Un piano grigio, un piano che tradisce la natura, un piano che dimentica l’ambiente. Sono queste le parole con cui la Lega italiana per la protezione degli uccelli (Lipu) descrive il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) inoltrato il 30 aprile dal Governo Draghi alla Commissione europea.
Allo stato attuale, denunciano gli ambientalisti, il piano si scontra con la Strategia europea sulla biodiversità per il 2030 e con gli obiettivi dell’Agenda Onu sullo Sviluppo sostenibile.
“Nella sua proposta di Recovery Plan, l’Italia ha completamente dimenticato la biodiversità – dichiara ad Agenda17 Danilo Selvaggi, direttore Lipu – dedicandovi lo 0,51% delle risorse e rinunciando a qualsiasi disegno strategico. Un grave errore, segno di una cultura che non riesce a liberarsi dei vecchi modelli di sviluppo e a far pace con la natura. Contiamo sulla Commissione europea, che possa quantomeno migliorare il piano e dare alla biodiversità italiana una chance in più.”
La biodiversità italiana vale un decimo di quella spagnola
La Lipu ha raccolto le proprie osservazioni sul Pnrr nel dossier Recovery Plan: un Piano “grigio” che dimentica la Natura italiana inviato alla Commissione, che ora avrà circa due mesi per proporre modifiche. I commenti dell’associazione sono di forte critica e riguardano sia la struttura del piano sia il modo in cui è stato scelto di distribuire le risorse.
Gli errori individuati dalla Lipu sono di forma (rispetto alle direttive europee) e di sostanza (rispetto alle reali necessità della biodiversità italiana). Innanzitutto, la quota complessiva di fondi destinata alla transizione ecologica non arriva al 37% come richiesto dalla Commissione europea, ma si ferma al 31%.
Come si legge nel dossier, “in questa minusvalenza ecologica si colloca l’irrisoria destinazione di risorse agli interventi mirati alla tutela della biodiversità. Sulla base della stima effettuata sui quadri delle misure e risorse del Pnrr, risulta che agli interventi per la conservazione della biodiversità sono destinati investimenti per 1,19 miliardi, pari allo 0,62% delle risorse totali del Pnrr. Una percentuale che scende allo 0,51% se si considerano anche le risorse del React EU e il Fondo complementare.” Si tratta di un investimento dieci volte più piccolo, in proporzione, rispetto a quello previsto dal Governo spagnolo.
Ristrutturare gli ecosistemi danneggiati
Non solo. Lo scontento degli ambientalisti non si ferma al piano quantitativo, ma mette in dubbio la qualità degli interventi previsti. In effetti, scorrendo le pagine del Pnrr fino alla sezione M2 Rivoluzione verde e transizione ecologica, si trovano azioni che appaiono poco centrate su conservazione e biodiversità. Mancano nel testo i concetti di ripristino ambientale e di specie a rischio, oltre a essere assente qualsiasi riferimento alla Rete Natura 2000, importante strumento nella tutela del territorio e degli habitat.
Nel sottoparagrafo esplicitamente dedicato al tema biodiversità, troviamo cinque investimenti: la valorizzazione del verde urbano ed extraurbano, per la quale “si prevedono una serie di azioni rivolte principalmente alle quattordici città metropolitane” italiane; un grande progetto di digitalizzazione dei Parchi nazionali; la rinaturazione dell’area del Po, mortificata dal consumo di suolo; la bonifica dei siti orfani, ossia delle zone particolarmente colpite dall’inquinamento industriale; il ripristino di fondali e habitat marini, anche attraverso opere di monitoraggio. Misure virtuose, ma che non sembrano prendere realmente in considerazione lo stato di stress a cui è sottoposta la biodiversità del nostro Paese.
Per queste ragioni la Lipu chiede che il piano sia rivisto, includendo innanzitutto “un’ampia opera di ristrutturazione degli ecosistemi danneggiati, a partire dalle zone umide, con adeguato stanziamento economico, in relazione alla Strategia europea sulla biodiversità per il 2030”. Questa tutela pervasiva della biodiversità dovrebbe poi fare da base per una reale applicazione del principio Do Not Significant Harm (DNSH), posto dall’Europa tra le condizioni formali per l’utilizzo di tutti i fondi del Recovery Plan. Secondo questa massima, ogni progetto strutturale e infrastrutturale intrapreso nei prossimi anni dovrebbe evitare di arrecare danni significativi all’ambiente. In Italia, l’applicazione concreta del principio DNSH è affidata a strumenti come la Valutazione d’impatto ambientale statale e regionale (Via), che nel Pnrr però viene indicata come uno dei “colli di bottiglia” che rallentano la nostra burocrazia. Secondo la Lipu, sono quindi giustificate le paure di chi nota nel piano la tendenza verso un’eccessiva deregolamentazione in materia ambientale.
L’ascolto mancato
Le proteste della Lipu non sono isolate e si inseriscono in un quadro più ampio. Il piano sembra da una parte contraddire le indicazioni per l’utilizzo dei fondi anche in altri settori, dall’altra ignorare le richieste della società civile. “Se lo scopo del Pnrr è la ripresa e la resilienza del nostro Paese, queste sono irraggiungibili senza il coinvolgimento dei cittadini nelle scelte e nelle proposte che esso contiene, come nel monitoraggio dei progetti che lo tradurranno in interventi concreti. […] Inoltre si è ignorato del tutto quanto prevede il Next generation EU, che delinea la necessità di coinvolgere le forze sociali” ha dichiarato l’Osservatorio civico sul Pnrr “Follow The Money”. L’osservatorio è promosso da ActionAid, Cittadinanzattiva, Legambiente, Slow Food e fondato sul contributo di un mosaico di soggetti, tra cui The Good Lobby, ong impegnata sui temi della partecipazione civica e della regolamentazione delle attività di lobbying.
Proprio il direttore di The Good Lobby, Federico Anghelé, ha dichiarato in proposito ad Agenda17: “Una sfida così significativa avrebbe richiesto il coinvolgimento della società civile organizzata su almeno due fronti: la fase di definizione dei contenuti del piano e il successivo monitoraggio delle spese e dei risultati raggiunti. Purtroppo non solo è mancato il coinvolgimento della società civile nello sviluppo del piano, ma non possiamo dirci soddisfatti neanche degli strumenti prospettati finora per monitorare l’utilizzo dei fondi.” Nell’ultimo mese The Good Lobby con la campagna “Ripartenza a porte aperte” ha chiesto più volte al Governo l’implementazione di una piattaforma di monitoraggio sull’utilizzo dei fondi, senza ricevere una risposta chiara.
Quello che è accaduto nei confronti delle istanze ambientaliste sarebbe quindi parte di una mancanza di ascolto e chiarezza generalizzata che, come si legge di nuovo nel dossier firmato Lipu, potrebbe preludere “a un lungo periodo di semplificazioni valutative, in assenza degli strumenti a garanzia della qualità delle valutazioni ambientali, della trasparenza e della partecipazione da parte dei cittadini.”
(Chiara Spallino, studentessa del Master in Giornalismo e Comunicazione Istituzionale della Scienza)
I temi ambientali dovrebbero essere al primo posto, invece per i nostri politici di qualsiasi colore costituiscono semplicemente una inutile zavorra. Solo il ministro Costa ha mostrato di conoscerne l’importanza, per questo lo hanno eliminato in fretta.