Dopo un luglio caratterizzato da temporali e inondazioni, si è concluso il terzo agosto più secco degli ultimi sessantacinque anni. A poche settimane di distanza dalle alluvioni che hanno interessato Germania e Belgio e dall’ondata di maltempo che ha colpito il nord Italia, la situazione sembra ora completamente rovesciata.
Le conseguenze della siccità sono gravi anche per il bacino del fiume Po. L’area Nord al momento si trova in condizioni non allarmanti, perché le precipitazioni di luglio e le riserve permettono in molti casi di soddisfare le esigenze idriche ed irrigue.
Anche qui si segnalano comunque criticità: il rifugio Quintino Sella, ad esempio, casa del fiume Po alle pendici del Monviso, quest’anno ha chiuso con quasi un mese di anticipo a causa della mancanza d’acqua.
Nell’area Sud del fiume, invece, i problemi sono più seri e generalizzati: qui non si registrano piogge significative da oltre sessanta giorni, come evidenziato nel bollettino del 2 settembre dell’Osservatorio permanente dell’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po.
Si tratta di un mutamento disomogeneo e dai risvolti ancora imprevedibili, difficili da quantificare. I livelli del fiume Po registrati dal Consorzio di Bonifica pianura di Ferrara a Pontelagoscuro nel mese di luglio fino agli inizi del mese di agosto erano in linea con il 2020, e spesso superiori alla media (2001-2020). Al contempo, le portate del fiume a fine mese risultano però in calo, segnando un -10% rispetto alla media, come riportato sempre dall’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po. In aggiunta, il nuovo bollettino emesso il 16 settembre, conferma un ulteriore calo della portata del fiume a Pontelagoscuro, -30% rispetto alla media del periodo.
Ci troviamo quindi di fronte a una situazione che è molto complessa e difficile da gestire, a causa delle variazioni metereologiche, dei diversi territori attraversati dal fiume e della sua stessa morfologia.
Un’alleanza tra ingegneri, biologi e scienziati della terra per soluzioni nuove
“Oggi l’ingegnere civile e l’ingegnere idraulico possono contribuire in modo importante alla gestione intelligente dei corsi d’acqua – afferma Alessandro Valiani, coordinatore del Consiglio unificato corsi di studio di ingegneria civile dell’Università di Ferrara -. Questo contributo deve tenere in considerazione l’aspetto climatico, ovvero la tendenza ad avere un numero ridotto di precipitazioni – molto intense a momenti violente e di breve durata, che possono generare eventi disastrosi – e periodi lunghi di assenza di precipitazioni (quasi siccitosi).
Non solo, come si evince dall’attività del Centro italiano per la riqualificazione fluviale (Cirf) che è molto attento ad aspetti di rinaturalizzazione e mantenimento di habitat naturali adeguati, sia per la flora che per la fauna, le opere di ingegneria non possono più prescindere dagli aspetti ambientali. Ad esempio, nel caso dell’iter progettuale di un mini impianto idroelettrico (mini-hydro), questo non può ignorare l’analisi preliminare dagli studi degli afflussi e deflussi, ma neppure l’analisi dei parametri biologici dell’alveo.
Si tratta quindi di un’attività integrata che combina la preparazione dell’ingegnere, del biologo, dello scienziato della terra.”
Armonizzare i corsi d’acqua con un assetto il più possibile naturale
Un esempio interessante dal punto di vista ingegneristico e biologico riguarda i corsi d’acqua montani, per i quali c’è una grande attenzione al mantenimento dell’irregolarità naturale. “Un torrente montano – afferma Valiani – è caratterizzato dall’alternanza di pools and riffles, cioè pozze e zone in cui l’acqua accelera perché la profondità è minore e la velocità molto più grande. L’alternanza irregolare di queste espressioni geografiche dell’alveo è fondamentale per il ciclo vitale dei pesci e la deposizione delle uova.”
Anche l’assetto naturale dei fiumi pedemontani e di pianura, seppur diversi da un punto di vista morfologico, non sarebbe comunque quello di un fiume rettilineo. Da questo punto di vista anche la visione ingegneristica è allineata al progetto del World Wide Fund for Nature (WWF) e Associazione nazionale estrattori produttori lapidei e affini (Anepla) sulla rinaturalizzazione del fiume Po contenuto all’interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
“Viviamo in un ambiente che è fortemente antropizzato – dichiara Valiani -, ma da qui in avanti bisogna optare per interventi che non potranno riportare il paesaggio allo stato originario, ma che siano volti ad armonizzare i corsi d’acqua con un assetto il più possibile naturale. Non solo, un fattore molto importante è relativo al controllo della quantità di sedimenti estratti dall’alveo.
I cavatori ovviamente hanno delle licenze, ma non è banale controllare i volumi estratti dall’alveo, deve essere fatto con un’attenzione costante, altrimenti l’alveo si erode e si depaupera se queste estrazioni vengono fatte in misura troppo elevata; questo aspetto, inoltre, deve essere controllato a valle di ogni opera, per assicurarsi che le infrastrutture non alterino il bilancio sedimentologico dei corsi d’acqua.”
La rinaturalizzazione dal punto di vista ingegneristico
Rispetto alle rappresentazioni schematiche dei fiumi dell’immaginario collettivo, con le scale verticali amplificate rispetto a quelle orizzontali, la natura disegna un fiume che è molto più largo rispetto a quanto è profondo. In passato la forte antropizzazione ha ristretto l’alveo dei fiumi, spesso confinato alla zona che convoglia la portata più frequente, ovvero dell’alveo inciso, la parte più centrale e profonda del fiume. Ma come è accaduto più e più volte, a partire dall’alluvione dell’Arno a Firenze nel 1966, in caso di piena i corsi d’acqua hanno necessità di potersi espandere nelle zone golenali, cioè dell’alveo nella sua interezza.
“Quello con cui ci confrontiamo oggi – secondo l’ingegnere dell’Università di Ferrara -, è un sistema completamente antropizzato ed è chiaro che non si può tornare indietro in tutto e per tutto. Però la cosa importante è costruire e intervenire in maniera intelligente. Se non esistesse l’intervento antropico non esisterebbero né i Paesi Bassi né la provincia di Ferrara: circa la metà della provincia di Ferrara si trova sotto il livello del mare, il Po è un fiume pensile e il Consorzio di Bonifica pianura di Ferrara è il più importante in Italia.”
Infatti, come più volte sottolineato da Stefano Calderoni, presidente del Consorzio ferrarese, la rete di canali del territorio della provincia è una vera e propria infrastruttura di paesaggio.
“La rinaturalizzazione di sponde troppo artificializzate – prosegue Valiani – è un tipo di intervento che deve essere studiato, ovviamente bisogna guardare tutti i punti di vista. Se la vegetazione venisse aumentata a dismisura, nel momento in cui ho la grossa piena avrei un attrito molto elevato del contorno del corso d’acqua; mentre nei periodi di magra un alveo pulito con le pareti lisce rappresenterebbe un assetto completamente innaturale, che non permetterebbe alle forme di vita fluviali di esprimersi. Si tratta dunque di trovare un compromesso tra l’antropizzazione che ormai c’è e la necessaria rinaturalizzazione.”
Come si deduce dalle parole di Valiani, ogni bacino è unico e deve essere analizzato caso per caso, facendo una grande attenzione allo studio dell’idrologia, della geologia e del sistema afflussi – deflussi, cioè di come la pioggia si trasforma in portata e quindi valutare i possibili interventi da perseguire.
“Le attività possibili sono tante. A titolo di esempio – chiarisce l’ingegnere – menziono la manutenzione dei pennelli nel Po, ovvero delle strutture trasversali all’asse del corso d’acqua, come piccoli moli realizzati con materiali differenti (pietrame, calcestruzzo, muratura,….), questa è volta a trovare il compromesso ottimale tra il supporto alla navigazione e l’ottenimento di un impatto ambientale minimo, e la manutenzione degli argini sia del corso d’acqua principale che degli affluenti. L’alluvione del Secchia di qualche anno fa (gennaio 2014) nella provincia di Modena fu legata proprio alle tane di animali selvatici, che avevano provocato l’innesco delle falle negli argini.
Per quanto riguarda il riferimento alle infrastrutture più classiche, quali ad esempio dighe e sbarramenti, nella situazione attuale, non ci sono grandi margini per la costruzione di ulteriori dighe, perché i siti ottimali idroelettrici in zona alpina sono sostanzialmente già sfruttati.
Negli ultimi tempi sono state progettate e studiate le casse di espansione, cioè zone atte al contenimento dell’acqua nelle quali un corso d’acqua di importanza rilevante può esondare, per limitare i danni in caso di piena. A tal proposito rammento il progetto della cassa di espansione del torrente Baganza nei comuni di Felino, Sala Baganza, Collecchio e Parma, elaborato da Aipo per la salvaguardia di questo territorio; tale progetto è stato altresì oggetto di studio su modello fisico.
Infine – conclude Valiani – molto si può fare anche utilizzando le infrastrutture che già ci sono, per esempio se un serbatoio (lago naturale o artificiale, tipicamente montano o pedemontano) a destinazione idroelettrica può essere utilizzato per sgravare dall’onda di piena il corso d’acqua principale; ovviamente il serbatoio deve essere preventivamente svuotato, anche parzialmente, per potere laminare il volume della piena in arrivo.
In uno scenario tipico della pianura alluvionale, una funzione analoga viene svolta dai consorzi di bonifica: infatti, se una traversa mantiene a monte dei livelli adeguati per l’irrigazione, come succede per il Consorzio di bonifica di Ferrara, e si prevedono piogge violente e concentrate, determinati volumi d’acqua vengono rilasciati, al fine di predisporre nei volume di invaso per ricevere le piene.
Purtroppo si paga il prezzo della risorsa che viene persa ai fini irrigui, ma la pioggia trova i canali vuoti e ne consegue che il volume di invaso suddetto viene utilizzato per la difesa e la salvaguardia dei territori circostanti.”
Da questo punto di vista, ci si aspetta molto dal Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr) per le opere di rinaturalizzazione del fiume Po. Le proposte per la mitigazione del dissesto idrogeologico per la sezione della provincia di Ferrara riguardano infatti la riqualificazione fluviale dell’asta del Po di Primaro da Ferrara a Marrara e da Marrara a Traghetto, mediante ripristino e valorizzazione delle sponde a protezione idraulica degli insediamenti abitativi in golena e la riqualificazione fluviale dell’asta del Po di Volano, mediante realizzazione di un’area di espansione delle piene, anche con funzioni di fitodepurazione delle acque di immissione nella Sacca di Goro.
La prevenzione passa anche per il citizen engagement
L’importanza della gestione e dell’uso accorto della risorsa idrica, in un Paese come l’Italia, sono invece ben chiari per l’agricoltura e il sistema irriguo.
La costruzione di invasi o le modifiche e la manutenzione a quelli esistenti, invece, possono rappresentare delle soluzioni per la questione idrica. Inoltre, come prospettato a Piacenza, grazie al finanziamento del Pnrr l’incentivo alla realizzazione di invasi per la raccolta dell’acqua, potrebbe sostituire il prelievo dai pozzi.
“Se in passato sono state fatte delle scelte discutibili o degli interventi a volte persino scriteriati, adesso ci sono delle regole che devono essere rispettate, sia per l’attenzione verso l’ambiente sia per una questione di prevenzione – afferma Valiani -. La prima regola che viene applicata è quella dell’invarianza idraulica.
Per semplificare, si può considerare uno spiazzo di terreno che è un campo arato e quindi assorbe molta acqua quando piove; se questo viene sostituito con un parcheggio, la nuova costruzione comporta l’impermeabilizzazione del terreno, quindi i tempi di restituzione al reticolo naturale dell’acqua che ci piove sopra sono assolutamente ridottissimi.
L’invarianza idraulica prescrive che devono essere realizzati dei dispositivi tali per cui l’onda di piena che si genera da una precipitazione su quel tipo di suolo non deve essere superiore a quella che si genererebbe in assenza di opere. Questo significa che devono essere costruite delle opere accessorie, che possono essere una vasca, un bacino, dei sistemi filtranti accanto al piazzale, e queste opere devono consentire all’acqua di raggiungere il reticolo idrografico, in tempi che non siano peggiori/superiori a quelli che si registravano in precedenza.
Infine, l’altra regola fondamentale, in parte già anticipata in precedenza, è che non si deve costruire in golena, per consentire il libero deflusso delle piene. Infatti, le autorità di bacino inibiscono i piani urbanistici dal poterlo fare. Non solo: le autorità di bacino sono gerarchicamente superiori ai comuni che elaborano piani urbanistici, quindi se vengono stabilite fasce di rispetto intorno ad un certo alveo, il comune non ha diritto di predisporre progettazione urbanistica che non rispetti queste regole.”
In conclusione, i disastri che si verificano sono spesso legati a errori del passato, che non sono facili da recuperare, sia da un punto di vista legislativo che di interventi, mentre oggigiorno l’operato degli ingegneri, degli enti e delle autorità competenti poggia sull’applicazione delle regole attuali, l’integrazione dei saperi e la manutenzione costante per essere preparati e programmare l’opportuna prevenzione.
La prevenzione, inoltre, è possibile se non si sottovalutano i rischi, anche prestando più attenzione alle simulazioni (es. prove di evacuazione) e segnalando alle autorità competenti, come quella di bacino, eventuali anomalie negli argini e nelle differenti opere speciali o accessorie: anche in questo il citizen engagement, di cui tanto si parla, potrebbe fare la differenza.
L’ingegnere, dunque, in ogni passo delle procedure progettuali, realizzative e gestionali deve appropriatamente tenere conto della salvaguardia ambientale e della interazione con le discipline e le competenze preposte a tale salvaguardia, con spirito collaborativo e pienamente costruttivo.