Nonostante i vaccini preparati a tempo di record e uno sforzo organizzativo che ha portato a 67.393.898 di dosi somministrate, con 31.675.517 di persone over 12 (58,65%) che hanno completato il ciclo vaccinale (dati aggiornati al 29 luglio riportati dal governo), l’esitazione vaccinale rischia di incidere sulla storia del Covid-19, quali sono gli scenari possibili, che fare?
Ne abbiamo parlato con Donato Greco medico epidemiologo con una vasta esperienza in malattie infettive maturata sul campo in ambito nazionale e internazionale, consulente dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e attualmente componente del Comitato tecnico scientifico (Cts) per l’emergenza Covid-19.
“Il problema dell’esitazione vaccinale è da tempo oggetto di studio a livello internazionale, – afferma Greco – Italia compresa. Sul tema dell’esitazione vaccinale si è investito non poco in progetti europei che hanno coinvolto quattordici Paesi europei, sono durati ben otto anni con parecchi investimenti a cui ha partecipato anche l’Italia con ricercatori dell’Istituto superiore di sanità”. Sono il più recente ASSET (Action plan in Science in Society in Epidemics and Total pandemics) e il progetto Tell Me (Transparent communication in Epidemics: Learning Lessons from experience, delivering effective Messages, providing Evidence) iniziato nel 2012. Questi progetti hanno evidenziato che “esiste un algoritmo vincente che è la relazione tra spiegazione gentile e accettazione di una procedura. In tutto il mondo, e particolarmente in Italia, vi è stata una dimostrazione schiacciante per cui se l’offerta è attiva e gentile, spiegata bene, tutti accettano, rimarrà solo uno zoccolo dell’1% di persone che non si possono convincere, che è tollerabile.“
Dunque, secondo Greco: “l’esitazione vaccinale si combatte con un investimento di umanità e di cultura, con un counselling adeguato, questi sono gli elementi fondamentali. Certo è che i servizi vaccinali non possono limitare la loro attività a poche ore al giorno, come accadeva in epoca pre Covid in parecchie regioni italiane, in tal caso sarebbe inutile pensare di combattere l’esitazione vaccinale.”
Va comunque detto che mai prima d’ora ci si è dovuti misurare con una vaccinazione universale come la vaccinazione anti Covid-19 da realizzare a livello mondiale e per tutte le fasce d’età. Sinora le vaccinazioni sono sempre state vissute come una cosa dei bambini o dei nonni. Adesso vacciniamo tutti: si va al ristorante, in palestra, al cinema a teatro, prossimamente in discoteca se si è vaccinati, “il vaccino diventa una sorta di lasciapassare universale – continua Greco – e questa è un’altra sfida innovativa, senza precedenti nella storia e quindi tutta da costruire, da scolpire nella nostra cultura: l’abitudine a proteggersi con gli strumenti che la scienza ci offre.”
L’obbligo non è efficace per la popolazione. Ma deve essere rigido per il personale medico
Ma per fare questo è auspicabile prevedere l’obbligo vaccinale?
La risposta è netta, se da un lato Greco pensa che l’obbligo sia giustificato, arrivando anche a provvedimenti restrittivi, per gli operatori sanitari che scelgono, per missione e per mestiere, di tutelare la salute della gente aiutandola a proteggersi e a vaccinarsi, “per tutti gli altri – sostiene Greco – sono assolutamente contrario all’obbligo vaccinale, l’obbligatorietà non ha mai dimostrato un’efficacia reale di popolazione. Lo abbiamo visto anche dopo il crollo dei regimi comunisti, dove tutto era obbligatorio, e dove alla fine abbiamo assistito a un netto peggioramento di molte epidemie, è tornata pure la difterite, oltre che la polio.”
“Per promuovere l’adesione alle vaccinazioni e a quella anti Covid-19 in particolare – secondo il membro del Comitato tecnico scientifico – resta di fondamentale importanza investire non solo nella comunicazione pubblica dei media, dei grandi media ma occorre un investimento anche di livello spiccio locale, cominciando dal tempo del singolo medico, del singolo infermiere, del singolo operatore sanitario di paese. In altri termini occorre spendere, spendere, spendere tempo con i cittadini, con le persone, parlare con loro, aiutarli a costruire una cultura della prevenzione. Questo non va visto come una pratica noiosa, una perdita di tempo.”
Ci si dovrà preparare per tempo al superamento delle vaccinazioni negli stadi, nelle palestre, negli HUB vaccinali per tornare a far sì che se ne facciano normalmente carico i Servizi di prevenzione del Servizio sanitario a questo deputati. “Ricordiamo che dovremmo fare almeno una dose di richiamo ogni anno verso il Covid-19, il che significa passare in media dai 20 milioni di vaccinati, per le diverse vaccinazioni già previste ogni anno in epoca pre Covid-19, agli 80 milioni di vaccinati ogni anno post Covid-19″, continua Greco.
È fondamentale rilanciare la prevenzione. Ma nel Pnrr non c’è traccia
Questo significa quadruplicare la nostra capacità vaccinale una sfida difficile che per essere vinta richiede l’impegno dell’intero servizio sanitario, cominciando da medici di base, operatori sanitari dei Dipartimenti di prevenzione e dei Distretti Asl, farmacisti se non vogliamo ritornare a vaccinare in palestra, nei cinema o nei grandi teatri.”
Ma per fare tutto ciò è di fondamentale importanza restituire ruolo alla prevenzione che continua ad essere la cenerentola del Servizio sanitario nazionale per la quale non si è speso nemmeno il previsto 5% del fondo sanitario e che non viene neppure citata nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
In altri termini non solo per le vaccinazioni ma più in generale per affrontare le pandemie di malattie infettive e malattie cronico-degenerative (obesità, diabete, malattie cardio cerebrovascolari, cancro) con le quali ci troveremo a convivere nei prossimi decenni è di fondamentale importanza ricostituire un sistema della prevenzione, come concepito con la legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale del 1978, dove prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione coesistono con pari dignità e collaborano sinergicamente a tutela della salute individuale e collettiva.
Caro Donato, la prevenzione negli ultimi 10 anni in Italia è stata dimezzata. In Lombardia a partire dal 2015 la Regione ha ridotto i Dipartimenti di Prevenzione da 15 a 8, chiamandoli in modo improprio “Dipartimenti di Igiene e e di Prevenzione Sanitaria”. I Laboratori di Sanità Pubblica sono praticamente spariti. L’analisi della situazione che in Lombardia ha prodotto mala sanità anche prima della pandemia virale e che nell’ultimo anno e mezzo ha fatto oltre 33,800 morti per Covid-19 merita provvedimenti più severi e proposte più concrete da parte di noi tutti. Vittorio Carreri.
In verità il Pnrr – ormai la mia lettura sotto l’ombrellone – cita la “prevenzione” a p.222, quando ne sottolinea le criticità in termini di disparità nell’erogazione dei servizi sul territorio nazionale. Gli interventi previsti nel Piano mirano proprio a risolvere queste e altre criticità.
Inoltre non mi risulta che il Pnrr annulli o sostituisca il Piano nazionale della prevenzione, valido per il periodo 2020-2025, il quale va inteso come strumento di attuazione dei Livelli essenziali di assistenza previsti dalla normativa vigente. Dentro c’è tutto: Agenda 2030, la salute in tutte le politiche, visione One Health..
Sono prese in esame le patologie infettive e non, le cronicità, le dipendenze…
Qui il punto è concretizzare con i fatti le raccolte di dichiarazioni di principio. Ma è solo il mio punto di vista.
Nel testo del PNRR la parola prevenzione è citata una sola volta e quando se ne esplicitano i contenuti il riferimento appare nettamente più orientato alle domande di cure tanto che nelle missioni successivamente declinate si parla di rete di prossimità, strutture intermedie, telemedicina, assistenza domiciliare , di creare e potenziare strutture territoriali come Case della salute ed Ospedali di comunità. Sono tutti obiettivi importantissimi ma che evidentemente non possono esaurire gli interventi di prevenzione ricordati da Donato Greco, peraltro, previsti dal primo dei Livelli essenziali di assistenza (LEA) dedicato alla Prevenzione Collettiva e Sanità Pubblica ( Allegato I – DPCM 2017 ) che dovrebbe essere garantito dal SSN.
La ringrazio per il cortese riscontro. Mi fido del conteggio della parola “prevenzione”, anche se poco importa quante volte sia citata. Il punto è riportare i contenuti del Pnrr in modo preciso, considerato che da questo strumento politico dipendono le nostre esistenze, forse anche troppo come voi stessi sottolineate nelle comunicazioni agli utenti.
Per quanto riguarda le soluzioni proposte da Greco, il buon senso e l’esperienza professionale mi portano ad appoggiarle in pieno. Tuttavia non mi sento di decretare il fallimento del Pnrr, è prematuro. E il finale della favola lo sapremo a scadenza del programma. Tra l’altro la comunicazione istituzionale in alcune parti mi arriva poco chiara. In questi casi ritengo utile partecipare ai webinar che approfondiscono i singoli aspetti di ogni missione, quando è prevista la partecipazione dei rappresentanti del Governo.
Ho scelto di leggere il Pnrr con una visione panoramica, che tenga conto del contesto reale in cui è inserito. Questo approccio sollecita domande, ad esempio: sono in atto, o lo saranno, norme e provvedimenti, piani compresi, che vanno a colmare vuoti o a integrare i contenuti del piano? In alcuni casi lo stesso documento rimanda alla loro lettura. Serve a non minare eccessivamente la fiducia nel lavoro che le nostre istituzioni hanno elaborato secondo un iter rigoroso.
Auguriamoci che il Pnrr diventi una realtà assieme a quello che ruota attorno. Le risorse economiche ci sono, la sensazione è che manchino lo spirito “missionario”, la passione per il Bel Paese. Senza questi vengono meno le capacità organizzativa ed esecutiva. E così rischiamo di perdere la nostra ultima occasione per risollevarci dalla crisi, iniziata decenni fa.
Cordiali saluti
AZ