“Anche un gigante dell’energia come la Shell – afferma Marco Magri, docente di Diritto amministrativo presso l’Università di Ferrara – deve avere una politica industriale adeguata agli Accordi di Parigi del 2015; questo è il principio più importante stabilito dai giudici nella sentenza” con la quale lo scorso 26 maggio un tribunale olandese ha accolto il ricorso di associazioni ambientaliste e di circa 17mila cittadini, sentenza che “potrebbe addirittura diventare ‘virale’ nel resto d’Europa”, sottolinea il giurista.
Il Tribunale dell’Aja ha condannato in nome dei diritti umani la Royal Dutch Shell, multinazionale petrolifera anglo-olandese con sede in Olanda a ridurre del 45% le sue emissioni di CO2 entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019, un obbligo alla decarbonizzazione molto più forte di quello progettato dalla azienda.
Che in assenza di politiche ambientali efficaci le istituzioni coinvolte in prima fila stiano diventando quelle giuridiche lo si è già visto recentemente con il caso della decisione della Corte tedesca.
Una sentenza che si spinge ai confini dell’ambito del diritto
“Questa non è la prima sentenza in materia – afferma Magri –, ma c’è differenza tra le condanne che obbligano i governi e quelle che impongono, come in questo caso, direttamente a soggetti privati come le multinazionali di riscrivere le proprie politiche industriali e rivedere in modo più stringente i piani di riduzione di emissioni inquinanti, ritenendo direttamente vincolanti i parametri fissati dagli Accordi di Parigi, a prescindere dalle specifiche leggi nazionali approvate in materia.”
“Con la sentenza dell’Aja – chiarisce il giurista di Unife – siamo oltre un ambito prettamente giuridico, in quanto decisioni come questa si discostano da un quadro normativo vigente”. Il punto, infatti, è che lo stesso tribunale riconosce a favore della multinazionale “che tra i motivi addotti a propria difesa, la Shell aveva affermato di non aver violato alcuna disposizione di legge sulle emissioni inquinanti.”
Questo è l’aspetto che fa definire la sentenza non solo “storica” ma anche “politica”. La multinazionale ha già preannunciato che “la mancata violazione di norme specifiche” sarà un punto cardine del ricorso che intende proporre in appello.
Il verdetto è vincolante solo nei Paesi Bassi ma sospinge l’onda montante a livello globale delle decisioni per il clima. Nello specifico, la sentenza mette in risalto il tema del rispetto dei parametri per scongiurare il climate change e rappresenta “un precedente emblematico nelle ‘class action’ contro le attività inquinanti delle multinazionali”, afferma Magri.
La Corte olandese infatti, pur stabilendo che la Shell ha finora rispettato i limiti formali sulle emissioni, ha ritenuto che “seppur migliorata, la sua politica ambientale contenga troppe riserve sul futuro e sia poco concreta […] rispetto alla responsabilità dell’azienda per ottenere una riduzione di CO2.”
Riflessi e sviluppi futuri nel resto d’Europa
Dopo la lettura della sentenza, gli attivisti olandesi riuniti fuori dall’aula hanno espresso la loro soddisfazione con manifestazioni di giubilo.
“Oggi ha vinto il clima”, ha affermato solennemente Roger Cox, uno degli avvocati della filiale olandese di Friends of the Earth, associazione che insieme ad altre sei Ong, tra cui Greenpeace e ActionAid, avevano proposto questo ricorso nel 2018.
L’Olanda non è nuova a queste decisioni; già in passato aveva fatto scuola con un altro caso. La Corte suprema, nel 2019, aveva confermato una precedente pronuncia del 2015 con cui si chiedeva al Governo di ridurre entro il 2020 le emissioni di almeno il 25% rispetto ai livelli di riferimento del 1990.
Ultimo di una serie di ricorsi legali presentati in tutto il mondo da attivisti per il clima, il verdetto sul caso Shell rappresenta una svolta perché è il primo a prendere di mira non un governo ma una multinazionale.
E se a ciò aggiungiamo che “le associazioni ambientaliste, in quanto portatrici di interessi, possono scegliere – secondo Magri – quali questioni portare all’attenzione delle corti, ne consegue che esse diventano, di fatto, veri e propri centri di potere.”
Infatti, anche se gli effetti derivanti dalle varie sentenze possono sembrare analoghi, “diversi sono però i soggetti riconosciuti come legittimati a proporre la tutela di diritti – sottolinea il giurista –, siano essi individuali, come nel caso recente dell’Alta corte federale tedesca, o collettivi, come per le associazioni ambientaliste ricorrenti dinanzi alla corte dell’Aja.”
Non è questione di poco conto, perché si tratta “di due scenari che vanno analizzati insieme per capire come questi contenziosi climatici possono assumere diverse sfaccettature, perché – dice Magri – ove si riconosce – come in Olanda – la funzione di mediazione di queste associazioni, esse di fatto condizionano non solo le politiche ambientali ma la sfera stessa dei diritti dei cittadini che intendono tutelare.”