaccinarsi rispetto agli adulti, mentre in altri come Pakistan, Mozambico e Ruanda la situazione si ribalta. Non sono però mai differenze statisticamente rilevanti. Molto più coerenti, piuttosto, sono i dati che riguardano le motivazioni.
Tutela della propria salute e timore per gli effetti collaterali i principali motivi pro e contro i vaccini
Il motivo più indicato tra chi è intenzionato a vaccinarsi è la protezione personale contro il coronavirus (media del 91% nelle risposte), seguito dalla protezione della famiglia (36%). In pochi invece rispondono di voler tutelare la comunità: segno che gli appelli all’altruismo e al benessere sociale non sarebbero quindi molto efficaci per promuovere la vaccinazione.
In linea con i Paesi più ricchi è invece il motivo principale di esitazione, cioè la paura per la sicurezza dei vaccini e i loro effetti collaterali. Va detto che la maggior parte dei sondaggi è stata condotta quando i primi vaccini non erano ancora autorizzati all’uso di emergenza e, nonostante vi fossero già indicazioni che gli effetti avversi erano rari, queste risposte potrebbero riflettere i timori legati al rapido sviluppo dei vaccini e a informazioni ancora limitate. D’altra parte, è comunque una preoccupazione frequente anche in Russia (36,8% degli esitanti) e Stati Uniti (79,3%).
C’è poi un certo timore per la reale efficacia dei vaccini, che però non si traduce in teorie cospirative sugli interessi economici delle aziende farmaceutiche, a differenza di quanto accade negli Stati più ricchi.
È alta la fiducia nelle autorità sanitarie
In quasi tutti i Paesi esaminati, comunque, il sistema sanitario è identificato come la fonte più affidabile di informazioni. Si tratta di un dato importante: i ricercatori sottolineano infatti che, quando le campagne di immunizzazione saranno avviate, le autorità dovranno impegnarsi a tradurre le intenzioni positive in azioni concrete. Un metodo efficace potrebbe essere l’uso di messaggi di promemoria alla vaccinazione da parte proprio degli operatori sanitari, che vanno coinvolti in prima persona nelle strategie di comunicazione da parte delle autorità.
Come ribadisce Julio Solìs Arce, co-autore dello studio, far partire quanto prima la vaccinazione nel Sud del Mondo significa, oltre a una maggiore equità sociale, anche una forte crescita della copertura globale e, quindi, maggiore prevenzione nella diffusione di nuove varianti.
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