“Le tradizioni di caccia [per la cattura degli uccelli] non possono costituire ragione per chiedere deroga contro le specie protette”. Con queste parole la Corte di giustizia europea ha preso recentemente una decisione che potrà influire sulla salute di hotspot di biodiversità fondamentali come il Delta del Po.
Si tratta della sentenza relativa alla causa contro la Francia dell’associazione animalista One Voice e della Ligue pour la Protection des Oiseaux (LPO), il corrispettivo francese della Lega italiana protezione uccelli (Lipu), parte del network BirdLife Europe.
La sentenza esprime per la prima volta il principio secondo il quale non basta che un metodo di caccia sia radicato nella tradizione di un territorio per essere ammesso, quando riguarda specie protette. Questo parere potrebbe avere un effetto domino sul modo in cui viene applicata una delle più importanti direttive comunitarie in tema di conservazione, la Direttiva uccelli, con ricadute reali su interi ecosistemi.
La sentenza della Corte
Il contenuto della sentenza è semplice: la Corte condanna i metodi di caccia tradizionali, per la sofferenza non necessaria che infliggono agli animali e soprattutto per l’incapacità di selezionare tra specie a rischio e non.
Lo scontro è nato in merito alla cattura con il vischio, ossia tramite ramoscelli cosparsi di sostanze appiccicose in grado di immobilizzare piccoli uccelli. Un’usanza antica, che insieme ad altre pratiche simili – trappole a scatto, reti di nylon e lacci – è ancora molto diffusa sia in Francia sia in Italia.
La Corte ha respinto la tesi dell’avvocato dell’Unione Juliane Kokott. Kokott aveva infatti sostenuto: “la caccia con l’impiego di vischio potrebbe essere riconosciuta […] se le autorità francesi giungessero alla ragionevole conclusione che la salvaguardia di tale metodo tradizionale di caccia a fini ricreativi abbia un peso culturale.”
Conseguenze per l’Italia e il Delta del Po
“Una tradizione non è, in quanto tale, un fatto positivo – ha commentato Danilo Selvaggi, Direttore Lipu. Ci sono tradizioni buone e tradizioni cattive. E ci sono tradizioni pessime, tra cui quella di cospargere di vischio una pianta per catturare uccelli migratori e costringerli a lenta agonia.”
È dello stesso parere Lipu Ferrara, sezione che opera in quel sito fondamentale per lo svernamento degli uccelli che è il Delta del Po. La notizia della sentenza europea qui è arrivata a poco più di un mese dall’operazione “Delta del Po 2021”, portata avanti, nell’ambito della Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione, dai Carabinieri forestali di Ferrara, Rovigo, Venezia, Ravenna, il Reparto Carabinieri biodiversità di Punta Marina e il supporto dei volontari Lipu.
I numeri parlano di mille volatili destinati al mercato nero e di nove richiami acustici vietati sequestrati. “Anche se le zone più colpite dalla caccia tradizionale ai passeriformi sono Lombardia, Veneto e Piemonte – spiegano i volontari di Lipu Ferrara – accogliamo questa bella novità a braccia aperte: potrebbe aprire la strada a un nuovo atteggiamento nei confronti del bracconaggio e porre un limite alle deroghe di caccia.”
Una reazione a catena
Antibracconaggio e opposizione alle deroghe: il mondo dell’ambientalismo spera che la sentenza porti i suoi frutti proprio in queste due direzioni. La caccia tradizionale è infatti solo una sfumatura nel quadro delle regolamentazioni venatorie, in cui attività illegali si intrecciano con interessi politici ed economici.
Adesso, una reazione a catena potrebbe rendere questa decisione il punto di partenza per un’interpretazione più stringente della Direttiva uccelli nei tribunali di tutta Europa. E una lettura rigida potrebbe semplificare la tutela di zone chiave come il Delta.
La salute di questi ambienti è importante, poiché come spiega il biologo Graziano Caramori, visiting professor dell’Università di Ferrara, “Quello del Po è l’unico delta esistente in Italia, un mosaico di aree umide dolci e salmastre, dune, foreste residue, rami fluviali, coste sabbiose e aree agricole che ospita un patrimonio floro-faunistico imponente. È la congiunzione tra la terra e il mare indispensabile alle specie migratrici. L’impatto dell’uomo è visibile, ma la biodiversità e i servizi ecosistemici prodotti costituiscono il patrimonio da conservare.”
(Chiara Spallino, studentessa del Master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza dell’Università di Ferrara)